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sabato 31 dicembre 2011

Approfondimenti di don Jean-Michel Gleize - V parte

Pubblichiamo la quinta di uno studio di don Jean-Michel Gleize, membro della Commissione della Fraternità Sacerdotale San Pio X per le discussioni con Roma, in risposta a quanto affermato da Monsignor Fernando Ocáriz apparso su "L’Osservatore Romano". (Segue qui dalla IV parte) (C.S.)


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UNA NUOVA CONCEZIONE DELL’UNITA’ DELLA VERITA’

Nell’ottica tradizionale, dove il punto di riferimento è quello dell’oggetto, l’unità del magistero è quella della verità rivelata, poiché il magistero si definisce come l’organo della Tradizione oggettiva. Per questo, l’atto del magistero non si definisce essenzialmente come un atto presente, in opposizione a un atto passato. Poiché il magistero si esercita, non in quanto è presente o attuale, ma in quanto esso esprime sempre lo stesso significato della stessa verità, in modo sempre più preciso. Questa espressione della verità, con l’esplicitazione che l’accompagna in eodem sensu, è di per sé intemporale. In questo senso, il magistero vivente non si riduce al magistero presente, in opposizione al magistero passato che sarebbe un magistero non vivente, o postumo. Se il magistero presente è vivente, anche il magistero passato lo è stato. Il tempo non ha alcuna incidenza diretta e immediata sull’oggetto né sull’atto del magistero che l’enuncia. Per appoggiare la sua critica agli insegnamenti del Vaticano II, Mons. Lefebvre richiama sempre, con grande precisione, non il «magistero passato», ma il «magistero di sempre», in altre parole il magistero costante. Il tempo attiene solo al soggetto che esercita l’atto del magistero, ed è in questo senso che si può distinguere tra regola lontana (il magistero passato) e regola prossima (il magistero presente) della fede.
Nella nuova ottica implicata dal discorso del 2005 e delucidata nei testi che abbiamo citati, il punto di riferimento non è più quello dell’oggetto. L’unità del magistero è quella «dell'unico soggetto-Chiesa, che il Signore ci ha donato; è un soggetto che cresce nel tempo e si sviluppa, rimanendo però sempre lo stesso, unico soggetto del Popolo di Dio in cammino». Il magistero si definisce come l’organo di una esperienza comune, vissuta dal Popolo di Dio sul filo del tempo. La continuità, allora, si basa nel soggetto della Chiesa che resta la stessa, indipendentemente dall’oggetto. Non è più il soggetto che si adatta all’oggetto, ma è l’oggetto che è detto continuo perché il soggetto che lo dice resta lo stesso. Il rinnovamento nella continuità di cui parla Benedetto XVI, consiste nello stabilire «il collegamento fra l'esperienza della fede apostolica, vissuta nell'originaria comunità dei discepoli, e l'esperienza attuale del Cristo nella sua Chiesa» [15]. Di fatto, questo rinnovamento non consiste nel proporre la stessa dottrina secondo un modo più esplicito, ma consiste nel cambiare la dottrina con i principi da essa implicati, col pretesto che questi principi (di cui si dice solo che sono «durevoli») devono trovare la loro applicazione in una materia contingente. È in questo senso che il Vaticano II si è proposto di stabilire «una nuova definizione della relazione fra la fede della Chiesa e certi elementi essenziali del pensiero moderno», affinché la dottrina della fede fosse «presentata in maniera da corrispondere alle esigenze della nostra epoca» e «secondo i modi di ricerca e di formulazione letteraria del pensiero moderno». Dal momento che è lo stesso soggetto Chiesa che in questo modo adotta una posizione differente nei confronti del mondo uscito dalla modernità, il rinnovamento sarà quello di una continuità e non di una rottura.
Come insegna logicamente la Dichiarazione Mysterium Ecclesiae, se il magistero impone al Popolo di Dio le formule dogmatiche come tante forme differenti atte a tradurre un’esperienza vissuta sul filo del tempo e della contingenza, «questo non vuol dire che ciascuna di esse lo sia stata o lo resterà in pari misura». Un simile relativismo si scontra con l’insegnamento dato da Pio XII nella Humani generis [16], ma si armonizza con la nuova idea del magistero esposta nella Donum veritatis. D’altronde, il futuro Benedetto XVI ha giustificato lui stesso questa concezione relativista: «[L’insegnamento magisteriale] afferma – forse per la prima volta in maniera così chiara – che vi sono delle decisioni del magistero che non possono costituire l’ultima parola su una materia in quanto tale, ma una sostanziale stimolazione in rapporto al problema, e soprattutto una espressione di prudenza pastorale, una sorta di disposizione provvisoria. […] A questo proposito, si può guardare tanto alle dichiarazioni dei papi del secolo scorso sulla libertà religiosa quanto alle decisioni antimoderniste dell’inizio del secolo, in particolare alle decisioni della Commissione biblica dell’epoca. In quanto grido d’allarme di fronte agli adattamenti affrettati e superficiali, esse restano pienamente giustificate. […] Ma nei particolari relativi ai contenuti, dopo aver assolto al loro dovere pastorale in un preciso momento, esse sono superate » [17]. Questo relativismo si ritrova nel discorso del 22 dicembre 2005, che ragiona come se ogni decisione, per il fatto che appartiene alla storia, può riguardare solo una materia contingente e può esprimere una verità solamente relativa alle circostanze: «In questo processo di novità nella continuità dovevamo imparare a capire più concretamente di prima che le decisioni della Chiesa riguardanti cose contingenti – per esempio, certe forme concrete di liberalismo o di interpretazione liberale della Bibbia – dovevano necessariamente essere esse stesse contingenti, appunto perché riferite a una determinata realtà in se stessa mutevole».
Nel pensiero del papa, questo relativismo non è di ieri. Ancora teologo, Joseph Ratzinger si spiegava già a sufficienza su questo punto. «Non solo – scriveva nel 1972 – si deve dire che la storia dei dogmi, nel dominio della teologia cattolica, è fondamentalmente possibile, ma anche che ogni dogma che non venga elaborato come storia dei dogmi è inconcepibile» [18]; ed è per questo che «la formazione del concetto di tradizione nel cattolicesimo post-tridentino costituisce il più grande ostacolo ad una comprensione storica della realtà cristiana» [19]. In effetti, il concetto post-tridentino suppone che la rivelazione si sia conclusa con la morte dell’ultimo Apostolo e che da allora rimanga sostanzialmente immutabile nel suo significato. Ora, «l’assioma della fine della rivelazione con la morte dell’ultimo Apostolo», spiega Joseph Ratzinger, «era ed è, all’interno della teologia cattolica, uno dei principali ostacoli per la comprensione positiva e storica del cristianesimo: l’assioma così formulato non appartiene ai primi dati della coscienza cristiana» [20]. […] «Affermando che la rivelazione è chiusa con la morte dell’ultimo apostolo, si concepisce oggettivamente la rivelazione come un insieme di dottrine che Dio ha comunicato all’umanità. Questa comunicazione un certo giorno finisce, così i limiti di questo insieme di dottrine rivelate resterà fissato. Tutto ciò che viene dopo sarebbe solo la conseguenza di questa dottrina o la corruzione di essa» [21]. Ora, «non solo questa concezione si oppone ad una piena comprensione dello sviluppo storico del cristianesimo, ma è anche in contraddizione con i dati biblici» [22].
Tutto questo è perfettamente coerente se si ritiene che la Tradizione è: «la comunione dei fedeli intorno ai legittimi Pastori nel corso della storia, una comunione che lo Spirito Santo alimenta assicurando il collegamento fra l'esperienza della fede apostolica, vissuta nell'originaria comunità dei discepoli, e l'esperienza attuale del Cristo nella sua Chiesa» [23], o anche: «la storia dello Spirito che agisce nella storia della Chiesa attraverso la mediazione degli Apostoli e dei loro successori, in fedele continuità con l’esperienza delle origini» [24], o se si postula che «la Tradizione non è trasmissione di cose o di parole, una collezione di cose morte. La Tradizione è il fiume vivo che ci collega alle origini, il fiume vivo nel quale le origini sono sempre presenti. Il grande fiume che ci conduce al porto dell’eternità» [25], o se si decide che «la Tradizione apostolica non è una collezione di cose, di parole, come una bottiglia piena di cose morte; la Tradizione è il fiume della vita nuova che viene dalle origini, da Cristo fino a noi, e che ci fa partecipi della storia di Dio con l’umanità».
Ma se le acque di questo grande fiume ove si bagna la fede della Chiesa non restano sempre le stesse, avremo un bel problema a seguire Mons. Ocáriz nella ricerca di una «interpretazione unitaria», che soddisfi le esigenze del principio di non contraddizione. (continua)

