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lunedì 27 luglio 2020

La disputa sui "pizzi e merletti" continua: controreplica di Guido Ferro Canale al blog Traditio Marciana.

Eravamo intenzionati a non dare più spazio sul nostro "rotocalco" (come ci definisce - non si sa con quale reale intento - senza nemmeno inserire il link...) al "blog" di Traditio Marciana, anche perchè ritenevamo chiusa la questione sui "pizzi e merletti" (abuso o semplice pia evoluzione dei canoni estetico-liturgici?) ma, per amor di contraddittorio, abbiamo deciso di fare un eccezione. Pubblichiamo quindi la controreplica di Guido Ferro Canale alle contestazioni che il blogger veneziano (per cui i pizzi ai camici sarebbero un abuso) aveva mosso il 18.07.2020 avverso il suo lungo ed articolato post a sostegno dei merletti dei paramenti (per ricordare, si veda qui). 
La replica di Guido Ferro Canale consta di più parti:
- la prima (qui di seguito) è una premessa in limine (qui sotto pubblicata).

- la seconda costituita dalla vera e propria replica (in merito ai rapporti tra Liturgia e Tradizione) sarà pubblicata domani, sempre alle 15:30. 
- la terza parte sulla "Liturgia, consuetudine e e diritto Canonico" 
Roberto


La querelle con “Traditio Marciana”: alcune precisazioni di rilievo


Su “Traditio Marciana” è apparso un articolo di replica al mio, scritto – salvo mio errore interpretativo – in nome sia di tutto il blog sia del Presidente dell'omonima associazione, Sig. Nicolò Ghigi, uti singulus, in quanto autore del pezzo che ha dato origine al confronto e della successiva risposta ai primi commenti critici.
Temo però che la celerità della nuova replica, in qualche caso, sia andata a discapito ...
dell'esatta comprensione di quanto da me scritto. Anche per questo, terrei anzitutto a formulare talune precisazioni; al merito delle diverse questioni sul tappeto dedicherò – se Dio vorrà e se MiL continuerà a pubblicare – una serie di articoli distinti, anche per agevolare i miei contraddittori nella risposta, dato che ciascun argomento è piuttosto complesso.

