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mercoledì 11 aprile 2012

Cappella Sistina: una recensione critica

di Alessandro Taverna, da Chiesa di S. Magister del 30.03.2012

La nomina di don Massimo Palombella alla guida della Sistina aveva colto un po' di sorpresa gli "addetti ai lavori", che l'hanno creduta di motivare leggendovi un attestato di fiducia e di stima nei suoi confronti da parte del Santo Padre e del suo segretario di Stato cardinale Tarcisio Bertone.
Molte erano le speranze: la principale era che il nuovo direttore potesse risuscitare una tradizione musicale gloriosa progressivamente esauritasi, specialmente negli ultimi dieci anni, unitamente al perfezionamento di una qualità vocale del coro, non sempre encomiabile.
Ebbene, benché la Cappella Sistina sotto la direzione di Palombella abbia il merito di aver recuperato la prassi dell'esecuzione palestriniana (prima completamente dimenticata nelle messe papali), bisogna riconoscere che il livello vocale del coro è scaduto e peggiorato ulteriormente.
In particolare si coglie l'incapacità da parte dei cantori di sostenere un ritmo accettabile. La velocità di esecuzione diventa spesso lenta in modo esasperato, come nel caso del "Tu es Petrus" di Palestrina. Estendendosi praticamente fino al saluto iniziale della messa, si è ultimamente deciso di farlo terminare a "ecclesiam meam", per accorciarne la lunghezza.
L'uso delle trombe d'argento all'inizio della celebrazione (retaggio del rito della cappella papale di un tempo) è assai discutibile nella forma in cui oggi è stato ripristinato, tant'è vero che – anche qui – il prolungarsi della Marcia di Domenico Silverj ha determinato non poche difficoltà: più volte il pontefice, avendo già raggiunto la sede, ha dovuto aspettare che fosse terminata anche un'esecuzione affrettata dell'introito.
Ultimamente il "Tu es Petrus" di Palestrina è stato abbandonato per quello, più breve e troncato anch'esso, di Maurice Duruflé: si è così lasciato spazio a un'esecuzione dell'introito più articolata nelle strofe.
Circa il gregoriano, i problemi si fanno ancora più evidenti. Non si capisce, ad oggi, il motivo che spinge a lasciare la "schola cantorum" sempre sguarnita dell'accompagnamento dell'organo, col risultato che i cantori – incapaci di mantenere da soli la tonalità – calano in modo vistoso e drammatico, un calare che viene palesato ogni volta che l'organo interviene per accompagnare l'assemblea dei fedeli.
C'è da dire che anche la scelta del coro-guida dell'assemblea è infelice. Un tempo costituito da sole voci maschili, oggi è in prevalenza femminile, e ogni volta assesta il colpo esiziale alla già precaria intonazione della "schola".
Inviterei a riascoltare il canto delle Litanie dei Santi eseguite il giorno dell'Epifania per rendersi conto che dall'inizio alla fine i cantori sono calati di ben tre toni.
È evidente, a questo punto, che l'attuale coro della Sistina non dovrebbe permettersi di fare a meno, nel gregoriano, dell'accompagnamento dell'organo, utilizzato invece per sostenere gli interventi dell'assemblea. In quest'ultimo caso, d'altra parte, le armonie impiegate dall'organista hanno un sapore alquanto decadente e quasi "jazzistico", con l'impiego massiccio di settime, che stridono ancora di più con la scelta fatta poco prima dalla "schola" di cantare a cappella. Personalmente, trovo che il fraseggio dell'organo non è sempre comprensibile, alla luce dell'oggettività e della semplicità che dovrebbero caratterizzare la monodia gregoriana.
C'è inoltre da aggiungere che la dislocazione dei numerosi microfoni non giova alla comprensione delle armonie eseguite nel canto polifonico, che risultano poco chiare, specialmente nel canto dei falsobordoni, sia nell'Ordinarium Missae che in altre occasioni, come negli inni e nei salmi dei Vespri.
Per chi ascolta alla televisione, questo inconveniente mette ancor di più in evidenza i problemi di cui si è parlato poc'anzi, anche perché sembra che vi sia come un'insistenza – specie nelle nuove composizioni proposte – su armonie dissonanti che non hanno nulla di sbagliato in se stesse, ma che appare azzardato affidare a un coro che presenta i limiti suddetti (si riascolti, ad esempio, il "Tu es Petrus", versetto all'Alleluia, eseguito lo scorso 19 febbraio in occasione del concistoro).
Parlando ancora del ruolo dell'organo, mi sembra che si sia promosso un indirizzo generale che ha portato a una sostanziale sua abdicazione, a favore di altri strumenti, quali la "fanfara" degli ottoni che ci siamo abituati ad ascoltare all'ingresso e all'uscita del pontefice. Manca del tutto, duole ammetterlo, l'approfondimento e la promozione di una consolidata prassi organistica, che spazi dall'improvvisazione alla grande letteratura italiana ed europea.
Il 15 ottobre scorso Palombella ha rilasciato un'intervista al "L'Osservatore Romano", nella quale tra l'altro affermava che, facendo tesoro dell'eredità consegnataci dalla vocalità del Novecento, i cantori avrebbero dovuto migliorare l'intonazione secondo un metodo "scientifico", basato in particolare sull'intonazione delle terze e delle quinte.
Bisogna però riconoscere che proprio riguardo all'intonazione non si vede alcun progresso, ma piuttosto una generalizzata e inarrestabile involuzione, con un ulteriore difetto che molto spesso si avverte, e cioè che si sentono i cantori "urlare".
Risultati, dunque, che per adesso non corrispondono ai propositi formulati in quell'intervista.

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