(fine V parte)

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Note
[15] Benedetto XVI, La Comunione nel tempo: la Tradizione, udienza del 26 aprile 2006, in L’Osservatore romano n. 18 dell’ed. francese del 2 maggio 2006, p.12.
[16] «Sebbene le verità che la Chiesa con le sue formule dogmatiche intende effettivamente insegnare si distinguano dalle mutevoli concezioni di una determinata epoca e possano essere espresse anche senza di esse, può darsi tuttavia che quelle stesse verità del sacro Magistero siano enunciate con termini che risentono di tali concezioni. Ciò premesso, si deve dire che le formule dogmatiche del Magistero della Chiesa fin dall’inizio furono adatte a comunicare la verità rivelata, e che restano per sempre adatte a comunicarla a chi le comprende rettamente. Ma questo non vuol dire che ciascuna di esse lo sia stata o lo resterà in pari misura».
[17] Cardinale Ratzinger, Presentazione dell’Istruzione Donum veritatis, in L’Osservatore romano, ediz. settimanale in francese del 10 luglio 1990, p. 9.
[18] Joseph Ratzinger, Théologie et histoire. Notes sur le dynamisme historique de la foi, 1972, p. 108, citato da Joaquim E. M. Terra, Itinerario teologico di Benedetto XVI, Roma, 2007, p. 66.
[19] Ratzinger, ibidem, p. 65.
[20] Ratzinger, ibidem, p. 64.
[21] Ratzinger, ibidem.
[22] Ratzinger, ibidem.
[23] Benedetto XVI, La Comunione nel tempo: la Tradizione, udienza del 26 aprile 2006, in L’Osservatore romano n. 18 dell’ed. francese del 2 maggio 2006, p.12.
[24] Benedetto XVI, ibidem.
[25] Benedetto XVI, ibidem.

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