Ricordando il fraterno amico fra Claudio salito al Cielo lo scorso agosto (QUI e QUI).
Un invito ai nostri lettori a leggere e meditare.
L
Giornata
dell’Oblato
1°
ottobre 2017
Introduzione
Una delle possibili chiavi di lettura del
cosiddetto “fenomeno Jiadista”, che interessa ormai gran parte del mondo,
Europa compresa, si può individuare nel nihilismo.
L’intervento – omelia – tenuto nell’ultimo
incontro annuale degli oblati della B. V. del Soccorso (Ottobre 2017), vuole
essere un primo tentativo di analisi filosofico-teologica dello spirito nihilista.
Alla scuola di due maestri del secolo
scorso, lo statunitense Seraphim (Eugene) Rose e del russo Silvano del Monte
Athos, entrambi monaci, si è tentato di leggere con il primo il nihilismo come
radice della rivoluzione moderna (identificabile con la IV rivoluzione secondo
la dottrina controrivoluzionaria) e con il secondo il rimedio a quella che si
può chiamare una “malattia dello spirito”.
Fra
Lorenzo
In questa circostanza, giornata annuale
degli Oblati, vorrei fare il punto della situazione di quello che stiamo
vivendo, ma soprattutto come dovremmo rispondere agli accadimenti: quello che si chiama il problema dell’ora
presente.
A questo mi spinge anche la scritta che c’è
nell’icona dello ieromonaco Seraphim Rose, monaco americano che oggi ci accompagnerà
un po’ in queste nostre riflessioni. Nella sua icona tiene in mano un libro con
questa scritta: “È più tardi di quanto
pensiate; affrettatevi pertanto a compiere l’opera di Dio”.
San Paolo direbbe: “È ora di svegliarvi dal sonno perché il tempo si è fatto breve”.
Da dove partire? Perché mi è venuto in
mente di proporvi questi pensieri? Perché leggendo un’intervista rilasciata da
un intellettuale francese esperto di islamismo, professore universitario:
Olivier Roy, ho trovato questa sua risposta a una domanda puntualissima. E’ da
qui infatti che sono partito per pensare per me stesso e poi per offrirvi
queste cose.
Esperto di oriente e di Islam, Olivier Roy
ha risposto alla domanda: “Professore,
lei sostiene che l’attuale terrorismo jihadista in Europa è l’esito di un
processo di islamizzazione del radicalismo e non di radicalizzazione
dell’islamismo? In altri termini, continua l’intervistatore, non è l’origine religiosa ma il nichilismo
che spiega la scelta della violenza”?
Così ha risposto: “Ciò che del jihadismo
affascina questi giovani è la morte; la morte degli altri, ma anche la propria.
Infatti compiono attentati suicidi. In più, di fronte al vuoto della propria
vita sono attirati da una strana estetica della violenza e della morte.
Un’estetica moderna, alimentata dai mass media, sui quali imperversano
violenza, spargimento di sangue, morte, tutto filmato spesso dal vivo, e
trasmesso davanti agli occhi di tutti. Si crea veramente un’estetica così della
violenza, della morte che rende attrattivo il gesto estremo del nichilista.
Piace, c’è un fascino del male”. Continua il professore: “dicono, questi
giovani, la mia vita era vuota e si ribellano. Sanno di non potere essere
felici e mettono in risalto che alla base di tutto c’è una problematica
esistenziale molto forte”.
Molto importanti queste espressioni; questa
problematica esistenziale dei giovani di oggi è totalmente diversa da quella
che hanno vissuto i giovani degli anni 60 - 70 del secolo scorso; quelli in
qualche modo della mia generazione, i quali tutto sommato si ribellavano,
volevano la rivoluzione ma per degli ideali: politici, sociali, cambiare in
vista di un’idea. No, oggi c’è una problematica esistenziale; il vuoto della
vita. Il nostro professore dice che tra le cause di questo male di esistere c’è
stata anche una mancanza di trasmissione, una rottura della tradizione che si è
interrotta.
Domanda l’intervistatore: “Come, ormai
siamo quasi alla seconda generazione di islamici che sono emigrati in Europa, e
sono proprio i figli di questi islamici, più o meno occidentalizzati che
compiono questi attentati. In Siria, in Iraq ci sono molti gli europei che
vanno ad incrementare le milizie jihadiste.
Il “problema”, risponde Roy, “va posto in
questi termini. Non è una guerra di religione; è una guerra dell’uomo
sull’uomo”.
