Se tocca
a un africano
riportare ordine
nella liturgia
, da La Nuova Bussola Quotidiana, del 26-11-2014
L'uomo che prega è l'uomo per eccellenza: è l'atto supremo di autocoscienza della fede. Il culto è l'atto più grande che egli possa compiere, perché lo ricollega all'origine, a Colui che è il creatore e il salvatore dell'uomo.
Ma il culto cattolico, soffre attualmente dello squilibrio tra la forma comunitaria, cresciuta a dismisura dopo il Concilio, e la forma personale, annichilita di fatto proprio dal soverchio comunitarismo, che uccide la partecipazione devota. Questo è uno dei problemi, che il cardinal Robert Sarah, nuovo prefetto della Congregazione per il Culto Divino, dovrebbe affrontare. La forma comunitaria, infatti, esprime la comunione, che non è una fusione: l’altro rimane un altro, non viene assorbito né diminuito, analogamente al mistero della Trinità: un solo Dio, una sola natura divina, ma allo stesso tempo tre persone.
Soprattutto, poi, il culto serve a far incontrare Dio all'uomo: è la sua mission, serve a introdurre l'uomo alla Presenza divina: questo, oggi, nel tempo della scristianizzazione, non è più evidente. Presenza evoca qualcosa a cui avvicinarsi, quasi toccare, ma che mi supera, perché sono peccatore. Allora, scatta la reazione di Pietro: «Allontanati da me, perché sono un peccatore». Presenza evoca il “sacro”: la liturgia è sacra, a motivo della Presenza divina. E questo “sacro” sembra crollato, travolgendo nella crisi anche la Chiesa, come ha scritto Benedetto XVI.
Così, molti cattolici, in specie i giovani, evadono pian piano dalle 'liturgie-intrattenimento' – litur-tainment, le chiamano in America, dove il sacerdote imita il conduttore televisivo, – e ricercano il mistero nel maestoso rito bizantino o nel sobrio rito romano antico. Molti vescovi cominciano ad accorgersi del fenomeno. È un nuovo movimento liturgico, nell'attuale passaggio di generazione. Beato chi se ne sarà accorto in tempo! Di tutto questo, la Congregazione per il Culto Divino deve tener conto.
Questa Congregazione, però, è anche preposta alla “disciplina dei sacramenti”. E qui
suoneremo un tasto dolente: ovvero l'indisciplina diffusa, la mancanza
di fedeltà al rito, che può anche toccare la validità stessa dei
sacramenti (cfr. Giovanni Paolo II,Vicesimus Quintus Annus,
1988), inficiando nella liturgia i diritti di Dio, nonché dei fedeli.
Nella liturgia, la fede e la dottrina, infatti, sono mediate dal rito: per preces et ritus, dice la Costituzione liturgica (n.48); la fedeltà ai riti e ai testi autentici della liturgia è una esigenza della lex orandi che deve essere conforme alla lex credendi.
Il rito, infine, scandisce il tempo della musica e struttura lo spazio
dell'arte, rendendole capaci di comunicare all'uomo il 'sacro', perciò
queste possiedono una dimensione apostolica, missionaria e apologetica.
Il cardinal Sarah, che è stato segretario a Propaganda Fide, lo sa bene.
*Consultore della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti













