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mercoledì 11 aprile 2018

#chiesacattolicadovevai? Le relazioni di Mons. Schneider e del Prof. Puccetti




Proseguiamo con la pubblicazione dei testi integrali delle relazioni tenute al Convegno "Chiesa Cattolica dove vai?" di sabato 7 aprile, e Vi proponiamo gli interventi di Mons. Athanasius Schneider e del Prof. Renzo Puccetti (fonte: Stilum Curiae).





La Sede Apostolica come cattedra della verità
di Athanasius Schneider


Il Quarto Concilio Ecumenico di Constantinopoli così insegnava: “Nella Sede Apostolica è sempre stata conservata pura la religione cattolica, e professata la santa dottrina. … In essa si trova tutta la vera solidità della religione cristiana” (Dalla formula di Papa Ormisda, sottoscritta dai Padri del Quarto Concilio di Constantinopoli). E il Concilio Vaticano I insegnava: “La Sede di San Pietro si mantiene sempre immune da ogni errore in forza della divina promessa fatta dal Signore, nostro Salvatore, al Principe dei suoi discepoli: “Io ho pregato per te, perché non venga meno la tua fede, e tu, una volta convertito, conferma i tuoi fratelli”. Questo indefettibile carisma di verità e di fede fu dunque divinamente conferito a Pietro e ai suoi successori in questa Cattedra, perché esercitassero il loro eccelso ufficio per la salvezza di tutti, perché l’intero gregge di Cristo, distolto dai velenosi pascoli dell’errore, si alimentasse con il cibo della celeste dottrina e perché, dopo aver eliminato ciò che porta allo scisma, tutta la Chiesa si mantenesse una e, appoggiata sul suo fondamento, resistesse incrollabile contro le porte dell’inferno” (Cost. Pastor aeternus, cap. 4).


Fin dalla metà del terzo secolo San Cipriano usava il termine “cattedra” per indicare la potestà della Chiesa Romana, in virtù della Cattedra di Pietro, donde scaturisce, egli dice, l’unità della gerarchia (cf. Ep. 59, 16). Così scriveva anche San Girolamo: “Ho deciso di consultare la cattedra di Pietro, dove si trova quella fede che la bocca di un Apostolo ha esaltato; vengo ora a chiedere un nutrimento per la mia anima lì, dove un tempo ricevetti il vestito di Cristo. Io non seguo altro primato se non quello di Cristo; per questo mi metto in comunione con la tua beatitudine, cioè con la cattedra di Pietro. So che su questa pietra è edificata la Chiesa” (Le lettere I, 15, 1-2).

Il carisma della verità è affidato da Dio in primo luogo a San Pietro e ai suoi sucessori, i Romani Pontefici, la cui sede si chiama consequentemente la cattedra della verità per eccellenza. Considerando il loro ministero della verità, i Romani Pontefici devono essere continuamente consapevoli di non essere proprietari della cattedra della verità, ma servitori e vicari. La caretteristica propria del ministero degli Apostoli consiste nell’essere “pastori vicarii”, come lo dice il prefazio degli Apostoli: “Quos operis Tui vicarios eidem contulisti praeesse pastores”. Il ministero petrino nella Chiesa è essenzialmente un ministero vicario. Perciò il Romano Pontefice è chiamato “Vicarius Christi”. San Gregorio Magno (+ 604) amava di parlare del vescovo di Roma come del «vicario di san Pietro» (Registrum Epistolarum XII, 7). Il Papa san Gelasio I (+ 496) affermò che il Romano Pontefice deve essere in primo luogo “minister catholicae et apostolicae fidei” (Ep. 43).

