Articolo tratto da First Things, tradotto dalla benemerita rivista Cultura&Identità. Onoriamo con qualche tempo di ritardo un grande cattolico.
L
(Articolo tratto da Cultura&Identità. Rivista di studi
conservatori, anno IX, n. 15, Roma 25 marzo 2017, pp. 29-30)
R. R. Reno
Michael Novak è morto la settimana
scorsa. Era il perfetto intellettuale da First Things: conservatore —
nel senso in cui in America la scena politica della fine del ventesimo secolo
intendeva la parola “conservatore” — e religiosamente ortodosso, con
quest’ultimo aggettivo assai più indicativo dell’avverbio che lo precede.
Michael è stato partecipe del nostro
lavoro fin dall’inizio. In questo momento sto guardando la fotografia di una
piccola riunione di sapientoni nel salotto dell’appartamento di [don] Richard
John Neuhaus [1936-2009] sulla 19a Strada Est [a New York]. Richard
sta conducendo l’incontro (come amava fare), con David Novak accanto a lui.
George Weigel e Stanley Hauerwas sono accanto a un pianoforte che nessuno
sembra mai avere suonato. Jim Neuchterlein e Maria McFadden Maffucci, i redattori
di This World, rivista da poco soppressa dal Rockford Institute, sono
anch’essi presenti. Michael è nelle sue bretelle, seduto sul divano con le
finestre che si affacciano sul giardino retrostante. Stanno progettando il
lancio di First Things.
Incontrai per la prima volta Michael a
uno dei Dulles Colloquium, le riunioni a tema che Neu-haus convocava sotto
l’egida di padre Avery Dulles [S.J.; 1918-2008], che in quel
momento non era ancora il cardinale Dulles. Non riesco a ricordare l’argomento della discussione o qualsiasi altro particolare della riunione, a parte l’intervento di Michael. La sua argomentazione mi pareva una meditazione eccentrica che affiancava due diversi stili spirituali. In un primo momento rimasi sconcertato, ma riflettendo capii la brillantezza della mente di Michael. Suoi doni erano l’intuizione e la capacità di emozionare. Sapeva discernere il tono di un argomento, la sua trama spirituale. Questa capacità di anteporre le qualità morali della politica era la chiave dell’influenza che egli esercitava.
momento non era ancora il cardinale Dulles. Non riesco a ricordare l’argomento della discussione o qualsiasi altro particolare della riunione, a parte l’intervento di Michael. La sua argomentazione mi pareva una meditazione eccentrica che affiancava due diversi stili spirituali. In un primo momento rimasi sconcertato, ma riflettendo capii la brillantezza della mente di Michael. Suoi doni erano l’intuizione e la capacità di emozionare. Sapeva discernere il tono di un argomento, la sua trama spirituale. Questa capacità di anteporre le qualità morali della politica era la chiave dell’influenza che egli esercitava.
Durante la Guerra Fredda, gli
intellettuali conservatori difendevano l’american way of life, capitalismo
incluso, in opposizione all’economia dirigistica del comunismo. Ma rimaneva il
sospetto che il socialismo, se attuato in modo umano, fosse un approccio
moralmente superiore. Quello che Michael ha fatto nel suo libro più famoso, Lo
spirito del capitalismo democratico, è stato di descrivere i contributi morali
che un’economia libera arreca alla salute di una società.
Negli ultimi anni ho cominciato a
persuadermi che il capitalismo è ovunque in ascesa. Persino i dirigenti del
partito comunista cinese sono a favore del capitalismo, almeno nella misura in
cui in Cina si produce ricchezza senza mettere in discussione il monopolio dei leader
del partito sul potere. Nel ventunesimo secolo, l’esigenza più pressante è
affrontare gli eccessi del capitalismo globalizzato, piuttosto che difenderlo
contro i suoi critici. E l’eccesso peggiore è il materialismo secolaristico.
Dissi la stessa cosa nel maggio 2013,
durante un colloquio qui a New York. Michael esitava. Convenne che, senza il
lievito di una forte cultura religiosa e morale, il capitalismo incoraggia una
visione sottilmente materialistica della vita onesta. Ma mi avvertì che il
fascino del pensiero utopico è perenne e che dovevamo rimanere vigili nella
nostra difesa della libertà, compresa la libertà economica.
Michael non era un drone ideologico che
immaginava che tutti i problemi sociali fossero risolvibili raddoppiando
l’applicazione dei principi del mercato. Come amava sottolineare, era un sostenitore
del capitalismo democratico, non semplicemente del capitalismo.
Nell’ultimo articolo di approfondimento che ha scritto per First Things,
Il futuro del capitalismo democratico del giugno del 2015, sosteneva che
una società libera dipende dall’organizzazione di tre libertà: libertà
economica, libertà democratica e una cultura morale e religiosa che promuova
l’autogoverno. Alla fine della sua vita quello che lo preoccupava di più era il
declino di quest’ultima [la cultura religiosa]. Se siamo schiavi di Mammona,
nessuna quota di deregolamentazione del mercato o di taglio delle imposte o di
libero scambio è in grado di ripristinare la vera libertà.
La generazione di quei radicali degli
anni 1960 trasformatisi in neo-conservatori sta uscendo di scena, come ci
ricorda la triste scomparsa di Michael. Erano uomini e donne di alta passione
morale e spiritualmente ambiziosi. Michael ha scritto una quantità di articoli
e di libri di teologia, di cultura e di politica saturi dell’idealismo degli
anni 1960, molti dei quali sono oggi imbarazzanti da leggere. Come diceva
Irving Kristol (1920-2009), quella generazione è stata “aggredita dalla
realtà”.
Eppure, non si trattava di realisti
segnati da un senso cupo di ciò che è possibile fare in queste spoglie mortali.
Michael stava, forse, fra i neo-conservatori più sognatori: per questo non si è
mai trasformato in un noioso secchione della politica. Ma la sua presunzione
che anche la prospettiva della “scienza triste”, l’economia, potesse essere
elevata a un piano morale superiore era un po’ la forma mentis di tutti
i neo-conservatori. Grazie ai suoi tanti decenni di analisi, di commenti e di
spirito di parte per conto di verità superiori religiose, morali e politiche la
nostra vita pubblica è migliore.
R.I.P.
RispondiEliminaIl solito (che viene nel sito a sfogarsi per le proprie sconfitte) persevera con i "non mi piace" in articoli in memoria di persone appena decedute... Triste vedere qualcuno ridotto così. Comunque R.I.P.
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