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mercoledì 31 maggio 2017

In memoriam Michael Novak (1933-2017)

Articolo tratto da First Things, tradotto dalla benemerita rivista Cultura&Identità. Onoriamo con qualche tempo di ritardo un grande cattolico.
L

(Articolo tratto da Cultura&Identità. Rivista di studi conservatori, anno IX, n. 15, Roma 25 marzo 2017, pp. 29-30)

R. R. Reno
  
Michael Novak è morto la settimana scorsa. Era il perfetto intellettuale da First Things: conservatore — nel senso in cui in America la scena politica della fine del ventesimo secolo intendeva la parola “conservatore” — e religiosamente ortodosso, con quest’ultimo aggettivo assai più indicativo dell’avverbio che lo precede.
Michael è stato partecipe del nostro lavoro fin dall’inizio. In questo momento sto guardando la fotografia di una piccola riunione di sapientoni nel salotto dell’appartamento di [don] Richard John Neuhaus [1936-2009] sulla 19a Strada Est [a New York]. Richard sta conducendo l’incontro (come amava fare), con David Novak accanto a lui. George Weigel e Stanley Hauerwas sono accanto a un pianoforte che nessuno sembra mai avere suonato. Jim Neuchterlein e Maria McFadden Maffucci, i redattori di This World, rivista da poco soppressa dal Rockford Institute, sono anch’essi presenti. Michael è nelle sue bretelle, seduto sul divano con le finestre che si affacciano sul giardino retrostante. Stanno progettando il lancio di First Things.
Incontrai per la prima volta Michael a uno dei Dulles Colloquium, le riunioni a tema che Neu-haus convocava sotto l’egida di padre Avery Dulles [S.J.; 1918-2008], che in quel
momento non era ancora il cardinale Dulles. Non riesco a ricordare l’argomento della discussione o qualsiasi altro particolare della riunione, a parte l’intervento di Michael. La sua argomentazione mi pareva una meditazione eccentrica che affiancava due diversi stili spirituali. In un primo momento rimasi sconcertato, ma riflettendo capii la brillantezza della mente di Michael. Suoi doni erano l’intuizione e la capacità di emozionare. Sapeva discernere il tono di un argomento, la sua trama spirituale. Questa capacità di anteporre le qualità morali della politica era la chiave dell’influenza che egli esercitava.
Durante la Guerra Fredda, gli intellettuali conservatori difendevano l’american way of life, capitalismo incluso, in opposizione all’economia dirigistica del comunismo. Ma rimaneva il sospetto che il socialismo, se attuato in modo umano, fosse un approccio moralmente superiore. Quello che Michael ha fatto nel suo libro più famoso, Lo spirito del capitalismo democratico, è stato di descrivere i contributi morali che un’economia libera arreca alla salute di una società.
Negli ultimi anni ho cominciato a persuadermi che il capitalismo è ovunque in ascesa. Persino i dirigenti del partito comunista cinese sono a favore del capitalismo, almeno nella misura in cui in Cina si produce ricchezza senza mettere in discussione il monopolio dei leader del partito sul potere. Nel ventunesimo secolo, l’esigenza più pressante è affrontare gli eccessi del capitalismo globalizzato, piuttosto che difenderlo contro i suoi critici. E l’eccesso peggiore è il materialismo secolaristico.
Dissi la stessa cosa nel maggio 2013, durante un colloquio qui a New York. Michael esitava. Convenne che, senza il lievito di una forte cultura religiosa e morale, il capitalismo incoraggia una visione sottilmente materialistica della vita onesta. Ma mi avvertì che il fascino del pensiero utopico è perenne e che dovevamo rimanere vigili nella nostra difesa della libertà, compresa la libertà economica.
Michael non era un drone ideologico che immaginava che tutti i problemi sociali fossero risolvibili raddoppiando l’applicazione dei principi del mercato. Come amava sottolineare, era un sostenitore del capitalismo democratico, non semplicemente del capitalismo. Nell’ultimo articolo di approfondimento che ha scritto per First Things, Il futuro del capitalismo democratico del giugno del 2015, sosteneva che una società libera dipende dall’organizzazione di tre libertà: libertà economica, libertà democratica e una cultura morale e religiosa che promuova l’autogoverno. Alla fine della sua vita quello che lo preoccupava di più era il declino di quest’ultima [la cultura religiosa]. Se siamo schiavi di Mammona, nessuna quota di deregolamentazione del mercato o di taglio delle imposte o di libero scambio è in grado di ripristinare la vera libertà.
La generazione di quei radicali degli anni 1960 trasformatisi in neo-conservatori sta uscendo di scena, come ci ricorda la triste scomparsa di Michael. Erano uomini e donne di alta passione morale e spiritualmente ambiziosi. Michael ha scritto una quantità di articoli e di libri di teologia, di cultura e di politica saturi dell’idealismo degli anni 1960, molti dei quali sono oggi imbarazzanti da leggere. Come diceva Irving Kristol (1920-2009), quella generazione è stata “aggredita dalla realtà”.
Eppure, non si trattava di realisti segnati da un senso cupo di ciò che è possibile fare in queste spoglie mortali. Michael stava, forse, fra i neo-conservatori più sognatori: per questo non si è mai trasformato in un noioso secchione della politica. Ma la sua presunzione che anche la prospettiva della “scienza triste”, l’economia, potesse essere elevata a un piano morale superiore era un po’ la forma mentis di tutti i neo-conservatori. Grazie ai suoi tanti decenni di analisi, di commenti e di spirito di parte per conto di verità superiori religiose, morali e politiche la nostra vita pubblica è migliore.






[1] Articolo tradotto da First Things, del 22 febbraio 2017, consultabile alla pagina .

2 commenti:

  1. Il solito (che viene nel sito a sfogarsi per le proprie sconfitte) persevera con i "non mi piace" in articoli in memoria di persone appena decedute... Triste vedere qualcuno ridotto così. Comunque R.I.P.

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