Il nostro professore mette in risalto che
la causa di questo è proprio il nichilismo; il nulla. Leggendo questa
intervista mi è naturalmente venuto in mente il nostro monaco americano.
Il nichilismo dunque è la lezione dello
ieromonaco Seraphim Rose. È vissuto nel secolo scorso. Figlio di emigrati norvegesi,
ha fatto parte della controcultura della beat
generation del suo tempo. Un uomo con la intelligenza molto acuta, molto
profonda, sempre alla ricerca della verità, e per questo ha patito grosse sofferenze
interiori. Perché ci interessa? Perché i suoi scritti fanno parte
dell’esperienza della sua vita. Il nichilismo lui l’ha vissuto sulla propria
pelle.
Vi leggo soltanto un brano breve della sua
biografia per renderci conto di quello che ha sperimentato. Siamo negli anni 50
60 negli Stati Uniti d’America, in California. Cercava di raggiungere la verità
con la sua mente, ma questi tentativi risultarono tutti un fallimento. «Era
ridotto a tale stato di disperazione che quando più tardi gli chiedevano di
descriverlo riusciva soltanto a dire: ero all’inferno. Si ubriacava; lottava
con il Dio che egli aveva affermato che era morto, picchiando sul pavimento e
urlandogli di lasciarlo in pace. Una volta ubriaco scrisse: sono ammalato, come
sono ammalati tutti gli uomini privi dell’amore di Dio».
Questo monaco dicevo, che ha sperimentato
su di sé l’inferno e la morte, ci può insegnare qualche cosa. Cerchiamo di
seguirlo piano piano perché lui arriva proprio al cuore del problema. Si
convertì e divenne monaco. In questa sua ricerca entrò un giorno a S. Francisco
in una chiesa dove si celebrava la divina liturgia. Era la chiesa russa
all’estero. Americano, anche se conosceva già un po’ di lingue per la sua
preparazione, entrò e racconta: «Non capivo quello che stava succedendo, ma
capii che ero arrivato». Si convertì, divenne monaco, poi sacerdote. Non è il
caso di raccontare la sua vita perché ci porterebbe fuori strada. Ci basta fermarsi
qua.
Dunque con Seraphim Rose andiamo così alla
ricerca del fondamento del nichilismo. C’è un fondamento filosofico, ma a noi
interessa il fondamento teologico. Una teologia capovolta e spirituale perché
tocca lo spirito e non solo la mente filosofica, lo spirito dell’uomo. Per fare
questo però, seguendo il nostro monaco, bisogna strappare una maschera spesso
oscura per gli stessi nichilisti che non si rendono conto delle cose fino in
fondo. Perché quella radice spirituale non sempre è evidente neppure per loro.
Scrive il monaco Seraphim: «Nella sua forma
filosofica si esprime nella frase non c’è verità; nella sua versione teologica
si concretizza nell’annuncio sconvolgente Dio è morto. Dio però è morto nel
cuore dell’uomo moderno. Questo è ciò che significa la morte di Dio - ed è
tanto vero per gli atei e i seguaci di Satana che godono di questo fatto quanto
è vero per le masse incolte nelle quali il senso della realtà spirituale è
semplicemente scomparso». Mi fermo qui perché tra queste masse incolte ci siamo
anche noi. Noi non siamo studiosi teorici del nichilismo; ma noi lo respiriamo
volenti o nolenti; ci riguarda anche da vicino. L’uomo ha sempre più perduto la
fede.
Ricordo qui tra parentesi quell’espressione
di Benedetto XVI (la desertificazione del cuore dell’uomo moderno); il deserto
dell’ateismo, del secolarismo, del nichilismo che piano piano invade come
polvere che si deposita su un mobile che non viene pulito. Poi ti accorgi: ma
guarda com’è sporco. Troppo tardi spesso. Ma non vogliamo arrivare troppo
tardi.
Dice Seraphim Rose nell’icona: “Affrettatevi a compiere l’opera di Dio”.
Dunque l’uomo ha perduto la fede, tuttavia la radice nichilista si situa ad un
livello più profondo ancora e si presenta come una sorta di rivelazione. Così
come c’è la rivelazione cristiana, c’è una rivelazione nichilista, una
rivelazione vera e propria con il suo profeta le cui parole sono chiaramente
intese come un attacco diretto alla rivelazione cristiana: il profeta è Zaratustra.
Chi conosce gli scritti di Nietzsche comprende subito a cosa ci si riferisce.
