(segue da qui: I parte)
La costituzione gerarchica della Chiesa
La dottrina dell'istituzione e della perpetuità, la natura e I'importanza del "sacro primato" del Romano Pontefice e del suo infallibile magistero in materia di fede e costumi sono riaffermati dal Concilio Vaticano II come verità di fede per tutti i credenti (cfr. Lumen Gentium 18), rinnovando l’ insegnamento del Concilio Vaticano I. Considerando poi l'insegnamento concernente i Vescovi, costante rilievo è dato alla natura particolare dell'ufficio del Vescovo di Roma e alla sua posizione unica rispetto alla Chiesa universale e al Collegio dei Vescovi. Si afferma che il Signore ha dato soltanto a Simon Pietro la funzione di essere la roccia e il custode delle chiavi nella Chiesa e lo ha stabilito pastore di tutto il suo gregge. Il Papa, come successore di Pietro, è chiamato "Vicario di Cristo" e pastore di tutta la Chiesa; egli è il supremo pastore della Chiesa, al quale è affidata la cura di tutto il gregge. Inoltre, egli è il perpetuo, visibile principio e fondamento dell'unità, sia dei Vescovi come dell'universalità dei fedeli. È il supremo pastore e maestro di tutti i fedeli e conferma i suoi fratelli nella fede. È singolarmente dotato del carisma dell'infallibilità della Chiesa stessa, ed a motivo del suo ufficio di Vicario di Cristo e di pastore di tutta la Chiesa, egli ha la pienezza dell'autorità sopra di essa, autorità suprema e universale, che egli può sempre liberamente esercitare.
Il Romano Pontefice è il capo del Collegio dei Vescovi e, come tale, egli soltanto può compiere alcuni atti che non rientrano per nulla nella competenza di tutti gli altri Vescovi. All'interno del Collegio Episcopale egli ha una posizione speciale, totalmente ed esclusivamente sua. In verità, non è possibile parlare di un Collegio Episcopale se non vi è incluso il Vescovo di Roma come suo capo. Il collegio non può esistere senza il suo capo; non è soggetto di autorità se non è concepito insieme con il Romano Pontefice come suo capo, il quale conserva pieno e intatto il suo potere primaziale sia sui Vescovi, sia sui fedeli. L'esercizio dell'autorità di giurisdizione che compete al collegio dipende interamente dalla volontà del Papa, sia quando è esercitata solennemente in un concilio ecumenico, sia quand'essa fosse esercitata dai Vescovi sparsi per il mondo (cfr. Lumen Gentium 22).
La "Nota esplicativa prævia" - del 16.X1.1964, a firma del Segretario Generale del Concilio Vaticano II, Mons. Pericle Felici, "per mandato della Superiore Autorità" - che specifica quale debba essere l'interpretazione di alcuni passi della Costituzione Lumen Gentium (cap. III, circa la costituzione gerarchica della Chiesa), spiega che il Collegio dei Vescovi, pur esistendo sempre, non per questo agisce permanentemente con azione "strettamente" collegiale, ma soltanto "col consenso del capo". È il Papa, dunque, che rende possibile l'essere e l'agire del Collegio Episcopale.
La collegialità non darebbe adito ad alcuna difficoltà nei rapporti con il primato del Vescovo di Roma, né questo potrebbe essere visto quasi come un soffocamento dell'autorità dei Vescovi, se il rapporto tra collegialità e primato venisse inquadrato, come è giusto, all'interno delle relazioni di comunione esistenti tra Chiese particolari e Chiesa universale, tenendo ben presente che la Chiesa di Roma ha una posizione speciale e unica nei confronti della totalità della Chiesa. Cos'è infatti la collegialità se non la comunione di fede, di sacramenti e di governo-servizio che deve esistere tra tutte le Chiese particolari che vogliono costituire la Chiesa di Cristo una ed unica? Collegialità è, radicalmente, la "communio fidei, sacramentorum et disciplinæ" di tutte le Chiese; è il comune possesso della stessa fede (le forme esterne di espressione possono essere varie, ma il contenuto non può che essere identico in tutte, ed è essenziale in materia di fede tutto ciò che deriva dalla divina rivelazione) e degli stessi sacri ministeri, per mezzo dei quali Cristo, Signore e Capo di tutto il corpo, comunica la vita divina e la salvezza a tutto il corpo dei redenti e dei santificati.
