(segue dalla prima parte)
Nei costumi di scena, coloro che si sono soffermati frettolosamente a criticarli e bollarli come “discinti” (cosa peraltro assolutamente non vera!) non si sono in alcun modo sforzati di appunto semmai “leggere tra le righe”; per poter così scorgere in essi, “puramente e senza malizie”, le immagini di “sole e luna”: rispettivamente ulteriori modi di esprimere “leone ed aquila”!
Ancora una plateale caduta in mitologie massonico-esoteriche da parte del sottoscritto? Nient’affatto! Voglio solo ricordare, senza commento alcuno, che “sole e luna” per tutto il Medioevo, e fino al sec XVI, nei dipinti sacri sono associati molto di frequente sia al di sopra che al di sotto delle braccia del crocifisso del Golgota. La coppia sole-luna significa in sé stessa “perennità”: sarebbe come dire che come il sole e la luna rinascono sempre, così l’opera di Gesù sulla croce varrà per sempre. Gesù, nell'attimo supremo del suo viaggio terreno, sospeso all’albero della Croce, tra il sole e la luna che si specchiano l’uno nell’altra, rappresenta l’istante in cui l’umanità si fonde con la divinità, in cui l’uomo si libera dal peccato (e dalla sua mortalità che è connessa col peccato) per trascendere la sua materialità ed innalzarsi in una sfera metafisica. Se dunque la luna rappresenta la temporalità umana, il sole è l’immutabile eternità di Dio.
Come era giusto che fosse, anche questa simbologia vanta una propria derivazione scritturale; e precisamente dal passo di Is 60,19-20 : “La tua luce non sarà più il sole, né sarai più illuminata dal pallido chiarore della luna, ma il Signore stesso sarà la tua luce eterna e il tuo Dio sarà il tuo splendore. Non più tramonterà il tuo sole, né la tua luna decrescerà, perché il Signore sarà per te eterna luce e saranno finiti i giorni del tuo dolore”.
A tal proposito, mi sento in dovere di raccontare come di recente, con non poco stupore, io sia venuto casualmente a conoscenza di ciò che è accaduto durante il viaggio del Santo Padre in Benin, lo scorso novembre. Sensibile al linguaggio vivo dei segni del Signore, non ho potuto non recepire come un qualche “indiretto conforto” alla mia linea artistico-interpretativa del santo Mistero del Cristo Gesù, quel che di tale avvenimento è stato riportato dal sito www.vaticaninsider.it del 21/11/2011. Cito estesamente, in quanto reputo tutto ciò molto edificante:
“Domenica gli 80 mila fedeli presenti alla messa del Papa hanno potuto vedere insieme la luna e il sole, evento rarissimo a quella latitudine. E alcuni blog parlano di “miracolo”.
All’indomani della messa celebrata da Benedetto XVI nello Stadio de l’Amitiè di Cotonou, anche i vescovi del Benin si interrogano sullo straordinario fenomeno che ha consentito alle 8 del mattino agli 80 mila fedeli presenti di vedere insieme la luna e il sole, un evento rarissimo in Africa a quella latitudine, che ha suscitato grande stupore nella folla, come ha riferito ai giornalisti il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi. Tanto più che non pochi fedeli hanno dichiarato di aver visto anche il sole muoversi e risplendere senza accecare, così da poterlo guardare a lungo senza problemi.
Un fenomeno interpretato dagli africani come un prodigio dovuto alla presenza del Papa, ma che ha turbato anche gli operatori dei media e molti vescovi, anche perché, a quanto si è appreso, non è stato un fatto isolato ma si è ripetuto altre volte nel corso della visita. Monsignor Renè-Marie Ehuzu, vescovo di Porto Novo e presidente della Commissione Pastorale Sociale della Conferenza Episcopale del Benin, nonché responsabile organizzativo della visita papale nel Paese, ha dichiarato all’Agi che «sabato pomeriggio, quando il Papa nel tragitto verso la parrocchia di Santa Rita, alla periferia di Cotonou, si è fermato per salutare e benedire gli ammalati dell’ospedale che si trova lì vicino, si è verificato un fenomeno analogo, tanto che gli ospiti del nosocomio hanno voluto recarsi nella Cappella per una preghiera di ringraziamento».