Dunque un attacco vero e proprio diretto alla rivelazione cristiana. Non una
cosa capitata per caso. No, una volontà precisa. Continua Seraphim Rose: «Per coloro che accettano la nuova
rivelazione si apre un universo spirituale completamente nuovo in cui Dio non
esiste più, in cui più significativamente, gli uomini non vogliono che Dio
esista».
È un vero e proprio atto di volontà. Questo
dobbiamo comprendere; non è una cosa che mi capita così per caso, magari perché
sono un po’ distratto. C’è una volontà precisa.
«È decisamente sbagliato - continua
Seraphim Rose - allora considerare il nichilista moderno un agnostico (uno che dice:
non posso arrivare a conoscere Dio). La morte di Dio non gli è capitata addosso
come una specie di catastrofe cosmica; è lui che l’ha attivamente voluta».
Il passo che segue è importante: «E’ il
nichilista che l’ha attivamente voluta, non direttamente per la verità, ma in
maniera ugualmente efficace preferendo qualcos’altro al vero Dio». Questo ci
tocca direttamente. Tutte le volte che al Dio Trinità, al Dio amore, al Dio
cristiano preferisco qualcos’altro ho già fatto spazio alla morte di Dio nel mio
cuore: al nichilismo. Ogni volta che non metto Dio al primo posto, che
trasgredisco il primo dei comandamenti anche nelle piccole cose, e non ha
importanza il piccolo o il grande perché al diavolo basta un capello per
tirarci dove vuole lui. Preferendo qualcos’altro al vero Dio.
Qual’è allora la natura della fede
nichilista? Dobbiamo andare più in fondo per quanto ci è possibile aiutati dal
nostro monaco per comprendere: «È l’esatto contrario della fede cristiana e per
questo motivo finisce che non può per nulla essere chiamata fede».
Attenzione alle caratteristiche che elenca:
«Mentre la fede cristiana è gioiosa, certa, serena, amabile, umile, paziente,
sottomessa in tutto alla volontà di Dio, la sua controparte nichilista è piena
di dubbio, di sospetto, di disgusto, di invidia, di gelosia, di orgoglio, di
impazienza, di ribellione, di empietà con la predominanza di una o più di
queste qualità a seconda delle caratteristiche personali di ciascuno.
E’ un atteggiamento di scontento nei
confronti di sé stessi, del mondo, della società, di Dio; non conosce che una
sola cosa: che non vuole accettare le cose come sono».
Appare evidente il desiderio di arrivare
fino a voler capovolgere anche la creazione di Dio. Non voglio che le cose
stiano così come sono. Insisto su questa volontà che non accetta le cose così
come sono.
Continua Seraphim Rose: «Il Nichilista deve dedicare le
sue energie o a cambiarle o a fuggire da esse. È stato ben descritto da
Bakunin (uno dei grandi teorici del nichilismo) come il sentimento di
ribellione, questo orgoglio satanico che disprezza la sottomissione a qualsiasi
padrone, sia essa di origine divina o umana».
Così arriviamo finalmente al punto,
all’autore principale di questo nichilismo. La ribellione nichilista come la fede
cristiana è un atteggiamento spirituale definitivo e irriducibile avendo la sua
fonte e la sua forza in sé stessa e naturalmente nell’autore preternaturale
della ribellione: satana.
Abbiamo a che fare direttamente con satana
dentro il nostro cuore. Dalla ribellione, come ci ha detto Bakunin, alla
violenza il passo è breve. Ecco spiegata la violenza di oggi, da dove viene è
utile scoprirlo e saperlo anche per noi stessi.
Ma andiamo ancora al cuore della lezione
del ieromonaco Seraphim. Per l’uomo combattere contro il Dio ha delle conseguenze
all’inizio insospettate. Non ci rendiamo conto subito quando combattiamo contro
Dio, ma poi nessuno è così cieco da non averne coscienza, anche se non sempre
riesce a spiegarselo.
Ci si domanda: «Ma perché mi capita
questo”? E ci si risponde: «Non lo capisco». E quali sono le conseguenze?
L’ansietà e la paura.
Quanti giovani, o meno giovani che accosto
e vengono per confessarsi, e non manifestano altro che ansietà e paura: “Padre
sono in ansia, padre ho paura”. E non è forse l’esito di quello che stiamo
dicendo?