In primo luogo, dunque, mi vien fatto notare che “Traditio Marciana” è aperto ad autori di diverse confessioni – come da disclaimer sul sito - e che, già solo per questo, risulterebbe non pertinente, e comunque inappropriata, “la discussione di patenti di eresia e di scisma”. Leggo anzi, con una certa meraviglia, che avrei ritenuto indice di eresia la semplice citazione, in esergo al secondo pezzo, di un autore anglicano: dev'essere sfuggito – sono costretto a supporre – che io stesso ho citato il medesimo autore e pure la stessa opera,[1] e che sempre da quest'ultima, alla fine della quarta parte, ho voluto trarre spunto per mostrare che, appunto nel contesto anglicano, il pizzo non era affatto un segno di improprietà liturgica (come pareva aver inteso l'articolista), bensì di “papismo”.[2]
Per il resto, avendo opportunamente letto il disclaimer, mi sono attenuto alla dichiarazione secondo cui “Le posizioni espresse nei singoli post rappresentano la posizione personale dei loro autori, membri o meno del Circolo. L'autorialità dei post è indicata o meno secondo le richieste degli autori stessi.”. Pertanto, per me l'articolo iniziale e la successiva replica, pur anonimi, non rappresentavano che la posizione del loro autore: infatti la mia risposta è tutta indirizzata nei suoi confronti, senza coinvolgere né il blog né altri articoli.[3] Il loro tenore mi faceva ritenere che fossero stati scritti da un cattolico e, in effetti, così è.
Dicendo “così è”, peraltro, vorrei altresì chiarire di non aver dato e non aver neppure inteso dare all'autore né dell'eretico né dello scismatico. Innanzitutto, le censure da me formulate non avevano carattere giuridico o morale (nei quali casi, come giustamente si osserva, non competerebbero a me); e siccome allora ho contestualmente precisato che con esse non intendevo coinvolgere la persona dell'autore – che, oltretutto, in quel momento mi era del tutto sconosciuta[4] - sono rammaricato io per primo se qualche anonimo, nel box dei commenti, è trasceso alla critica personale o, peggio, all'insulto. Mezzi simili non faranno mai trionfare la causa di Cristo Re.
Appunto perché non investivano la persona, bensì le affermazioni, le mie erano e sono censure dottrinali, che ognuno può liberamente impiegare nelle dispute per qualificare le tesi che contesta, senza pregiudizio di sorta per l'autorità ecclesiastica, e non colpiscono che il tenore obiettivo delle dichiarazioni o ciò che esse implicano, sempre in termini oggettivi. Sono senz'altro passate di moda, ma, secondo me, aiutano molto a formulare e inquadrare la sostanza di una critica.
Nella specie, poi, non ho impiegato né la censura di “eresia” né quella di “scisma”, bensì “sa di eresia” e “sa di scisma”. Differenza sostanziale, perché il sapore equivale a un sospetto, che ammette la possibilità di interpretazione corretta.[5] In particolare, il sapor di eresia era riferito all'evocazione di una norma cerimoniale mosaica in termini che, pur potendo anche essere di semplice esemplarità, sembravano piuttosto predicarne la perdurante vigenza proprio come parte della Legge antica; parimenti – ma questo mi pare sia stato ben compreso – il sapore di scisma atteneva alla negazione o restrizione del Primato pontificio che mi pareva chiaramente implicito in un'affermazione come  "Le norme liturgiche sono stabilite dalla Quo primum tempore", in un contesto immediato dove ciò significava “...e non dal Summorum Pontificum o dal Messale del 1962”.
Infine, sempre il contesto, a mio avviso, risponde all'ulteriore rilievo fondato sul carattere del blog, neutrale rispetto alle scelte confessionali dei singoli che vi scrivono: il mio intervento, infatti, è scaturito anzitutto e soprattutto dall'affermazione ora citata, che, destinata com'era a formare oggetto di un commento su MiL e ripresa bensì sul blog, ma all'interno di un articolo di risposta alle critiche, veniva con ciò a collocarsi in un dibattito sostanzialmente ad intra, fra cattolici.[6]
Come si presentano, dunque, i termini di tale dibattito, all'esito di questo primo scambio di opinioni?
La censura sapit haeresim, malauguratamente intesa come riferita alla citazione di Mascall, è rimasta senza riscontro, diretto o indiretto, sicché non resta che attenderne uno in futuro; si sono invece chiarite altre questioni, come il concetto di “autentica tradizione liturgica romana”. E sono molto lieto della precisazione “Sia ben chiaro che il seguente [presente?] articolo non vuole invitare [né] la gerarchia cattolica né i gruppi tradizionalisti ad adottare i libri liturgici romani antichi (se lo facessero non ci dispiacerebbe affatto; ma, per il noto disclaimer già menzionato, non ci occupiamo di quello che dovrebbero fare gli altri)”.
D'altro canto, si sono aggiunte o mantenute sul tappeto questioni di tutto rilievo, dall'esatta o miglior concezione di “Chiesa”, ai rapporti tra Liturgia e tradizione e/o diritto canonico, per non parlare dell'argomento, avanzato anche da alcuni commentatori, secondo cui la mia argomentazione avrebbe comportato necessariamente, nel 1969 e dintorni, l'acquiescenza alla riforma liturgica. A tali argomenti, e ad altri ancora, intendo dedicare una serie di articoli separati (più celere e precisa, o almeno questo è l'auspicio, rispetto alla stesura di un pezzo unitario da suddividersi poi in parti, con accresciuto rischio di confusione del lettore). Ho già cominciato a lavorarci, naturalmente, ma mi premeva chiarire anzitutto quanto avrebbe potuto fare ostacolo a una discussione serena.
Anzi, non fosse che per stemperare eventuali tensioni, terrei a concludere assicurando a tutta “Traditio Marciana” che il mio intervento in re non ha davvero nulla a che fare con lo storico astio tra genovesi e veneziani: da quando siamo diventati una regione turistica, invasa ad ogni stagione calda da torme di barbari che calano d'Oltregiovo, qui gli unici nemici mortali sono i milanesi... e, se qualcuno pensa mai a Venezia, subito esclama “Poveracci! Quelli son messi perfino peggio di noi!”.  