«Per tutti e tre i giorni della visita – ha affermato il presule – ci sono testimonianze su eventi simili e foto scattate con i cellulari dai testimoni, in qualche caso sacerdoti. Personalmente non so dare una spiegazione ma escludo che si tratti di un fenomeno di isteria collettiva». «La luna è attualmente molto vicina al sole (una piccola falce visibile prima dell’alba), perciò è impossibile vederla insieme al sole, cioè quando questo è alto nel cielo. Se era visibile, è evidente che il bagliore del sole era temperato, come appunto dicono i testimoni»”.
Avviandomi verso la conclusione, vorrei incidentalmente correggere alcune ulteriori imprecisioni affermate sul conto dell’azione scenica, così come rappresentata nella basilica di Collemaggio. Innanzitutto, dato il grande respiro organizzativo richiesto dalla complessità dell’evento, il quale prevedeva la partecipazione di coristi, musicisti, voci recitanti, danzatori, nonché tecnici di luci e suoni (in vista di una registrazione audiovisiva), ci si è trovati nella inevitabile necessità di approntare l’allestimento con qualche giorno di anticipo rispetto alla serata vera e propria. Nonostante ciò, ben consapevole della doverosa necessità di non apportare alcun disturbo al normale svolgimento delle funzioni liturgiche, è stata coscienziosa premura dello staff far sì che la parte della scenografia che risultava ingombrare l’accesso all’altare è stata all’uopo faticosamente e pazientemente smontata e rimontata ogni giorno. Pertanto, nessuna normale funzione, compresa la S.Messa vespertina del sabato 17 marzo (serata dell’evento), ha dovuto patire né un ritardo né una qualunque minima compromissione.
Inoltre, ulteriore non trascurabile dettaglio, l’evento è stato finanziato con i fondi europei stanziati dalla Regione Abruzzo per un fine sociale; tant’è che è rientrato come progetto culturale nel bando “Sostegno per la coesione sociale nel cratere”, indetto per favorire la rinascita del territorio aquilano dopo il sisma del 2009.
A conclusione di tutte queste delucidazioni, vorrei porgere a tutti “i fratelli nella fede” l’invito a non smarrirsi dietro recriminazioni che corrano il rischio di scadere in inutili e dannosi ideologismi, la cui unica conseguenza permane quella di “dividere l’uno contro l’altro” per porgere così il fianco al “comune nemico”! La “divisione” è frutto diabolico (dal greco “dia-ballo” = “separare, disunire, mettere discordia, mettere in cattiva luce, screditare), ancor più quando perpetrata all’interno della nostra Chiesa e nei confronti dei nostri pastori. Vale per tutti il passo di Eb 13,17!
Se l’azione scenica “Leo et Aquila” dovesse aver fallito nei suoi intenti, ebbene ciò sarebbe da addebitarsi esclusivamente all’insufficienza artistica che per mia responsabilità essa potrebbe aver mostrato; nonché alla probabile insufficienza di comunicazione di tutti i suoi veri e più propri significati, per responsabilità dei media di informazione che se ne sono occupati dando forse maggior risalto ad altri aspetti connessi che non fossero quelli spirituali. In ogni caso, non mi sento assolutamente di concedere che “Leo et Aquila” abbia preteso di insinuare in un luogo sacro qualcosa che tradisse il doveroso rispetto e culto che a tale luogo compete. D’altro canto, se fossero risultate insufficienti le buone intenzioni e la retta fede sottese sia alle scelte artistico-espressive adottate che alle finalità spirituali perseguite, ritengo senza alcun ombra di dubbio che ciò non avrebbe affatto comportato la concessione, da parte dell’Ordinario, né dell’effettuazione dell’evento né tanto meno del patrocinio ufficiale dello stesso.
Voglia pertanto caro Direttore, concedermi questa opportunità di replica non per gratificare delle mie personali aspettative, ma per il bene della Verità, alla cui faticosa ricerca tutti noi cristiani siamo chiamati. Come ben sottolineava Papa Giovanni Paolo II con la Sua “Lettera agli artisti” (1999), “…chi avverte in sé questa sorta di scintilla divina che è la vocazione artistica — di poeta, di scrittore, di pittore, di scultore, di architetto, di musicista, di attore... — avverte al tempo stesso l'obbligo di non sprecare questo talento, ma di svilupparlo, per metterlo a servizio del prossimo e di tutta l'umanità”.
Ed è proprio per questo che la Chiesa tiene in modo speciale al dialogo con l’arte, poiché “…da tale collaborazione la Chiesa si augura una rinnovata « epifania » di bellezza per il nostro tempo e adeguate risposte alle esigenze proprie della comunità cristiana…Per trasmettere il messaggio affidatole da Cristo, la Chiesa ha bisogno dell'arte. Essa deve, infatti, rendere percepibile e, anzi, per quanto possibile, affascinante il mondo dello spirito, dell'invisibile, di Dio. Deve dunque trasferire in formule significative ciò che è in se stesso ineffabile. Ora, l'arte ha una capacità tutta sua di cogliere l'uno o l'altro aspetto del messaggio traducendolo in colori, forme, suoni che assecondano l'intuizione di chi guarda o ascolta. E questo senza privare il messaggio stesso del suo valore trascendente e del suo alone di mistero. La Chiesa ha bisogno, in particolare, di chi sappia realizzare tutto ciò sul piano letterario e figurativo, operando con le infinite possibilità delle immagini e delle loro valenze simboliche. Cristo stesso ha utilizzato ampiamente le immagini nella sua predicazione, in piena coerenza con la scelta di diventare egli stesso, nell'Incarnazione, icona del Dio invisibile. La Chiesa ha bisogno, altresì, dei musicisti. Quante composizioni sacre sono state elaborate nel corso dei secoli da persone profondamente imbevute del senso del mistero! Innumerevoli credenti hanno alimentato la loro fede alle melodie sbocciate dal cuore di altri credenti e divenute parte della liturgia o almeno aiuto validissimo al suo decoroso svolgimento. Nel canto la fede si sperimenta come esuberanza di gioia, di amore, di fiduciosa attesa dell'intervento salvifico di Dio. La Chiesa ha bisogno di architetti, perché ha bisogno di spazi per riunire il popolo cristiano e per celebrare i misteri della salvezza. Dopo le terribili distruzioni dell'ultima guerra mondiale e l'espansione delle metropoli, una nuova generazione di architetti si è cimentata con le istanze del culto cristiano, confermando la capacità di ispirazione che il tema religioso possiede anche rispetto ai criteri architettonici del nostro tempo. Non di rado, infatti, si sono costruiti templi che sono, insieme, luoghi di preghiera ed autentiche opere d'arte”
Proprio alla luce di tali ultime parole, perché dunque non aiutare a far sì che rinasca finalmente tra gli artisti un rinnovato spirito religioso, tale da incrementare sempre più la creazione di nuove opere d’arte religiosa (siano esse musicali, teatrali o coreutiche, e meglio ancora se tutte quante unite, come in Leo et Aquila, in un unicum) che ritrovino proprio nei templi la loro più opportuna contestualizzazione? Auspichiamo insomma che, con l’unico intento di sempre elevare la lode al Signore, i templi, oltre ad essere luoghi di preghiera ed autentiche opere d’arte, possano anche essere luoghi di nuove autentiche opere d’arte, cioè a dire di nuove opere d’arte quali autentiche preghiere! Il cammino non è di certo privo di difficoltà; né si possono tralasciare i numerosi “distinguo” che è giusto e prudente adottare. Ma affinché si potesse comunque cominciare ad indirizzarsi verso tali mete, era pur giusto e provvidenziale che con Leo et Aquila si avviasse tra i “fratelli” perlomeno una discussione.
Ringrazio e cordialmente saluto.