Impressionante e attualissima è la seguente formula di giuramento che i Papi da oltre un milennio hanno fatto all’inizio del loro ministero apostolico: “Io prometto: di non diminuire o cambiare niente di quanto trovai conservato dai miei probatissimi antecessori, e di non ammettere qualsiasi novità, ma di conservare e di venerare con fervore, come vero e loro discepolo successore, con tutte le mie forze e con ogni impegno, ciò che fu tramandato; di emendare tutto quanto emerga in contraddizione alla disciplina canonica, e di custodire i sacri Canoni e le Costituzioni Apostoliche dei nostri Pontefici, quali comandamenti Divini e Celesti, (essendo io) consapevole che dovrò rendere stretta ragione davanti al (Tuo) giudizio divino di tutto quello che professo; io che occupo il (Tuo) posto per divina degnazione e fungo come il tuo Vicario, assistito dalla Tua intercessione. Se pretendessi di agire diversamente, o di permettere che altri lo faccia, Tu non mi sarai propizio in quel giorno tremendo del Divino Giudizio … Perciò, ci sottoponiamo al rigoroso interdetto dell’anatema, se mai qualcuno,o noi stessi, o un altro abbia la presunzione di introdurre qualsiasi novità in opposizione alla Tradizione Evangelica, o alla integrità della Fede e della Religione, tentando di cambiare qualcosa all’integrità della nostra Fede, o consentendo a chi pretendesse di farlo con ardore sacrilego.” (Liber Diurnus Romanorum Pontificum). È urgente di ripristinare questo giuramento papale ai nostri giorni.

Nei tempi moderni i Romani Pontefici hanno insistito sul dovere dei Papi di difendere la verità e di proteggere la Chiesa dagli errori e eresie. Leone XIII insegnava: “In tanta pazza confusione di ideologie così vastamente diffuse, è certamente compito della Chiesa assumersi la difesa delle verità e sradicare dagli animi gli errori: questo in ogni tempo e religiosamente, poiché essa deve tutelare l’amore di Dio e la salvezza degli uomini. Ma quando lo richieda la necessità, non solo devono difendere la fede i prelati, ma “ciascun fedele deve propagare agli altri la propria fede, sia per l’istruzione degli altri fedeli, sia per confermarli, o per reprimere gli assalti degli infedeli” (S. Thom., Summa theologiae, II-II, quaest. 3, art. 2, ad 2). Cedere all’avversario o tacere, mentre dovunque si alza tanto clamore per opprimere la verità, è proprio dell’inetto oppure di chi dubita che sia vero quello che professa. […] L’arrendevolezza dei buoni aumenta l’audacia dei malvagi. Per questo è ancor più da condannare l’inerzia dei cristiani perché il più delle volte si possono confutare gli errori e le malvagie affermazioni facendolo spesso con poco sforzo; ma farlo sempre occorre un impegno molto più grande. Per ultimo, nessuno è dispensato dall’usare quella forza che è propria dei cristiani, perché con essa si spezzano spesso le macchinazioni e i piani degli avversari. Ci sono poi dei cristiani nati per la disputa: quanto più grande è il loro coraggio, tanto più certa è la vittoria con l’aiuto di Dio. “Confidate: io ho vinto il mondo” (Gv 16,33). […] Gli impegni più importanti di questo dovere sono di professare la dottrina cattolica a viso aperto e con costanza” (Enciclica Sapientiae Christianae, 10 gennaio 1890).

