L'Amico Francesco Maria Filipazzi di Campari & de Maistre, che ringraziamo di cuore, ci riserva questo bel pezzo scritto per celebrare il decennale del Motu Proprio. Siamo lieti di proporlo ai nostri lettori.
Quando 10 anni fa mi accorsi del clamore suscitato dal Motu Proprio Summorum Pontificum avevo compiuto 18 anni da pochi mesi. La cultura religiosa della mia famiglia era superiore alla media, così come l’adesione alla Chiesa cattolica era convinta e praticante. Di questa messa in latino però avevo sentito parlare ben poco. Sapevo che una volta a messa “non si capiva niente”, argomento proditoriamente tirato in ballo dai detrattori di mio papà che, da direttore del coro, imponeva musica sacra e spesso il gregoriano durante le cerimonie solenni. Sapevo anche che negli ultimi 40 anni a messa ci si divertiva di più e si doveva schitarrare per far venire la gente in Chiesa.Mio fratello ed io avevamo invece notato che della nostra generazione a messa ci andava poca gente e che da bambini ci sentivamo degli idioti quando ci facevano ballare a messa. In generale tutta la famiglia era “errante”, come dice Valli, alla ricerca della liturgia perduta.Dunque, Benedetto XVI aveva reintrodotto questa messa in latino. Per capire cos’era comprai il messalino, quello rosso delle San Paolo, nel quale si magnificava la liturgia tridentina. Eppure percepivo che questo Motu Proprio clamoroso, a
molti preti non piaceva. Andai da uno che reputavo colto e intelligente, credo avesse 50 anni, a chiedere se si sarebbe messo a celebrare in latino, ma mi rispose (testuale) “è un passato che non deve più tornare”. Ma come? Lo ha detto il Papa. Vabbé. I preti appena ordinati, interessati alla questione, vennero caldamente raffreddati. Il coetus che si costituì in diocesi venne soffocato con vari scherzi da prete.Eppure, alla fine della fiera, alla Messa in latino io, mio fratello e i miei amici e migliaia di persone, nel corso degli anni siamo riusciti ad andare regolarmente e più il tempo passa meno riusciamo a distaccarcene. Siamo disposti a fare chilometri e chilometri per raggiungere l’agognata liturgia tridentina. Sembra un mistero della fede, verrebbe da dire, che questi rompiscatole ogni tanto si affaccino in un ufficio di curia a chiedere una chiesa o una cappella per celebrare una messa secondo un messale che si voleva sotterrato, così come non è certo misterioso che i vescovi da dieci anni disobbediscano alle disposizioni papali negandocela. Ma sinceramente, non ci interessa. Finché c’è benzina noi ci spostiamo. Non ci ferma neanche la crisi petrolifera. A ballare in chiesa andateci voi se volete (sull’animismo africano piombato in alcune parrocchie che ho sott’occhio soprassiedo), ci sembra che l’alternativa offerta dalla Tradizione sia ben migliore e molto più stimolante.La mia generazione sta dimostrando, in campo religioso, una maturità senza precedenti. Allontanandosi dal ridicolo, o ha perso totalmente ogni interesse (il che è ben più dignitoso di un Alleluja delle lampadine) o si è accorta della fregatura post conciliare.Qualcuno adesso vorrebbe cancellare gli ultimi dieci anni di storia della Chiesa, eppure dovrebbero capire che il tentativo di eliminare la forma tridentina è fallito miseramente una volta. Questi signori caricaturali che si affannano tanto a dirne di tutti i colori contro il Summorum Pontificum mi fanno venire in mente un cartone animato che avevo su una VHS da piccolo. Paperino con Qui Quo e Qua va in campeggio e dopo varie peripezie finisce incastrato in un geyser, il quale tappato accumula e accumula e poi esplode. I nipotini cercano quindi di tapparlo con un tronco per salvare lo iellatissimo zio, ma il geyser esplode più potente di prima. Allora i nipoti prendono un grosso masso. Il geyser sembra domato ma ad un certo punto deflagra con una potenza inaudita. Per chi non l’avesse capito, insomma, il Messale di San Pio V mi ricorda quel gayser. Possono tapparlo e ritapparlo ma verrà sempre fuori con potenza inaudita. Chi non vuole essere travolto lo lasci in pace, insomma.Francesco Maria Filipazzi
Appropriatissima l'immagine del gayser che non si può tappare. Il messale di San Pio V: un monumento al Sacro di fronte al quale quello di Paolo VI scompare come neve la sole. Mi sembra di sentirli i cattolici qualunquisti che tengono il piede su due staffe, da una parte inneggiando al Summorum Pontificum e dall'altra continuando ad accreditare il Novus Ordo, e con la scusa che la Chiesa è una avallano il guazzabuglio tradizional-modernista. la "riforma della riforma" rappresenta un pericolo di ibridazione che tapperebbe il gayser, ma per fortuna il gayser non si può tappare.
RispondiEliminaLe cose cattoliche e di Dio restano, le cose eretiche create dall'uomo sono destinate a scomparire..."Non praevalebunt"!
RispondiEliminaSan Pio V un Santo Papa immenso!
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