Roberto
LA FUNZIONE DELLA MUSICA NELLA LITURGIA
di Enzo Fagiolo
Il Concilio, non solo è stato seguito dalla pressoché totale emarginazione dell’arte sacra, adottata con successo fin dall’epoca paleocristiana come mezzo efficace di evangelizzazione e catechesi, ma anche da una serie di disinvolte ‘sperimentazioni’, nell’iconografia, nella musica liturgica e nell’architettura chiesastica, sostenute dalla gerarchia cattolica sempre più nell’affannosa ricerca di un ‘linguaggio per l’uomo moderno’. Oltre mezzo secolo di storia ha dimostrato a sufficienza il totale fallimento di tale ideologia nichilista introdotta in una Istituzione come la Chiesa, confortata dall’ esperienza di due millenni. Il popolo che amava la ‘bellezza’ nelle chiese e nella liturgia perché vi sentiva la somma bellezza ed armonia di Dio è stato così defraudato di un mezzo essenziale per nutrire la propria fede.
Alcuni anni fa un alto prelato definì in un articolo sul giornale vaticano le nuove chiese della periferia romana: ‘capolavori di orrore'. Ad un mio scritto in cui gli chiedevo come mai il Vicariato e il Vaticano avevano permesso, o magari sostenuto, un tipo di edilizia chiesastica che ha dato alle periferie un angoscioso aspetto di scristianizzazione, rispose con la solita giustificazione della ‘interruzione del dialogo tra Chiesa ed artisti’, la quale non inizierebbe con il CVII ma con la Rivoluzione Francese (!?) e di essere fiducioso nelle ‘sperimentazioni’. La spiegazione è diversa e può essere esemplificata con le parole che il prof. B.M. Apolloni Ghetti, l’architetto che aveva seguito gli scavi nella necropoli vaticana e proposto la ricostruzione dell’edicola del II secolo sulla tomba di S. Pietro, diceva agli studenti del Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana, durante le visite alle chiese paleocristiane di Roma che avevano subito qualche ‘adeguamento’: “vedete, hanno inventato la riforma liturgica senza preoccuparsi delle conseguenze e ora non sanno più dove mettere il Sacramento!”
Un discorso analogo vale per tutte le altre arti come la musica sacra, in particolare liturgica.
Fin dalla fase preparatoria del Concilio si manifestò la subdola manovra di una minoranza per estraniare i veri liturgisti e musicisti dalle Commissioni preparatorie. Il M° card. Bartolucci che sentiva tutta la responsabilità della più antica e gloriosa Cappella Musicale, intervenne più volte, in aperto contrasto, non solo diretto, con la Segreteria di Stato ed in particolare con il Maestro delle Cerimonie, ma anche con scritti e conferenze delle quali si riportano alcuni passi:
”Le opinioni che vanno oggi diffondendosi manifestano avversione a tutto ciò che la Chiesa ha custodito nei secoli: il patrimonio gregoriano e polifonico…
La musica nella liturgia ha una sua funzionalità perché dà vita e senso ad un testo sacro, predicato attraverso il canto; il canto gregoriano monodico ne è un mirabile esempio. ….
La liturgia della Chiesa ha trovato nel canto la sua anima. Certi inni festosi o certi versetti tristi, ricevono dalla musica il loro carattere più evidente ed immediato. Chi non riconoscerebbe la letizia che scaturisce dal repertorio sia gregoriano che polifonico che i musicisti nei secoli hanno composto per le festività pasquali? Basterebbero il Kyrie del Sabato santo o il sereno Sicut cervus palestriniano, la bellissima sequenza Victimae Paschali, l’offertorio Terra tremuit con il trepidante Alleluja, la commozione dei canti gregoriani e degli Improperia palestiniani del Venerdì Santo per lo scoprimento e l’adorazione della Croce...