Quando Seraphim Rose elencava le
caratteristiche del nichilista: dubbio, sospetto, disgusto, invidia e gelosia,
orgoglio, impazienza, ribellione, queste non possono non causare ansia o paura.
Scrive Seraphim Rose: “L’ansietà senza
nome…”.
Perché alla domanda: «di che cosa sei in
ansia, di che cosa hai paura»? Rispondono: “Non lo so”.
È molto interessante questo: si ha paura di
solito di qualche cosa. Ho un esame da affrontare: sono in ansia, è normale. Ma
quando sei in ansia e non sai perché… L’ansietà senza nome dei tanti uomini di
oggi testimonia la loro partecipazione passiva al programma del nichilismo; non
sono attivi, ma passivi, e partecipano inconsapevolmente di questo programma.
Va avanti Seraphim Rose: «Una sorta di
abisso sembra essersi aperto nel cuore dell’uomo. Questa ansietà e questo
abisso sono esattamente il nulla dal quale Dio ha chiamato all’esistenza ciascun
uomo e nel quale l’uomo sembra riprecipitare quando nega Dio. Si va a contatto
col nulla».
È veramente infernale questo programma.
Quel nulla dal quale Dio ha chiamato all’esistenza ciascun uomo e nel quale
l’uomo sembra riprecipitare quando nega Dio, di conseguenza la sua origine e il
suo essere: vengo da Dio, il mio essere è da Dio.
Avanti ancora: questa paura di precipitare
fuori dall’essere e di arrivare ai margini del nulla, questa sensazione si
trasforma in una frenesia di energia satanica che spinge l’uomo a infierire contro
l’intera creazione e a trascinarla se possibile nell’abisso con sé.
Queste cose andrebbero profondamente
meditate. C’è veramente un’attrattiva: quell’estetica di cui ci ha parlato il
professor Roy. Inspiegabilmente si è attratti da questo male che nasce nel
cuore, questa energia satanica che ti porta a voler distruggere tutto: dalla
ribellione, alla violenza si passa alla disperazione: l’uomo disperato di oggi.
Disperazione, disperare è un atto positivo
di volontà. Così ci avviamo all’ultima parte di questa riflessione. Disperare
infatti anche teologicamente vuol dire scendere nell’inferno.
San
Tommaso d’Aquino quando parla dei peccati contro la spe-ranza e parla della
disperazione di chi ha peccato contro la speranza, cita dalle etimologie di S.
Isidoro proprio questa espressione. “Disperare è scendere all’inferno”; i
medievali già avevano compreso queste cose.
Ma cos’è questo disperare? Disperare come
volontaria decisione è un vero e proprio atto dello spirito; volere che le cose
e l’uomo in particolare finisca male. Ecco che non è un puro sentimento, o
qualcosa che mi accade. Arrivo a volerlo direttamente. Certo, io non vado a
mettere le bombe o a riempirmi di bombe per fare scoppiare chi è intorno a me e
suicidarmi, ma quante piccole disperazioni, quante piccole ribellioni, quanta
volontà di distruggere anche una piccola cosa, mosso da tutto questo mondo
interiore di cui spesso ahimè ho vaga conoscenza.
Siamo arrivati così al cuore del problema.
Ma un problema, quando presenta i dati poi cerca la soluzione, e infatti non possiamo
fermarci qui. Cosa fare allora; come rispondere a questa minaccia che coglie
tutti? Innanzitutto, quello che cerchiamo di fare, è di avere sempre più
coscienza che questo male riguarda veramente anche noi; non dobbiamo pensare
solo a quel giovane disperato che si butta giù dal ponte, cosa accaduta anche
qui in Garfagnana. E’ qualcosa che riguarda tutti noi.
Una cosa che mi colpì i primi tempi del mio
ministero, è quando mi dicevano: “Padre ho il pensiero di suicidarmi”. E non è
raro avere questi pensieri. Ma non sappiamo da dove vengono; è tutto questo
mondo interiore nichilista che ce li procura. E chi non si oppone a questi
pensieri può arrivare veramente a seguirli fino a togliersi la vita.
La prima cosa di cui dobbiamo avere
coscienza è che il male prende tutti noi. Poi, soprattutto per noi, per
riscoprire per ricordare la nostra vocazione di monaci, eremiti, oblati, amici
dell’Eremo, tornare continuamente alla nostra chiamata quale atto d’amore di
Dio.
Dio mi ha creato come atto d’amore.
Il filosofo Joseph Pieper, nel suo libro
sull’amore, dice che quando Dio crea soprattutto l’uomo ha un’espressione bellissima.