È dunque chiaro che la collegialità nel suo vero significato non esiste senza il ministero dell'Apostolo Pietro, il cui ufficio è proprio quello di far si che la Chiesa si conservi una ed unica, di modo che tutti i successori degli Apostoli formino un unico corpo, capace di trasmettere la rivelazione con una sola voce e con cuore indiviso. Nello stesso modo in cui non può esserci Chiesa senza il Vescovo ("sine Episcopo Ecclesia non datur"), così non può esservi collegialità e comunione - né la pienezza della Chiesa di Cristo una ed unica - "sine Petro", senza effettiva comunione con il successore di Pietro: "ubi Petrus, ibi Ecclesia".
A questo punto, si può aggiungere ancora qualche considerazione, avendo presente che la comunione esistente all'interno della Chiesa, comunione mistica e giuridica allo stesso tempo, comporta diversi aspetti che si realizzano immediatamente a livello universale e che non sono quindi legati ai confini delle Chiese particolari. Ciò fa capire perché non vi sono "più Chiese" di Cristo, ma soltanto "la Chiesa di Cristo, una ed unica", che si realizza e vive nelle Chiese particolari. Ed è per questa ragione che le funzioni esercitate dal Vescovo di Roma "vi muneris sui", in forza cioè del suo ufficio, in quanto successore di Pietro, hanno un'immediata forza ed efficacia nei riguardi della Chiesa universale e, di conseguenza, si dice che la sua autorità è, non soltanto, universale, piena e suprema, ma anche immediata (ossia, non ha bisogno di intermediazione per raggiungere la totalità della Chiesa). Egli non è giuridicamente tenuto a servirsi di altri, ma ha titolo e autorità per agire personalmente e direttamente nei riguardi di tutta la Chiesa e dei suoi singoli membri.
Il fatto poi che egli sia per divina volontà (“jure divino") il pastore dell’ intero gregge e che il suo primato si estenda alla totalità della Chiesa, sia pastori che fedeli, spiega perché tutti, compresi i Vescovi, si trovino in stato di giuridica subordinazione nei suoi confronti.
Conclusioni
Veniamo ora a formulare alcune considerazioni riassuntive circa le conseguenze che derivano dal ruolo unico che il successore di Pietro ha nella Chiesa e dalle prerogative particolari e, in gran parte, uniche che gli spettano per mandato divino. Alcune affermazioni non saranno che una ripetizione di ciò che già ho enunciato; faccio umilmente mie le parole di San Paolo: "a me non pesa ed a voi è utile che vi scriva le stesse cose" (Fil 3,1). Privilegerete quelle espressioni che hanno maggiore significato e rilevanza.