Papa Giovanni XXIII insegnava: “Di tutti i mali che, per così dire, avvelenano gli individui, i popoli, le nazioni, e così spesso turbano l’animo di molti, causa e radice è l’ignoranza della verità. E non l’ignoranza soltanto, ma talvolta anche il disprezzo e uno sconsiderato disconoscimento del vero. […] Coloro poi che, con ardire temerario, impugnano di proposito la verità conosciuta, e parlando, scrivendo, operando, usano le armi della menzogna per attirarsi il favore del popolo semplice e per plasmare a loro modo l’animo dei giovani, ignaro e molle come cera, quale abuso non commettono, quale opera riprovevole non compiono essi mai! […] Per neutralizzare con ogni cura e diligenza, il cattivo influsso di questi mezzi pericolosi che si va sempre più diffondendo, bisogna fare ricorso alle armi della verità e dell’onestà. […] Non mancano poi quelli che, pur non impugnando di proposito la verità, si mostrano tuttavia a suo riguardo oltremodo incuranti e indifferenti, come se Dio non ci avesse dato la ragione per cercarla e raggiungerla. Tale riprovevole modo di agire conduce, quasi per un processo spontaneo, a questa assurda affermazione che tutte le religioni si equivalgono, senza alcuna differenza tra il vero e il falso. «Questo principio porta necessariamente alla rovina di tutte le religioni, specialmente di quella cattolica, la quale, essendo la sola vera fra tutte, non può senza somma offesa venire messa sullo stesso piano delle altre» (Leo XIII, Litt. enc. Humanum genus). Il negare qualsiasi differenza tra cose tanto contraddittorie, può condurre poi a questa rovinosa conclusione, che non si ammette più alcuna religione né in teoria né in pratica. Come potrebbe Dio, che è verità per essenza, approvare o tollerare la trascuratezza, la negligenza, l’insipienza di coloro che, allorquando si tratta di questioni da cui dipende l’eterna salute di tutti, non ne tengono conto alcuno, né si curano affatto di cercare e trovare le verità necessarie e di tributare a lui stesso il culto dovuto? Oggi tanto ci si affatica e tanta diligenza si pone nello studio e nel progresso dell’umano sapere, e la nostra epoca può ben gloriarsi delle mirabili conquiste raggiunte nella ricerca scientifica. Perché dunque non dovrebbe usarsi uguale impegno, anzi maggiore, per il sicuro acquisto di quel sapere che riguarda non già questa vita terrena e caduca, ma la celeste che mai verrà meno? Dal conseguimento della verità, piena, integra, sincera, deve necessariamente scaturire l’unione delle menti, degli animi e delle azioni. Infatti ogni contrasto e disaccordo trova la sua prima causa nel fatto che la verità o non è conosciuta o, peggio ancora, quantunque conosciuta, viene impugnata per i vantaggi che spesso si spera di ricavare da false opinioni, ovvero per quella biasimevole cecità che spinge gli uomini a giustificare i loro vizi e le cattive azioni.” (Enciclica Ad Petri Cathedram, 29 giugno 1959, 1-2).

Durante tutta la storia Satana, il padre della menzogna, attacca continuamente la Chiesa, e specialmente la cattedra della verità, che è la sede di Pietro. Per inscrutabile permesso della Provvidenza Divina gli attacchi di Satana contro la cattedra Romana, hanno avuto in casi rari l’effetto di una temporanea e circoscritta eclissi del Magistero Pontificio, quando alcuni Romani Pontefici hanno fatto affermazioni dottrinali ambigui, causando con questo una temporanea situazione di confusione dottrinale nella vita della Chiesa.

Tale possibilità si potrebbe vedere espressa anche nelle seguente parole tratte dall’Esorcismo contro Satana e gli angeli ribelli, redatto da Papa Leone XIII nell’anno 1884. Il testo originario dice: “Ecco, l’antico nemico e omicida si è innalzato con forza. Trasformatosi in angelo di luce, con tutta la massa degli spiriti maligni gira ampiamente e invade la terra per cancellare in essa il nome di Dio e del suo Cristo e per rapire, uccidere e rovinare nella dannazione eterna le anime destinate alla corona dell’eterna gloria. Il drago malefico effonde negli uomini depravati nella mente e corrotti nel cuore, come fiume ripugnante, il contagio della sua malvagità, lo spirito di menzogna, empietà e bestemmia, il soffio mortifero della lussuria, di tutti i vizi e le iniquità. Astutissimi nemici hanno colmato di amarezze e inebriato di assenzio la Chiesa, immacolata Sposa dell’Agnello; hanno messo le loro empie mani su tutti i suoi beni più preziosi. Là dove la sede del beatissimo Pietro e la Cattedra della verità è stata costituita per illuminare le genti, hanno posto il trono abominevole della loro empietà, perché, percosso il pastore, siano in grado di disperdere anche il gregge.” La mattina del 13 ottobre 1884 – esattamente trentatré anni prima dell’ultima apparizione mariana a Fatima e dello straordinario miracolo del sole – papa Leone XIII, mentre assisteva a una santa Messa in ringraziamento per quella che aveva appena celebrato, ebbe una visione divenuta famosa. Satana si presentava al cospetto di Dio per chiedergli il permesso di agire indisturbato, per un lasso di cento anni, allo scopo di distruggere la Chiesa, permesso che gli veniva accordato. Il Pontefice vide poi nugoli di demòni abbattersi sulla basilica di San Pietro per invadere la Sede petrina. Subito dopo la visione il papa compose la preghiera a san Michele arcangelo, che ordinò di recitare al termine di ogni Messa bassa, e il celebre esorcismo, da cui è tratta la citazione. La drammatica frase sulla sede del beatissimo Pietro sarà in seguito espunta da Pio XI onde evitare scandalo per la fede, ma essa risulta oggi quanto meno profetica.


Concludiamo con la seguente preghiera di Dom Prosper Gueranger: “Calma le tempeste, o Pietro, affinché i deboli non ne siano scossi; ottieni dal Signore che la residenza del tuo successore non venga mai interrotta nella città che tu eleggesti ed innalzasti a tanti onori. Se gli abitanti di questa città regina hanno meritato d’essere castigati perché dimentichi di ciò che ti devono, risparmiali per riguardo dell’universo cattolico, e fa’ che la loro fede, come al tempo in cui Paolo tuo fratello indirizzava la sua Epistola, torni ad essere famosa in tutto il mondò (Rom. I, 8).” (L’Anno Liturgico, Alba 1959, I tomo, p. 824).






Da Caffarra a Paglia: la rivoluzione nella bioetica
di Renzo Puccetti


Eminenze, eccellenze, reverendi padri e reverende madri, signori, signore, vi porgo il mio deferente saluto, ringrazio gli organizzatori per avermi concesso l’onore e il privilegio d’intervenire su un tema al quale il cardinale Caffarra ha dato tanto e dal quale ho ricevuto tanto. Prima di procedere è necessario fornire alcune precisazioni: che cos’è la bioetica? È una disciplina. Cosa fa? Esprime giudizi di moralità su procedure biomediche. Come procede? Attraverso un confronto interdisciplinare.


Essa non è il regno dell’opinione, dell’ignoranza, della superficialità fatua, vacua ed autoreferenziale Il primo istituto di bioetica in Italia è stato fondato da monsignor Elio Sgreccia. A generazioni di bioeticisti egli ha insegnato un approccio triangolare alle questioni bioetiche: la valutazione degli aspetti scientifici, di quelli antropologici ed infine l’espressione di un giudizio di moralità o immoralità, cioè il giudizio su un atto come bene o male. Nel mio intervento volutamente parlerò soltanto di idee. Nel 1948 Richard Weaver disse: “Le idee hanno conseguenze”. Anni dopo George Weigel precisò che le cattive idee hanno conseguenze disastrose. Dunque concordo con Eric Metaxas, dobbiamo stare molto attenti alle idee che ci vengono impiantate nel cervello. Intendo dimostrare che in ciascuno dei tre ambiti del metodo triangolare vi sono oggi problemi, gravi problemi. A partire dall’approccio scientifico. Tutti voi ricordate il caso di Charlie Gard, affetto da gravissima patologia mitocondriale, deceduto a seguito della rimozione della ventilazione da parte dei medici inglesi. Un membro della PAV ha pubblicamente affermato che nel caso di Charlie Gard l’accanimento terapeutico era “plateale”.

In quella stessa occasione il bioeticista cattolico definì l’accanimento terapeutico così: “interventi medici futili, inutili, privi di prospettive, altamente tecnologici, altamente invasivi, e in molti casi tali da dare forti sofferenze al malato”. Ma la ventilazione non è futile quando assicura l’ossigenazione dei tessuti e questa impedisce la morte della persona.

Se la vita di Charlie Gard era priva di prospettive, allora quali sono le prospettive di un malato di Alzheimer, di un paziente oncologico in fase avanzata, di un soggetto in stato vegetativo o di minima coscienza?

Se la tecnologia avanzata e l’invasività sono indicatori di accanimento, allora sono soggetti ad accanimento i portatori di pace-maker, Defibrillatori, pompe insuliniche e di impianti cocleari, tutti interventi ad altissima tecnologia?

Ed infine, non vi sono forse forti sofferenze nel sostenere trapianti e chemioterapie? Certo, esse sono proporzionate, perché comunque, pur procurando sofferenza, questi interventi alleviano una sofferenza maggiore.