Dio quando ci crea mettendoci nel mondo dice: “E’ bene, è bello che tu ci sia”.
Dunque tornare alla nostra chiamata quale atto d’amore di Dio.
Dobbiamo avere coscienza che la scienza
divina consiste essenzialmente, e qui veniamo direttamente a noi, nel
comprendere tutta la potenza delle parole di Cristo «Imparate da me che sono mite e umile di cuore».
Questo, e solo questo è l’antidoto al
nichilismo. Ma facciamo attenzione alle parole pronunciate. Non si tratta della
parola evangelica che ti dice: “Impara da
me che sono mite e umile di cuore”. Questa espressione va letta bene:
prendere coscienza della potenza di queste parole; non lette così tanto per
leggere, e non meditate così tanto per meditare, ma comprendere che siccome è
parola di Dio esce da questa parola una potenza divina che mi investe, mi
guarisce, mi protegge da questo male. “Imparate
da me che sono mite e umile di cuore”. La mitezza che converte la ragione.
Dice infatti San Giacomo: “L’ira dell’uomo
non compie ciò che è giusto davanti a Dio”, perché acceca la ragione. Dunque la
mitezza converte la ragione e l’umiltà converte il cuore.
Allora adesso bisogna andare alla scuola di
un altro maestro, colui che Thomas Merton ha definito il Monaco più autentico
del 20º secolo e che Don Divo Barsotti ha definito colui che forse compendia in
modo pieno tutta la tradizione monastica orientale: San Silvano del Monte
Athos.
Perché ci è particolarmente utile la sua
lezione a questo punto? Siamo giunti con l’analisi del ieromonaco Seraphim Rose
alla condizione di disperazione quale discesa nell’inferno.
Ebbene San Silvano ha vissuto questa
condizione spirituale sulla propria pelle; anzi è meglio dire nella sua anima.
È uno che ha vissuto in monastero sul Monte Athos con la disperazione descritta
da Seraphim Rose quale discesa all’inferno. Ecco perché può darci delle
indicazioni importantissime, su come affrontare questo tempo, questa battaglia
che si situa nel fondo del cuore. Provò infatti in modo lacerante l’abbandono
della presenza del Cristo amore e attraversò un estremo “stato di abbandono”
che è propriamente infernale. Ha delle preghiere appassionate e drammatiche
insieme. Per esempio, in momento di particolare disperazione: “Ti cerco Dio con le lacrime agli occhi e di
nuovo ti perdo; ancora il mio spirito desidera la tua dolcezza, ma tu non mostri
il tuo volto che la mia anima desidera giorno e notte e io piango come un
bambino che ha perduta la madre”.
Una volta lo spirito di disperazione si
abbatté su di lui e si sentì definitivamente scacciato da Cristo.
Devo aprire qui una parentesi, per
comprendere meglio. Silvano, all’inizio del suo cammino monastico sull’Athos
ebbe la visione di Cristo, del volto dolce, amante, compassionevole del Cristo.
Lo conobbe nello Spirito Santo.
Possiamo comprendere meglio ora queste sue
preghiere, queste sue sofferenze, quando si sentì scacciato da quel Cristo
dolce, compassionevole che aveva incontrato. Si ritrovò al punto di non essere
più in grado di pregare. Lui stesso raccontò: “Nel mio intimo sentii la voce
del Signore: «le anime orgogliose
soffrono sempre a causa dei demoni» e dissi «Signore fammi comprendere quali devono essere i miei pensieri affinché
la mia anima trovi l’umiltà» e ricevetti la seguente risposta: «Tieni il tuo spirito agli inferi e non
disperare»”.
Ecco l’esperienza del nichilismo letta da
Cristo stesso. E racconta San Silvano: “Da
quel momento ho cominciato a fare così e la mia anima ha trovato la pace in Dio”.
«Tieni
il tuo spirito negli inferi e non disperare» è la parola straordinaria e
straordinariamente attualissima.
Tutti noi attraversiamo o abbiamo
attraversato i nostri momenti di discesa agli inferi che viviamo come
condizione negativa, e che desideriamo fuggire, per poi cadere da un inferno
all’altro. Sappiamo bene, ciascuno di noi conosce bene quel proprio momento di
difficoltà: malattia, incomprensione, calunnia, fallimento, di discesa agli
inferi, di disperazione e si vuole fuggire.