1. In modo globale si può affermare che il ruolo fondamentale del Papato è quello d'essere la suprema visibile garanzia, nello spazio e nel tempo, della continuità e identità della Chiesa di Cristo; o - in altre parole - è quello di permettere che la Chiesa di Cristo continui inalterata nel tempo e nello spazio, conservando in ogni epoca, o momento storico, la sua sostanziale identità. Oggi, come sempre nella storia della Chiesa, ci sono dei tentativi che minacciano, se fosse possibile,la stessa identità della Chiesa. C'è chi, esplicitamente o implicitamente, mira a mutare la natura divino-soprannaturale della Chiesa, riducendola pressoché a una organizzazione umanitaria. promotrice di umano sviluppo in questo mondo; c'è chi vorrebbe veder cambiata la struttura organica della Chiesa, che è ministeriale e gerarchica. Essa, come s'è detto, non può esistere senza ministeri, o uffici sacri, che derivano da una "consegna" sacra, sacramentale, divina. Tali ministeri sono per loro natura coordinati e subordinati; dipendono da Cristo direttamente, o da chi, da Lui - per il tramite dell'ordine sacro e della successione apostolica, con particolare e specialissimo riferimento alla successione petrina - è stato dotato di sacro potere. Tali ministeri riguardano essenzialmente e rigorosamente le cose di Dio, i misteri di Dio,le realtà soprannaturali,le realtà della rivelazione;la loro finalità immediata non è mai la dimensione terrena dell'uomo,la sua esperienza e le sue conquiste terrene. C'è chi vorrebbe ridurre la missione della Chiesa da quella redentrice e santificatrice - sanare I'uomo dal peccato e condurlo attraverso le realtà sacre-santificanti all'eterna salyezza - ad una missione semplicemente diretta a riconoscere e coordinare i valori esistenti nell'uomo e nel mondo. C'è chi sotto la spinta di modelli sociali oggi esistenti mette fuori idee e proposte che logicamente non possono se non condurre a una Chiesa-comunità di persone che crea essa stessa i propri ministeri, che determina essa stessa la propria struttura, che organizza essa stessa le proprie celebrazioni e la propria liturgia, che interpreta in modo nuovo la rivelazione e modifica costantemente la dottrina e la morale secondo le esigenze e le circostanze storiche. Vigilare, agire e insegnare in modo che tali fermenti devianti - i quali si vogliono presentare come sviluppi positivi e di promozione,ma che in realtà sono essenzialmente negativi - siano scoperti e possibilmente neutralizzati, è eminentemente missione di Pietro, è opera positiva, è fare il bene, è suprema e operativa carità. Noi sappiamo che la natura della Chiesa non può essere intaccata nella sua profonda, divina, soprannaturale realtà, perché essa fa parte del mistero divino dell'incarnazione del Verbo di Dio. Questa suprema opera di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo non può certo essere messa in pericolo da tentativi umani. Ma ciò che può, ed è messo in pericolo sono la comprensione e l'accettazione di esso, così come la rivelazione, contenuta e custodita nella Chiesa, ce lo presenta. Ecco perché lo Spirito Santo, in maniera ineffabile, assiste in modo speciale e unico il successore di Pietro, affinché, attraverso il suo insegnamento e il suo ministero sacro,la rivelazione e la redenzione di Dio sia oggi e sempre presente nella Chiesa e nel mondo. L insegnamento del Papa non dice e non può dire nulla di veramente o sostanzialmente nuovo, perché il nuovo è tutto presente in Cristo, nella sua persona e nel suo insegnamento. Non ci può essere altro nuovo, anche se quello che proviene dalla rivelazione va continuamente presentato in modo che esso sia compreso nella sua perenne verità e nel suo permanente valore. Cristo ha stabilito Pietro come supremo, visibile garante della sua opera di salvezza e questi vive nei suoi successori, i Vescovi di Roma; compie la sua missione, insegna, predica, vigila, esorta, decide, richiama, rimprovera, promuove e governa in essi. È ovvio che il Romano Pontefice non è il solo che compie questi atti, ma nessuno può avere l'assoluta garanzia che quello che compie nella Chiesa è garantito da Cristo stesso, se non chi è in fedele e piena comunione con lui, in modo tale da poter dire che egli agisce in comunione col successore di Pietro "una mente, uno animo, uno corde et una voce".