Cito un altro caso. Ancora una volta vede come protagonista un membro di un’importante istituzione della Chiesa Cattolica deputata alla difesa della vita. Nel 2009 questo membro è stato coautore di un articolo in cui sono state utilizzate cellule staminali umane della linea MP002.5 le cui caratteristiche sono descritte in un articolo dello stesso anno dalla dottoressa Camilla Karlsson.

In quell’articolo la dottoressa Karlsson indicava in un lavoro del 2005 la spiegazione della procedura di produzione di quella linea di staminali embrionali umane.

Gli autori vi spiegano anche chiaramente di avere ottenuto le cellule a partire da embrioni prodotti da tecniche di fecondazione in vitro donati per le ricerche.

Eppure nel 2000 in uno specifico documento la stessa Pontificia Accademia aveva stabilito che non è moralmente lecito utilizzare staminali embrionali reperibili in commercio o fornite da altri ricercatori.

Un infortunio? Se è così si tratta di un infortunio recidivante, perché lo stesso ricercatore nominato nell’istituzione posta a protezione della vita nel 2016, compare tra gli autori di uno studio dove vengono utilizzate cellule mesenchimali ottenute da polmoni fetali. Nei metodi dello studio viene indicato che le cellule sono state fornite dall’azienda Novogenix.

Nel dicembre 2016 il Congresso degli Stati Uniti nomina una commissione per fare luce sullo scandalo della vendita dei tessuti da aborti praticata da cliniche affiliate alla Planned Parenthood. L’avvocato della Novogenix ammette che la sua azienda aveva un contratto con la Planned Parenthood di Los Angeles per ricevere tessuti e cellule da aborti volontari del primo e secondo trimestre per un corrispettivo di 45 $ a campione. Gustando un’insalata il capo dei servizi medici della Planned Parenthood d’America, ammetteva con totale tranquillità che le sue cliniche vendevano polmoni, fegati, arti interi dei bambini abortiti. È questo un modo rispettoso della dignità personale dell’embrione umano? Se si ribalta il giudizio di moralità sull’impiego di questi tessuti per la ricerca, ammettendo gli autori nei più alti consessi pro-vita, allora si cambia tutto l’impianto della collaborazione al male e si introduce il criterio etico consequenzialistico ed utilitaristico, oppure quello intenzionalistico. Un’azione sarebbe dunque buona se porta a benefici, o se è animata da buone intenzioni. E qui siamo allora di fronte ad un grande problema sulle fonti della moralità degli atti umani e sulla negazione delle azioni intrinsecamente malvagie. Siamo ad un cambiamento profondo dei criteri per esprimere la moralità delle azioni. Ed io, con tutto lo sforzo che posso fare, non riesco ad individuare nessuna continuità rispetto a ciò che mi è stato insegnato.

Ritorniamo agli aspetti scientifici, dove i problemi sembrano non essere isolati. In un’altra Pontificia Accademia è stato apprezzato John Bongarts, dal 1973 membro esperto dell’organizzazione per il controllo delle nascite di Population Council. Egli è l’autore della formula che porta il suo nome dei determinanti prossimi della fertilità. Essa postula matematicamente una costante del movimento per i diritti riproduttivi: contraccezione e aborto sono tra loro in rapporto inverso, all’aumentare della contraccezione diminuiscono gli aborti.Tuttavia abbiamo una mole di dati empirici che smentiscono questo assunto. In tre distinti studi il 90% delle donne che abortiscono ha usato la contraccezione nel mese in cui sono rimaste incinte, o dopo averla interrotta, cioè erano state esposte alla mentalità contraccettiva. Qualcuno sembra avere suggerito l’adozione del condom. Questo studio ecologico che presentai al Congresso Mondiale di Ginecologia a Roma, indica che negli Stati della federazione americana dove il condom è più utilizzato si registrano più aborti (è la linea in verde nel grafico). E in un altro contributo pubblicato sul British Medical Journal con la professoressa Maria Luisa Di Pietro mostrammo che lo stesso andamento si ha per la relazione tra uso del condom e infezioni da HIV.

In Francia, dove il 97% delle donne sessualmente attive che non cercano una gravidanza usa la contraccezione, Si registrano stabilmente oltre 200.000 aborti.