E Cristo ti dice: “Stai lì”. Veramente una parola unica. Cristo dice: “Tieni il tuo spirito agli inferi”.
Rimani, perché solo rimanendo lì puoi riacquisire l’umiltà. È veramente una
conversione della mente che dobbiamo fare. Noi fuggiamo dai nostri momenti di
inferno e così fuggiamo la possibilità di diventare umili.
Cerchiamo di comprendere ancora meglio
questa medicina. Per noi la questione si deve porre in altri termini che sono
quelli che costituiscono la seconda parte della risposta di Cristo a San
Silvano: “Non disperare”. Va presa
insieme questa frase.
Non disperare perché nei tuoi inferni, se
stai lì, incontri Cristo, incontri quel Cristo che vi è disceso prima di te. E
vi è disceso spogliando sé stesso di tutto, fatto umile, obbediente fino alla
morte. Abbiamo visto anche domenica scorsa commentando l’omelia del Vangelo: spogliato di tutto.
Anche tu ti senti spogliato di tutto, ma
sappi che Lui poi ti riveste, ti vuole nudo per rivestirti. Infatti Cristo vi è
disceso spogliando sé stesso di tutto, per poi risorgere pieno di grazia per
te, non per lui, per risvegliare prima di tutto la speranza: che non trovi in
altri vissuti. Se la cerchi da altre parti senti la ribellione infernale dentro
di te. Se la cerchi lì, la trovi.
Cristo assume le tenebre di coloro che ama
e comunica con la grazia la luce, la pace e la gioia. Qui si situa anche il
comprendere nel senso del prendere con, insieme, tutta la potenza salvifica di
quella parola: “imparate da me che sono
mite e umile di cuore”.
Solo lì lo comprendi, lo fai tuo. E’ questa
l’umiltà vissuta o trasmessa dal monaco russo San Silvano. Si parla tanto di
umiltà ma la si capisce poco.
Si citano i 12 gradi di San Benedetto, i 3
gradi di Sant’Anselmo d’Aosta, i 3 di Sant’Ignazio di Loyola, ma l’umiltà che
insegna San Silvano, secondo i suoi commentatori, è l’umiltà a somiglianza di
Cristo.
È questa la scienza divina, e qui San
Silvano si incontra con Sant’Isacco il Siro il quale, quando parla dell’umiltà,
cosa ti dice? “L’umiltà è la veste di
Cristo, e la sua carne”.
Perché si è rivestito spogliandosi. Dunque
ha assunto la carne, cioè l’umiltà. L’umiltà a somiglianza di Cristo. E la sua
carne la trovi nell’Eucarestia.
L’ultimo passaggio, perché non siamo ancora
arrivati a comprendere quello che vuole comunicarci San Silvano. L’umiltà quale
discesa e permanenza agli inferi è direttamente e indissolubilmente collegata,
legata alla preghiera di intercessione. Perché quando tu sei lì e rimani lì,
entri in comunione con tutti i disperati e non giudichi più, non critichi più
perché sei fatto simile a loro.
Nasce a quel punto la preghiera di
intercessione. Preghi con com-passione per quelli che sono come te, perché sei
anche tu così. Non trovi fuori di questa condizione e questo luogo la preghiera
d’intercessione. Puoi fare delle intercessioni, ma non diventi tu
intercessione.
Questo per il monaco, l’eremita, l’oblato,
ma per chiunque, per noi in modo particolare. Intercessione per tutti gli
uomini buoni o cattivi, amici o nemici ricchi o poveri, pezzenti, straccioni,
per tutti.
Perché questa è la forma di preghiera che
sgorga dal cuore che ha quella compassione amorosa, riflesso dell’amore di Gesù
Cristo stesso e che richiede - ecco siamo arrivati - il prezzo del sacrificio
più alto: il martirio interiore, il
martirio del cuore.
Il nostro, in modo particolare, se non
saremo chiamati al martirio di sangue. A questo siamo comunque tutti chiamati.
E concludo veramente con la conferma della
Madonna - oggi è la sua festa. Il Monaco Parfenij anziano del monastero delle
Grotte di Kiev che fu uno degli eletti della Purissima, riflette molto per
scoprire che cosa fosse l’essenza della vita del monaco e della consacrazione
monastica. Un giorno davanti all’icona della Sempre Vergine presente nella sua
cella, mentre pregava perché le rivelasse che cosa fosse la consacrazione
monastica udì da lei le parole: “E’
consacrare se stessi alla preghiera per tutto il mondo”. Amen.