2. Il successore di Pietro, poi, assicura l'identità di fede tra la Chiesa di oggi e la Chiesa degli Apostoli, è quindi il garante della rivelazione e della verità. L'uomo non può, senza I'aiuto della rivelazione, giungere con certezza, "nullo admixto errore", neppure alla conoscenza delle più elementari verità inerenti Dio, se stesso, il proprio destino, etc. Senza la luce della rivelazione egli è caduto e cade nei più banali e grossolani errori. Queste non sono, naturalmente, mie opinioni, ma verità di fede, esplicitamente o implicitamente insegnate dai Concili Tridentino e Vaticano I e, in qualche modo, anche da altri precedenti. Non si dimentichino, inoltre, le verità relative al peccato originale, che ha ferito tutto I'uomo, ed all’impossibilità per I'uomo di raggiungere il fine per cui è stato creato senza la luce della rivelazione e senza la grazia che proviene da Cristo, dal suo sacrificio redentivo e santificante. L'uomo ha bisogno di essere redento, salvato, purificato, santificato, condotto a Dio. E peccatore. Senza la grazia di Dio, quantunque non tutto quello che fa sia male e meritevole di condanna, non può tuttavia evitare di commettere il peccato che lo separa da Dio, che lo taglia fuori dall'alveo dell'amore di Dio. Queste verità sacre debbono essere incessantemente, in ogni tempo, "opportune et importune", proclamate, gridate, predicate dalla Chiesa. Nessuna voce è più sicura, più universale, più efficace di quella di Pietro, che risuona nelle parole, nella predicazione, nell'insegnamento dei suoi successori, i Vescovi di Roma. Chi all'uomo di oggi, che in maniera particolarmente acuta sperimenta la tentazione di credersi autosufficiente, d'essere il costruttore del proprio destino, d'essere I'origine e il creatore della propria sorte e della propria felicità, può ricordare in maniera universale ed efficace che per l'uomo non c'è salvezza,non c'è vera felicità, non c'è senso alla propria esistenza senza Dio, senza Cristo e quindi senza la sua Chiesa? Chi può aprire gli occhi dell'uomo al pericolo di lasciarsi incapsulare dal materialismo, dall' agnosticismo, dal soggettivismo, dal relativismo; dal pericolo di credere alle teorie di coloro che pretendono di trovare nel mondo la ragione sufficiente della sua esistenza, di coloro che vantano - ovviamente senza reale fondamento, né scientifico, né filosofico - di sapere che I'uomo non è se non il prodotto di uno sviluppo evolutivo incessante? Quanto è facile costatare - per chi ha occhi per vedere e intelletto per capire - che chi non accetta la luce della rivelazione brancola nelle tenebre, non riesce a venir fuori dall'errore ! Ebbene, tutto questo va, dalla Chiesa, continuamente ricordato al mondo, a chi non ha la fede; ma è la Chiesa stessa che, in ogni suo membro, va richiamata a queste definitive verità, va confermata nella fede, in quella fede che essa nella sua divina, soprannaturale realtà, porta nel proprio cuore, senza pericolo che vada irrimediabilmente perduta di vista, o dimenticata. A Pietro spetta questa missione. Non è sufficiente che gli errori siano scoperti, smascherati. confutati. condannati. È necessario che le verità basilari derivanti dalla rivelazione siano costantemente predicate, richiamate all'attenzione, proposte alla mente dei fedeli e di tutti gli uomini, affinché siano accolte, accettate, capite, credute; perché diventino luce e guida, influiscano nell'azione e nella vita dei singoli e delle comunità umane (famiglia, gruppi, organizzazioni, società civile, comunità internazionale, etc.); conducano verso il raggiungimento della pienezza della verità nella vita eterna.
3. Riassumendo ora alcune conseguenze del fatto che Pietro è fondamento e principio visibile della Chiesa di Cristo, si può affermare:
a. non ci può essere vera e autentica Chiesa, nella sua pienezza, che non sia la Chiesa di Cristo fondata su Pietro; non ci può essere autentica fede che non sia la fede di Pietro e degli Apostoli con lui.
b. Non ci può essere nulla nella Chiesa che sia fatto al di fuori del fondamento, al di fuori di Pietro: "Nihil sine Petro, nihil contra Petrum; omnia cum Petro et sub Petro, quia ubi Petrus ibi Ecclesia et ubi Ecclesia, ibi Christus".