La musica in chiesa non ci sta soltanto per essere ornamento alla liturgia o riempitivo di silenzi o peggio, concerto. Tra gli ordini sacri minori vi è il Lettorato che dava la facoltà di leggere e cantare le lezioni per l’istruzione e la commozione dei fedeli. Il cantore, nella liturgia era un vero e proprio ministro. Una delle prove preliminari d’esame perché un cantore fosse ammesso nella Cappella Musicale Pontificia era proprio la declamazione di una lettura della liturgia e una volta superata questa prova doveva dimostrare di saper cantare le lezioni….
I grandi del passato hanno scritto le loro musiche liturgiche con l’umiltà dell’artista pieno di fede per comunicare efficacemente ai fedeli l’insegnamento della Chiesa”.
Circa l’ideologia che ha voluto sostituire le Scholae cantorum con il popolo che si vuole prenda il posto persino del sacerdozio ministeriale, ha scritto:
“Si vuole rendere la liturgia una sequenza di azioni e di letture e se il canto ci ha da essere se lo deve fare il popolo che si vuole attivo, che muova le gambe e le braccia, che ripeta formule fino alla noia come se non vi fosse un’attività più profonda, quella dello spirito. La liturgia non è anche scuola di bellezza di santità, d’affinamento dell’animo attraverso le cose più nobili che l’uomo possa offrire a Dio? E’ il tempo della demagogia più illusoria; come in certa sociologia moderna il popolo sotto lo specioso impegno di rivendicarne i diritti lo si sta tradendo….
Quale vantaggio ne avrebbe il popolo da una liturgia ridotta al rango di un‘arida adunanza nella quale non spiri né la bellezza né l’efficacia della musica? Come concorderebbero gli innovatori con le decisioni del Concilio che raccomandano di conservare il patrimonio della Chiesa e di promuovere le Scholae cantorum? Povero S. Gregorio Magno! Tutto il male della liturgia è derivato dall’aver fondato una scuola di specialisti per il canto a danno del popolo! Povero Palestrina! Tutta la sua musica è stata un tradimento della Liturgia!....
Tali affannosi riformatori sembrano insensibili a comprendere l’efficacia sull’animo del popolo dell’arte sacra, riflesso della bellezza divina. “
In un Convegno di compositori di musica sacra disse:
“Il musicista se vuole essere un vero compositore non potrà adattarsi all’andazzo postconciliare. I musicisti che speravano in una nuova primavera per la musica sacra si sono dovuti accorgere dell’inganno! Il Nova et Vetera, spesso proclamato è finito con l’abolizione del Vetera. Non si fa il musicista di Chiesa accontentandosi di stuzzicare le orecchie con facili melodiette o di esecuzioni in cui non vibri il palpito di una commossa interiorità che si riversa nei partecipanti alla liturgia. L’antica liturgia aiutava a comporre musica funzionale che diventava subito arte. Cari musicisti, quando scrivete musica per la liturgia, siate predicatori della parola di Dio, così come deve essere il sacerdote. Se non sentite tale impegno non scrivete musica che non avrebbe efficacia spirituale o pastorale sulla comunità dei fedeli….
S. Agostino ha scritto:’ Ognuno si chiede come cantare a Dio. Canta a Lui ma canta bene. Egli non vuole che le sue orecchie siano offese…Ebbene chi si fa avanti per cantare bene a Dio il quale sa esaminare le cose e tutto udire ?...
Quando puoi offrirgli una così elegante bravura da non essere in nulla sgradito ad orecchie sì perfette?”
Il M° card. Bartolucci ha sempre detto di avere molto imparato dalla tradizione del canto romano e dai grandi musicisti del passato, Palestrina, Carissimi e tanti altri:
”Il contatto con loro mi ha dato il senso dell’idea, del fraseggio, dell’espressione. Solo immettendo nel mio sangue la loro musica ho potuto diventare musicista”.
Oggi invece i giovani, abolite le Scholae cantorum e l’insegnamento della musica nei Seminari, dovrebbero imparare da effimere e rumorose ‘ sperimentazioni’ lontane dalla tradizione della quale si è voluta, con il CVII o, se si preferisce, con il post CVII, la damnatio memoriae.
Scacciata dalle chiese la grande musica liturgica è finita nei concerti come pezzo da museo e non più come fonte di ispirazione per ulteriori conquiste.
