Dai cari amici di Campari e De Maistre.
L
di Diego de Acebes
Il vero problema per il credente non è tanto cosa pensi il mondo. Per carità, non è sbagliato, anzi è persino doveroso per un battezzato informarsi. Un conto, però, è sapere e un conto è aderire. Qualcuno tirerà in ballo la solfa del dialogo: questo può sussistere però se si confrontano due o più idee differenti, altrimenti dialogare non serve a nulla. Per avere idee differenti, bisogna avere idee. Se uno non ha idee non può discutere.
I cattolici hanno idee, belle chiare e distinte, direbbe un Descartes, perché non sono del singolo ma della Comunità dei Santi, dove la Chiesa le attinge direttamente dal suo unico Signore. Il battezzato scopre così, a poco a poco, come sia bella la Verità una volta che con fiducia si sia fatto conquistare. Ma c’è anche il giudizio. «E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie», parola di Gesù.
Ed è una parola, rivolta a Nicodemo, che fa riflettere però tutti: forse non è la difficoltà del messaggio del Vangelo a fare problema, ma più probabilmente è il fatto che questo messaggio non piace. Siccome, però, se ne vede un’intrinseca bontà, il pio cattolico e il mondano coscienzioso non lo accantonano del tutto, piegandolo al loro gusto. Siamo di fronte a un bel guaio in tali casi, ma per fortuna abbiamo la Chiesa, mater et magistra. Anche qualora ci fosse un Vescovo eretico o addirittura un Papa di siffatta specie, si può ricorrere a comprendere i vari problemi studiando il bimillenario insegnamento della Chiesa, la quale – miracolo! – non è mai in contraddizione e che riporta sempre alla Verità.
Ma dinnanzi a questione nuove, non sviluppate in passato, come fare? È la domanda legittima, per esempio, per il “caso” della pratica, “intrinsece malum”, degli omosessuali. Se questi nella storia ci sono sempre stati, è del tutto moderno il loro “orgoglio” e il loro voler “imporre” come buone, pratiche intrinsecamente cattive. Qui ci si rivolge all’“atto” e non alla “persona”, ben sapendo che quando uno fa il male non è più tanto buono. Se il Catechismo della Chiesa Cattolica è chiaro a proposito (si veda uno dei prossimi articoli) c’è invero anche un’altra strada per sbrogliare ogni dubbio: lex orandi, lex credendi.
Ciò che si prega è quello in cui si crede, principio sublime, o no? Assolutamente, sì! Tuttavia, nella nuova riforma liturgica del Lezionario della Liturgia ambrosiana (riforma molto discutibile e discussa) ci si imbatte in un caso particolare. Una Lettura domenicale ha richiamato la nostra attenzione, non perché questa colpisca in sé, ma per la sparizione di versetti incomprensibilmente tagliati. Nella II Domenica dopo Pentecoste è riportata come seconda Lettura un passo della Lettera ai Romani (1,22-25.28-32) e mancano incredibilmente due versetti. I seguenti: «[26] Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami; infatti, le loro femmine hanno cambiato i rapporti naturali in quelli contro natura. [27] Similmente anche i maschi, lasciando il rapporto naturale con la femmina, si sono accesi di desiderio gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi maschi con maschi, ricevendo così in se stessi la retribuzione dovuta al loro traviamento».
Di là dal fatto che dopo questi versetti il proseguo della Lettura si fa più chiaro, rimane un mistero questo omissis. Qualcuno penserà che sono parole troppo forti, ma allora si può ribattere che non si doveva proporre neppure il resto del brano. Dall’altro, permane un criterio non pienamente condivisibile: è come se ci trovassimo dinnanzi a versetti da non citare, anzi da evitare con cura, passi biblici – come ha detto qualcuno – “pornografici”. In realtà, in quei versetti è detto in modo chiaro come gli atti omosessuali non siano giustificabili da chi si professa cristiano. Neppure l’esegesi più avanzata può edulcorare questo passo, se non facendosi giudice di cosa ha valore nelle parole di san Paolo e cosa invece non lo ha. Che sia uno studioso o un metodo a stabilire questo è semplicemente ridicolo e teologicamente pericoloso.
In questi tempi di gay pride milanese e non solo, la parola di san Paolo risuona forte e liberatrice, di una libertà certo non piena di mille colori né arcobaleno, ma una libertà vera. Del resto, con suggestiva immagine, l’Apostolo delle Genti ci ha rivelato che noi siamo liberi, perché liberti di Cristo, ossia da Lui liberati.
Pertanto, nonostante tutte le aberrazioni della nuova riforma ambrosiana, che sono riusciti a scalfire la bellezza di un rito antichissimo con invenzioni e archeologismi opinabili, tra cui questo incomprensibile omissis, rimane intatta la regola della lex orandi, lex credendi. Si deve solo, dinnanzi ai taglia e cuci dei liturgomani, fare lo sforzo di prendere una Bibbia e leggersi le parti tralasciate, rammentando sempre che la Scrittura si può leggere pure da soli, ma si interpreta a partire da quanto insegna la Chiesa, divinamente assistita.
Che novità! Già con la riforma dell'ufficio divino del 1971 molti salmi sono stati smozzicati, e alcuni addirittura completamente esclusi dal salterio liturgico. Quando si comincia a tagliuzzare qua e là si finisce col tagliare tutto. La parola di Dio non è una grandezza discreta, nella Bibbia o è tutto parola di Dio o nulla, ma certamente non alcune parti sì e altre no. E' come una donna incinta: o è incinta o non lo è, nessuna donna può essere "un po' incinta".
RispondiEliminaSi chiama "rispetto umano": "chi si vergognerà di me ... - dice il Signore - anche il Figlio dell'uomo si vergognerò di lui..." (Mc 8,38)!
RispondiEliminaPratiche artigianali da "taglia e incolla" veramente patetiche
RispondiEliminaNella pratica però nelle parrocchie quella lettura non viene mai letta perché la seconda domenica dopo pentecoste coincide con la festa del Corpus Domini traslata dal giovedì precedente, così alla fine tutto si aggiusta. Comunque il post è assolutamente condivisibile.
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