Genova, 23 luglio 2020
S. Apollinare, V e m. - III classe





[1]    Forse ha indotto in errore la differente grafia del cognome, “Mascall” nel mio caso, “Maskell” nel loro, che credo risalga ad un errore di trascrizione di quanto l'articolista ha sentito, a questo punto immagino a voce, dall'amico Mr. Robinson.
[2]    Il malinteso mi fa un po' sorridere, perché credo di essere, nel non ampio novero degli italiani interessati, uno di coloro che provano le maggiori simpatie per l'Anglo-Cattolicesimo, anche dal punto di vista prettamente liturgico... e perché ora mi vedo tacciato, in sostanza, di feroci pregiudizi antianglicani, quando - a suo tempo - la v.m. di Mons. Brunero Gherardini mi ha rimproverato più o meno l'esatto contrario.
[3]    Per quanto riguarda “l'impostazione generale del nostro sito e del nostro lavoro di studio”, quindi, non mi sono espresso e continuo a non esprimermi. Certo, va da sé che, se l'articolo originario deve considerarsi un esempio di applicazione corretta del metodo in parola, le mie riserve non possono che investire anche quest'ultimo; preferisco, però, attendere di averlo compreso meglio.
[4]    Per giunta, il Sig. Ghigi è l'ultima persona che, quando ho scritto l'articolo di risposta, mi sarei immaginato come autore del pezzo originario, giacché, cercando informazioni su “Traditio Marciana” con una rapida ricerca su Google, l'avevo visto menzionato come curatore proprio di quell'Ordo che si conforma alle riforme novecentesche fino al 1952; e ciò sul sito di “Una Voce – Italia, associazione che, a quanto ne so (se le cose non sono cambiate da quando ne facevo parte), propugna l'applicazione del “Summorum Pontificum”, quindi il Messale del 1962.
[5]    L'esatto significato della nota di sententia haeresim sapiens è stato oggetto di vive discussioni tra i teologi, stante l'obiettiva difficoltà di tenerla distinta sia dall'error theologicus sia dalla sententia haeresi proxima; volentieri chiarisco, dunque, di averla impiegata e intesa nel senso del Montagnus, De censuris seu de notis theologicis, et de sensu Propositionum, in J.P. Migne (cur.), Theologiae cursus completus..., vol. I, Parigi 1839, coll. 1179-80 (ma cfr. amplius ibid. tutto il dibattito sul punto): quella proposizione che, in sé, è passibile di un senso duplica, cattolico oppure eretico, e dove però, per ragioni intrinseche o estrinseche (circostanze di tempo o di luogo), appare prevalente il senso eretico (stessa cosa dicasi, mutats mutandis, per il sapor di scisma). Cfr. l'applicazione subito infra nel testo.
[6]    E comunque, gli acattolici – appunto in quanto tali – avrebbero gioco facile a tenere in non cale censure teologiche di segno “papista”.

5 commenti:

  1. Basta! perché di vogliamo far male da soli? i paramenti con i merletti sono leciti e bellissimi, quante preghiere vi avranno profuso le suore che li hanno realizzati?

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  2. Le grafie Mascall e Maskell sono entrambe regolarmente impiegate, seppur la prima sia maggioritaria.

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  3. Alla fine merletti o pizzi dipende dal sacerdote. Credo i sacerdoti di una volta fossero meno star ma più tranquilli. I preconciliari di oggi sono molto al centro dell'attenzione perché fanno qualcosa che sentono superiore. Lefebvre aveva una personalità molto imponente, Don Vilmar Pavesi pure è finito sui giornali. Mi sembrano tutti molto egocentrici, meglio un sacco addosso allora.

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    1. Mons. Lefèbvre che ha speso TUTTA LA VITA a servizio della Chiesa e degli altri come missionario e come vescovo e, dopo aver vissuto gli ultimi anni della sua vita in una cameretta uguale a quella dei suoi seminaristi, è morto in povertà deve anche sentirsi dare dell'egocentrico dal primo quaquaraquà che scrive su internet? Ma vergognati!

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  4. "È facile raggiungerti, o Signore, ma soltanto per l'uomo disilluso dalla materia.Infatti colui che segue il sentiero della prosperità materiale,inebriato dall'ambizione di una nascita nobile, da vaste ricchezze, da una educazione elevata e da un aspetto fisico affascinante, rimane incapace di rivolgersi a Tua grazia con sincerità."

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