Di recente un vecchio e noto teologo (mi pare Cottier) è arrivato a dire su Telepace che: “con il CVII, per la prima volta, la Chiesa nella storia ha riflettuto su se stessa”. Come avrebbe potuto, fino ad allora, convertire a Cristo tanti popoli e nazioni? Si sarebbe tentati di dubitare come il poeta G. G. Belli che nel sonetto ’Li cardinali in Cappella’, conclude: “ Saria curioso de leggeje in core - Quanti de quelli llì credeno in Dio“.
Alcuni anni fa un alto prelato definì in un articolo sul giornale vaticano le nuove chiese della periferia romana: ‘capolavori di orrore'. Ad un mio scritto in cui gli chiedevo come mai il Vicariato e il Vaticano avevano permesso, o magari sostenuto, un tipo di edilizia chiesastica che ha dato alle periferie un angoscioso aspetto di scristianizzazione, rispose con la solita giustificazione della ‘interruzione del dialogo tra Chiesa ed artisti’, la quale non inizierebbe con il CVII ma con la Rivoluzione Francese (!?) e di essere fiducioso nelle ‘sperimentazioni’. La spiegazione è diversa e può essere esemplificata con le parole che il prof. B.M. Apolloni Ghetti, l’architetto che aveva seguito gli scavi nella necropoli vaticana e proposto la ricostruzione dell’edicola del II secolo sulla tomba di S. Pietro, diceva agli studenti del Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana, durante le visite alle chiese paleocristiane di Roma che avevano subito qualche ‘adeguamento’: “vedete, hanno inventato la riforma liturgica senza preoccuparsi delle conseguenze e ora non sanno più dove mettere il Sacramento!”
Un discorso analogo vale per tutte le altre arti come la musica sacra, in particolare liturgica.
Fin dalla fase preparatoria del Concilio si manifestò la subdola manovra di una minoranza per estraniare i veri liturgisti e musicisti dalle Commissioni preparatorie. Il M° card. Bartolucci che sentiva tutta la responsabilità della più antica e gloriosa Cappella Musicale, intervenne più volte, in aperto contrasto, non solo diretto, con la Segreteria di Stato ed in particolare con il Maestro delle Cerimonie, ma anche con scritti e conferenze delle quali si riportano alcuni passi:
”Le opinioni che vanno oggi diffondendosi manifestano avversione a tutto ciò che la Chiesa ha custodito nei secoli: il patrimonio gregoriano e polifonico…
La musica nella liturgia ha una sua funzionalità perché dà vita e senso ad un testo sacro, predicato attraverso il canto; il canto gregoriano monodico ne è un mirabile esempio. ….
La liturgia della Chiesa ha trovato nel canto la sua anima. Certi inni festosi o certi versetti tristi, ricevono dalla musica il loro carattere più evidente ed immediato. Chi non riconoscerebbe la letizia che scaturisce dal repertorio sia gregoriano che polifonico che i musicisti nei secoli hanno composto per le festività pasquali? Basterebbero il Kyrie del Sabato santo o il sereno Sicut cervus palestriniano, la bellissima sequenza Victimae Paschali, l’offertorio Terra tremuit con il trepidante Alleluja, la commozione dei canti gregoriani e degli Improperia palestiniani del Venerdì Santo per lo scoprimento e l’adorazione della Croce...
La musica in chiesa non ci sta soltanto per essere ornamento alla liturgia o riempitivo di silenzi o peggio, concerto. Tra gli ordini sacri minori vi è il Lettorato che dava la facoltà di leggere e cantare le lezioni per l’istruzione e la commozione dei fedeli. Il cantore, nella liturgia era un vero e proprio ministro. Una delle prove preliminari d’esame perché un cantore fosse ammesso nella Cappella Musicale Pontificia era proprio la declamazione di una lettura della liturgia e una volta superata questa prova doveva dimostrare di saper cantare le lezioni….
I grandi del passato hanno scritto le loro musiche liturgiche con l’umiltà dell’artista pieno di fede per comunicare efficacemente ai fedeli l’insegnamento della Chiesa”.