L’Aquila, 18 aprile 2012
Cosmo Intini
Nei costumi di scena, coloro che si sono soffermati frettolosamente a criticarli e bollarli come “discinti” (cosa peraltro assolutamente non vera!) non si sono in alcun modo sforzati di appunto semmai “leggere tra le righe”; per poter così scorgere in essi, “puramente e senza malizie”, le immagini di “sole e luna”: rispettivamente ulteriori modi di esprimere “leone ed aquila”!
Ancora una plateale caduta in mitologie massonico-esoteriche da parte del sottoscritto? Nient’affatto! Voglio solo ricordare, senza commento alcuno, che “sole e luna” per tutto il Medioevo, e fino al sec XVI, nei dipinti sacri sono associati molto di frequente sia al di sopra che al di sotto delle braccia del crocifisso del Golgota. La coppia sole-luna significa in sé stessa “perennità”: sarebbe come dire che come il sole e la luna rinascono sempre, così l’opera di Gesù sulla croce varrà per sempre. Gesù, nell'attimo supremo del suo viaggio terreno, sospeso all’albero della Croce, tra il sole e la luna che si specchiano l’uno nell’altra, rappresenta l’istante in cui l’umanità si fonde con la divinità, in cui l’uomo si libera dal peccato (e dalla sua mortalità che è connessa col peccato) per trascendere la sua materialità ed innalzarsi in una sfera metafisica. Se dunque la luna rappresenta la temporalità umana, il sole è l’immutabile eternità di Dio.
Come era giusto che fosse, anche questa simbologia vanta una propria derivazione scritturale; e precisamente dal passo di Is 60,19-20 : “La tua luce non sarà più il sole, né sarai più illuminata dal pallido chiarore della luna, ma il Signore stesso sarà la tua luce eterna e il tuo Dio sarà il tuo splendore. Non più tramonterà il tuo sole, né la tua luna decrescerà, perché il Signore sarà per te eterna luce e saranno finiti i giorni del tuo dolore”.
A tal proposito, mi sento in dovere di raccontare come di recente, con non poco stupore, io sia venuto casualmente a conoscenza di ciò che è accaduto durante il viaggio del Santo Padre in Benin, lo scorso novembre. Sensibile al linguaggio vivo dei segni del Signore, non ho potuto non recepire come un qualche “indiretto conforto” alla mia linea artistico-interpretativa del santo Mistero del Cristo Gesù, quel che di tale avvenimento è stato riportato dal sito www.vaticaninsider.it del 21/11/2011. Cito estesamente, in quanto reputo tutto ciò molto edificante:
“Domenica gli 80 mila fedeli presenti alla messa del Papa hanno potuto vedere insieme la luna e il sole, evento rarissimo a quella latitudine. E alcuni blog parlano di “miracolo”.
All’indomani della messa celebrata da Benedetto XVI nello Stadio de l’Amitiè di Cotonou, anche i vescovi del Benin si interrogano sullo straordinario fenomeno che ha consentito alle 8 del mattino agli 80 mila fedeli presenti di vedere insieme la luna e il sole, un evento rarissimo in Africa a quella latitudine, che ha suscitato grande stupore nella folla, come ha riferito ai giornalisti il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi. Tanto più che non pochi fedeli hanno dichiarato di aver visto anche il sole muoversi e risplendere senza accecare, così da poterlo guardare a lungo senza problemi.
Un fenomeno interpretato dagli africani come un prodigio dovuto alla presenza del Papa, ma che ha turbato anche gli operatori dei media e molti vescovi, anche perché, a quanto si è appreso, non è stato un fatto isolato ma si è ripetuto altre volte nel corso della visita. Monsignor Renè-Marie Ehuzu, vescovo di Porto Novo e presidente della Commissione Pastorale Sociale della Conferenza Episcopale del Benin, nonché responsabile organizzativo della visita papale nel Paese, ha dichiarato all’Agi che «sabato pomeriggio, quando il Papa nel tragitto verso la parrocchia di Santa Rita, alla periferia di Cotonou, si è fermato per salutare e benedire gli ammalati dell’ospedale che si trova lì vicino, si è verificato un fenomeno analogo, tanto che gli ospiti del nosocomio hanno voluto recarsi nella Cappella per una preghiera di ringraziamento».