c. Tutto ciò che la Chiesa è, o compie, ha una relazione sostanziale con Pietro; si può dire con tutta verità che Pietro, in quanto è fondamento della Chiesa, rappresenta, personifica e porta in sé (gerit) tutta la Chiesa. Si può anche arrivare a dire che la missione di Pietro si identifica con quella della Chiesa; che questa non può compiere nulla di più e nulla di diverso di quello che Pietro compie; nulla è al di fuori della missione di Pietro. Quando Pietro agisce,la Chiesa agisce, Cristo agisce. Tutto ciò vale per il Vescovo di Roma, ma ovviamente soltanto quando - e nella misura in cui - egli agisce in quanto successore di Pietro e ciò sia chiaramente riconoscibile; ossia deve essere chiaro che egli, nella sua azione, impegna la qualità di successore di Pietro in tutta la sua ampiezza e pienezza.
4. Infine, mi limito a richiamare una soltanto delle conseguenze che derivano dal fatto che il successore di Pietro è il pastore di tutto il gregge di Cristo. Rientra in questo campo il fare delle leggi, richiamare tutti alla osservanza di esse, far capire che chi non le accetta e non le rispetta non può pretendere di avere nella Chiesa la stessa situazione di chi è fedele, di chi vive - o, almeno, si sforza sinceramente di vivere - secondo la saggia guida della disciplina ecclesiastica. Alla nozione di legge è inerente quella di pena. Pertanto, l'uso di pene, di carattere soprattutto ed eminentemente spirituale, è parte della natura della Chiesa. Non c'è forse nulla che richieda tanta sapienza e tanta sensibilità pastorale come il retto uso delle pene nella vita della Chiesa; ma tale uso è connaturale a una comunità formata di peccatori, di buoni e di cattivi. È massima ingiustizia e somma stoltezza pastorale trattare chi compie il bene allo stesso modo di chi commette il male, chi agisce per il bene oggettivo della Chiesa, come chi crea imbarazzo,danno, scandalo, disagio, rovina; chi predica con fedeltà, come chi cerca di seminare I'errore. Il successore di Pietro è pure il massimo moderatore dell'uso delle pene all’ interno della chiesa; egli è sommo moderatore della disciplina ecclesiastica, poiché come supremo pastore è pure il supremo legislatore.
Due considerazioni finali:
non va dimenticato mai che tutta l'attività della Chiesa, come tutto quello che il successore di Pietro e tutti gli altri ministri in comunione con lui compiono sul piano dell'insegnamento, dell'amministrazione dei sacramenti e del governo, è diretto all'interiore comunione di grazia e di vita divina, affinché l'uomo diventi capace di raggiungere Dio nella vita eterna, dove potrà vederlo faccia a faccia e aderire a Lui con perfetto amore. Tutto è compiuto per la salvezza eterna dell'uomo, a gloria di Dio.
L'autorità della Chiesa, dei suoi ministri e, in particolare, del successore di Pietro, il Romano Pontefice, è pertanto un servizio di salvezza. Esso va accettato, accolto con cuore aperto, con animo grato. con sottomissione di intelletto e di volontà. E un servizio soprannaturale, non un servizio umano. Esso ci rappresenta e ci comunica l'azione di Dio e come tale va considerato e ricevuto. Non c'è salvezza per l'uomo se non nel mistero dell'incarnazione, non c'è accesso a tale mistero se non nella Chiesa di Cristo, se non accettando con umiltà di mente e di cuore la parola della rivelazione e la grazia della redenzione, che ci giungono attraverso la Tradizione, conservata intatta dalla Chiesa dell'Apostolo Pietro, ossia la Chiesa di Roma.
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.. e se il papa stesso cadesse in eresia? E' possibile, poichè santi come il Bellarmino e s. Tommaso ammettono questa possibilità, cosa succede? Il papa decadrebbe per il potere di Cristo dal suo pontificato? E se così fosse, la Chiesa è ancora viva? cosa succederebbe in caso di scisma, se una parte della Chiesa riconoscesse una eresia comprovata da parte del papa e proclama la sedevacanza? Dove sussisterebbe la Chiesa? nella parte sedevacante o in quella sotto un pontefice notoriamente eretico e forse, non più pontefice?
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