Circa l’ideologia che ha voluto sostituire le Scholae cantorum con il popolo che si vuole prenda il posto persino del sacerdozio ministeriale, ha scritto:
“Si vuole rendere la liturgia una sequenza di azioni e di letture e se il canto ci ha da essere se lo deve fare il popolo che si vuole attivo, che muova le gambe e le braccia, che ripeta formule fino alla noia come se non vi fosse un’attività più profonda, quella dello spirito. La liturgia non è anche scuola di bellezza di santità, d’affinamento dell’animo attraverso le cose più nobili che l’uomo possa offrire a Dio? E’ il tempo della demagogia più illusoria; come in certa sociologia moderna il popolo sotto lo specioso impegno di rivendicarne i diritti lo si sta tradendo….
Quale vantaggio ne avrebbe il popolo da una liturgia ridotta al rango di un‘arida adunanza nella quale non spiri né la bellezza né l’efficacia della musica? Come concorderebbero gli innovatori con le decisioni del Concilio che raccomandano di conservare il patrimonio della Chiesa e di promuovere le Scholae cantorum? Povero S. Gregorio Magno! Tutto il male della liturgia è derivato dall’aver fondato una scuola di specialisti per il canto a danno del popolo! Povero Palestrina! Tutta la sua musica è stata un tradimento della Liturgia!....
Tali affannosi riformatori sembrano insensibili a comprendere l’efficacia sull’animo del popolo dell’arte sacra, riflesso della bellezza divina. “
In un Convegno di compositori di musica sacra disse:
“Il musicista se vuole essere un vero compositore non potrà adattarsi all’andazzo postconciliare. I musicisti che speravano in una nuova primavera per la musica sacra si sono dovuti accorgere dell’inganno! Il Nova et Vetera, spesso proclamato è finito con l’abolizione del Vetera. Non si fa il musicista di Chiesa accontentandosi di stuzzicare le orecchie con facili melodiette o di esecuzioni in cui non vibri il palpito di una commossa interiorità che si riversa nei partecipanti alla liturgia. L’antica liturgia aiutava a comporre musica funzionale che diventava subito arte. Cari musicisti, quando scrivete musica per la liturgia, siate predicatori della parola di Dio, così come deve essere il sacerdote. Se non sentite tale impegno non scrivete musica che non avrebbe efficacia spirituale o pastorale sulla comunità dei fedeli….
S. Agostino ha scritto:’ Ognuno si chiede come cantare a Dio. Canta a Lui ma canta bene. Egli non vuole che le sue orecchie siano offese…Ebbene chi si fa avanti per cantare bene a Dio il quale sa esaminare le cose e tutto udire ?...
Quando puoi offrirgli una così elegante bravura da non essere in nulla sgradito ad orecchie sì perfette?”
Il M° card. Bartolucci ha sempre detto di avere molto imparato dalla tradizione del canto romano e dai grandi musicisti del passato, Palestrina, Carissimi e tanti altri:
”Il contatto con loro mi ha dato il senso dell’idea, del fraseggio, dell’espressione. Solo immettendo nel mio sangue la loro musica ho potuto diventare musicista”.
Oggi invece i giovani, abolite le Scholae cantorum e l’insegnamento della musica nei Seminari, dovrebbero imparare da effimere e rumorose ‘ sperimentazioni’ lontane dalla tradizione della quale si è voluta, con il CVII o, se si preferisce, con il post CVII, la damnatio memoriae.
Scacciata dalle chiese la grande musica liturgica è finita nei concerti come pezzo da museo e non più come fonte di ispirazione per ulteriori conquiste.
Di recente un vecchio e noto teologo (mi pare Cottier) è arrivato a dire su Telepace che: “con il CVII, per la prima volta, la Chiesa nella storia ha riflettuto su se stessa”. Come avrebbe potuto, fino ad allora, convertire a Cristo tanti popoli e nazioni? Si sarebbe tentati di dubitare come il poeta G. G. Belli che nel sonetto ’Li cardinali in Cappella’, conclude: “ Saria curioso de leggeje in core - Quanti de quelli llì credeno in Dio“.