«Per tutti e tre i giorni della visita – ha affermato il presule – ci sono testimonianze su eventi simili e foto scattate con i cellulari dai testimoni, in qualche caso sacerdoti. Personalmente non so dare una spiegazione ma escludo che si tratti di un fenomeno di isteria collettiva». «La luna è attualmente molto vicina al sole (una piccola falce visibile prima dell’alba), perciò è impossibile vederla insieme al sole, cioè quando questo è alto nel cielo. Se era visibile, è evidente che il bagliore del sole era temperato, come appunto dicono i testimoni»”.
Avviandomi verso la conclusione, vorrei incidentalmente correggere alcune ulteriori imprecisioni affermate sul conto dell’azione scenica, così come rappresentata nella basilica di Collemaggio. Innanzitutto, dato il grande respiro organizzativo richiesto dalla complessità dell’evento, il quale prevedeva la partecipazione di coristi, musicisti, voci recitanti, danzatori, nonché tecnici di luci e suoni (in vista di una registrazione audiovisiva), ci si è trovati nella inevitabile necessità di approntare l’allestimento con qualche giorno di anticipo rispetto alla serata vera e propria. Nonostante ciò, ben consapevole della doverosa necessità di non apportare alcun disturbo al normale svolgimento delle funzioni liturgiche, è stata coscienziosa premura dello staff far sì che la parte della scenografia che risultava ingombrare l’accesso all’altare è stata all’uopo faticosamente e pazientemente smontata e rimontata ogni giorno. Pertanto, nessuna normale funzione, compresa la S.Messa vespertina del sabato 17 marzo (serata dell’evento), ha dovuto patire né un ritardo né una qualunque minima compromissione.
Inoltre, ulteriore non trascurabile dettaglio, l’evento è stato finanziato con i fondi europei stanziati dalla Regione Abruzzo per un fine sociale; tant’è che è rientrato come progetto culturale nel bando “Sostegno per la coesione sociale nel cratere”, indetto per favorire la rinascita del territorio aquilano dopo il sisma del 2009.
A conclusione di tutte queste delucidazioni, vorrei porgere a tutti “i fratelli nella fede” l’invito a non smarrirsi dietro recriminazioni che corrano il rischio di scadere in inutili e dannosi ideologismi, la cui unica conseguenza permane quella di “dividere l’uno contro l’altro” per porgere così il fianco al “comune nemico”! La “divisione” è frutto diabolico (dal greco “dia-ballo” = “separare, disunire, mettere discordia, mettere in cattiva luce, screditare), ancor più quando perpetrata all’interno della nostra Chiesa e nei confronti dei nostri pastori. Vale per tutti il passo di Eb 13,17!
Se l’azione scenica “Leo et Aquila” dovesse aver fallito nei suoi intenti, ebbene ciò sarebbe da addebitarsi esclusivamente all’insufficienza artistica che per mia responsabilità essa potrebbe aver mostrato; nonché alla probabile insufficienza di comunicazione di tutti i suoi veri e più propri significati, per responsabilità dei media di informazione che se ne sono occupati dando forse maggior risalto ad altri aspetti connessi che non fossero quelli spirituali. In ogni caso, non mi sento assolutamente di concedere che “Leo et Aquila” abbia preteso di insinuare in un luogo sacro qualcosa che tradisse il doveroso rispetto e culto che a tale luogo compete. D’altro canto, se fossero risultate insufficienti le buone intenzioni e la retta fede sottese sia alle scelte artistico-espressive adottate che alle finalità spirituali perseguite, ritengo senza alcun ombra di dubbio che ciò non avrebbe affatto comportato la concessione, da parte dell’Ordinario, né dell’effettuazione dell’evento né tanto meno del patrocinio ufficiale dello stesso.