In questo studio svedese il rimborso totale dei contraccettivi in alcune regioni non si associa a minori tassi di aborto rispetto alle zone dove i contraccettivi sono a pagamento. Nel celebrato programma CHOICE dove nell’area di St. Louis sono stati elargite gratuitamente spirali e altri LARC, il numero di aborti è diminuito in misura minore rispetto all’area di Kansas City che veniva utilizzata come campione di controllo.

Un altro nuovo membro della Pontificia Accademia per la Vita ha scritto: “Se la responsabilità del generare è ciò a cui rimandano questi “metodi” (Continenza periodica n.d.r.), allora si può comprendere come nelle situazioni in cui essi siano impossibili o impraticabili, occorra trovare altre forme di responsabilità”.

Pare che si ignori che non esistono situazioni cliniche che rendano impossibile adottare i metodi naturali. E pare che si ignori che le altre forme di responsabilità ormonale abbiano tra i meccanismi d’azione possibili quello di rendere l’endometrio inospitale all’embrione, cioè un meccanismo abortivo. Di queste considerazioni non ho ricevuto minimamente eco in questi mesi di studio dei documenti che portarono alla redazione di Humanae vitae da parte di Papa Paolo VI e di annunci mediatici che da quei documenti cercano di trarre materiale per ribaltare la posizione sulla contraccezione di venti secoli di storia della morale cattolica. Allora formulo una pressante richiesta: si conceda l’accesso a quelle carte agli studiosi, senza limitarlo ad un gruppo ristretto. Si mostri quella volontà di trasparenza di cui è stato fatto sfoggio mediatico.

E se i metodi naturali fossero semplicemente una contraccezione cattolica, diversa dalla contraccezione solo per il fatto di essere “green” e non invece un comportamento performativo, in grado di modificare in profondità il centro decisionale delle persone che li adottano, perché gli sposi che la usano hanno un tasso di divorzio che è la metà o un terzo di quello registrato nei matrimoni dove si fa uso della contraccezione?

E perché tra di loro gli aborti sono un quinto rispetto alla popolazione generale?

E se la responsabilità procreativa può essere esercitata sottraendo la procreazione al sesso, perché non potrebbe messere fatto sottraendo il sesso alla procreazione? Se si può fare un male per ottenere un bene, perché non accettare il male di oltre un milione di vite umane embrionali per ottenere centomila vite umane neonatali?

E perché non aggiungere al sacrificio gli oltre 57.000 embrioni accumulatisi nei congelatori? Ciò è il risultato di 10 anni di fecondazione in vitro in Italia.

Nel 1972 Elizabeth Anscombe difese Humanae vitae con molti argomenti tra cui uno di stampo analitico. Se si può chimicamente amputare l’apertura alla vita tenendo ferma la sessualità tra uomo e donna, perché non farlo naturalmente variando il sesso degli attori della sessualità? Acquisito questo paradigma, come si fa a non dare ragione al collaboratore della comunicazione vaticana che promuove l’abbandono dell’indicazione degli atti omosessuali come “intrinsecamente disordinati” considerandoli “diversamente ordinati”? E come impedire la responsabilità generativa con altri metodi quando i metodi naturali sono impraticabili?

Desidero terminare con un pensiero che ritengo possa compiacere gli amanti dell’ecumenismo. Esso dice: «Il silenzio di fronte al male è esso stesso un male: Dio non ci riterrà senza colpa. Non parlare è parlare. Non agire è agire» L’autore è Dietrich Bonhoeffer. Credo che sia un diritto dei laici quello di ricevere più rispetto intellettuale, morale e spirituale dalla Chiesa attraverso i suoi uomini e le sue istituzioni. Tanto più quando vi sono persone che sull’insegnamento appreso hanno messo in gioco tutta la loro vita. Una di queste, il cardinale Caffarra, ora ci vede dal cielo, un’altra invece ci vede dalla sala, è una mia amica, ma soprattutto un’amica e discepola del Cardinale Caffarra che ha incarnato la Chiesa in uscita verso le periferie esistenziali ben prima che quaesta diventasse un’espressione di uso comune. È la fondatrice di Casa Betlemme, Flora Gualdani, a cui invito i presenti a tributare un applauso. Grazie.