Voglia pertanto caro Direttore, concedermi questa opportunità di replica non per gratificare delle mie personali aspettative, ma per il bene della Verità, alla cui faticosa ricerca tutti noi cristiani siamo chiamati. Come ben sottolineava Papa Giovanni Paolo II con la Sua “Lettera agli artisti” (1999), “…chi avverte in sé questa sorta di scintilla divina che è la vocazione artistica — di poeta, di scrittore, di pittore, di scultore, di architetto, di musicista, di attore... — avverte al tempo stesso l'obbligo di non sprecare questo talento, ma di svilupparlo, per metterlo a servizio del prossimo e di tutta l'umanità”.
Ed è proprio per questo che la Chiesa tiene in modo speciale al dialogo con l’arte, poiché “…da tale collaborazione la Chiesa si augura una rinnovata « epifania » di bellezza per il nostro tempo e adeguate risposte alle esigenze proprie della comunità cristiana…Per trasmettere il messaggio affidatole da Cristo, la Chiesa ha bisogno dell'arte. Essa deve, infatti, rendere percepibile e, anzi, per quanto possibile, affascinante il mondo dello spirito, dell'invisibile, di Dio. Deve dunque trasferire in formule significative ciò che è in se stesso ineffabile. Ora, l'arte ha una capacità tutta sua di cogliere l'uno o l'altro aspetto del messaggio traducendolo in colori, forme, suoni che assecondano l'intuizione di chi guarda o ascolta. E questo senza privare il messaggio stesso del suo valore trascendente e del suo alone di mistero. La Chiesa ha bisogno, in particolare, di chi sappia realizzare tutto ciò sul piano letterario e figurativo, operando con le infinite possibilità delle immagini e delle loro valenze simboliche. Cristo stesso ha utilizzato ampiamente le immagini nella sua predicazione, in piena coerenza con la scelta di diventare egli stesso, nell'Incarnazione, icona del Dio invisibile. La Chiesa ha bisogno, altresì, dei musicisti. Quante composizioni sacre sono state elaborate nel corso dei secoli da persone profondamente imbevute del senso del mistero! Innumerevoli credenti hanno alimentato la loro fede alle melodie sbocciate dal cuore di altri credenti e divenute parte della liturgia o almeno aiuto validissimo al suo decoroso svolgimento. Nel canto la fede si sperimenta come esuberanza di gioia, di amore, di fiduciosa attesa dell'intervento salvifico di Dio. La Chiesa ha bisogno di architetti, perché ha bisogno di spazi per riunire il popolo cristiano e per celebrare i misteri della salvezza. Dopo le terribili distruzioni dell'ultima guerra mondiale e l'espansione delle metropoli, una nuova generazione di architetti si è cimentata con le istanze del culto cristiano, confermando la capacità di ispirazione che il tema religioso possiede anche rispetto ai criteri architettonici del nostro tempo. Non di rado, infatti, si sono costruiti templi che sono, insieme, luoghi di preghiera ed autentiche opere d'arte”
Proprio alla luce di tali ultime parole, perché dunque non aiutare a far sì che rinasca finalmente tra gli artisti un rinnovato spirito religioso, tale da incrementare sempre più la creazione di nuove opere d’arte religiosa (siano esse musicali, teatrali o coreutiche, e meglio ancora se tutte quante unite, come in Leo et Aquila, in un unicum) che ritrovino proprio nei templi la loro più opportuna contestualizzazione? Auspichiamo insomma che, con l’unico intento di sempre elevare la lode al Signore, i templi, oltre ad essere luoghi di preghiera ed autentiche opere d’arte, possano anche essere luoghi di nuove autentiche opere d’arte, cioè a dire di nuove opere d’arte quali autentiche preghiere! Il cammino non è di certo privo di difficoltà; né si possono tralasciare i numerosi “distinguo” che è giusto e prudente adottare. Ma affinché si potesse comunque cominciare ad indirizzarsi verso tali mete, era pur giusto e provvidenziale che con Leo et Aquila si avviasse tra i “fratelli” perlomeno una discussione.
Ringrazio e cordialmente saluto.
L’Aquila, 18 aprile 2012
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