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lunedì 14 novembre 2011

Liturgia: l'angolo del buonumore

Pubblichiamo un involontariamente esilarante articolo di don Franco Marton sul settimanale diocesano trevigiano La vita del Popolo. Una summa delle banalità più grottesche sulla nuova liturgia e un condensato di vecchie e arrugginite idee del '68 ecclesiale. Il fatto che l'autore dell'articolo scriva che dopo 50 anni con la riforma liturgica si è riusciti a fare solo "qualche passo", dimostra il suo fallimento. Ai lettori i commenti


Da adulti nella liturgia
di don Franco Marton

I laici, la fede e la storia nelle celebrazioni
Una ragazza africana alla Veglia missionaria ha chiesto al Vescovo: perché le vostre liturgie non sono così vive e coinvolgenti come quelle cui partecipavo in Nigeria? Il Vescovo rispondendo ha fatto allusione a quanto potremmo imparare anche dalle liturgie delle giovani chiese. Proviamoci.

Partecipazione attiva portando la storia.
Perché le nostre Messe per lo più appaiono “passive”? Il Concilio ci chiedeva una “partecipazione attiva”. Gli anziani con una fede solida riescono a partecipare sul serio, pur nella sobrietà delle parole e dei gesti. Ma molti, adulti e soprattutto giovani, sembrano “assistere” a uno spettacolo, raramente interessante. La partecipazione attiva invece è uno stare nella liturgia da adulti. Con “fede adulta” per dirla col nostro Vescovo. Dal Concilio in poi qualche passo l’abbiamo fatto: l’uso dell’italiano ha permesso ai laici di capire e leggere le letture bibliche e le preghiere dei fedeli, il canto si è qualificato, il rito si esegue con proprietà. Ma ci siamo fermati a metà strada. Ci manca quel pezzo che è la strada della storia, cioè della vita non solo personale ma anche sociale e collettiva.
Senza far entrare la storia nella liturgia rischiamo di costruire una fede incompleta, perfino deformata nel ritualismo o nell’infantilismo. C’è una potenza “formativa” della liturgia che deve spingere chi vi partecipa a con-formarsi progressivamente alla vita stessa di Gesù. Che è stata una vita di “Profeta”, immersa nella storia del suo popolo e del suo tempo. Di domenica in domenica la Messa può formare comunità cristiane attente non solo alla vita personale e familiare, ma anche ai fatti sociali del territorio e del mondo intero, alle “gioie e alle speranze, alle tristezze e alle angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di coloro che soffrono”, come dice il Concilio. Può formare i cristiani a portare nel mistero della morte e risurrezione di Gesù tutto il bene e il male della storia che viviamo.

Ma si può fare?
Qualcuno obietta: l’Eucaristia celebra nella lode il mistero di Gesù morto e risorto, che agisce misteriosamente nella storia di tutti, senza il bisogno di oscurare il rito con riferimenti storici, che sono di disturbo perché sempre opachi e transitori. Ma nelle “Preghiere eucaristiche” da sempre già entra la storia, attraverso il nome di quel Papa che oggi è Pastore della chiesa universale, di quel Vescovo che oggi è pastore di una chiesa piantata qui in questo territorio. E nel rito si possono fare i nomi di persone concrete, morte o viventi. Del resto Gesù ha vissuto la Cena dentro un tessuto di relazioni personali intense e di relazioni sociali e politiche. La prima Messa si è celebrata ben dentro la storia. E anche oggi è possibile e necessario far entrare in qualche modo la storia nelle nostre Messe.

Come fare?
La nostra liturgia ha regole ben precise, che vengono da molto lontano. Sono garanzie per l’autenticità ecclesiale del nostro culto. Ma ci sono spazi per la “partecipazione attiva” che ancora non sappiamo occupare. Nella Messa, ad esempio, sono previste le Preghiere dei fedeli. Non vuol dire che i fedeli possono leggere in un foglietto stampato mesi prima e identico per tutte le Assemblee preghiere scritte da qualche prete o Ufficio liturgico. Queste preghiere sono dei fedeli perché appartengono a loro, dovrebbero esser pensate, elaborate dai fedeli.
Già il Concilio, che ha ripristinato questa antica tradizione, chiedeva, “con la partecipazione del popolo, si facciano speciali preghiere per la santa Chiesa, per coloro che ci governano, per coloro che si trovano in varie necessità, per tutti gli uomini e per la salvezza di tutto il mondo”. Ma queste indicazioni possono restare molto generiche oppure possono, se vogliamo, “trasudare storia”.

Qualche esempio.
Se il Papa oggi è in visita pastorale in Germania o ad Assisi con i rappresentanti di altre religioni, pregare “storicamente” per lui vorrà dire ricordare cosa sta facendo; se il Vescovo difende pubblicamente gli immigrati, pregare per lui vorrà dire chiedere per lui il coraggio profetico che fu di Gesù; se la Chiesa africana celebra un Sinodo o quella latinoamericana un’Assemblea, pregare “storicamente” per la Chiesa universale vorrà dire anche ricordare questi avvenimenti.
E cosa significa, oggi, pregare per quelli che ci governano? Chiedere al Signore che ci sia una politica buona. Argomento delicato, perché la preghiera non può certo diventare un manifesto pro o contro il governo. Ma deve chiedere che “venga il Regno”, qui, adesso, nel nostro paese anche attraverso leggi giuste, fatte da uomini giusti.
E, oggi, che nome hanno “coloro che si trovano in varie necessità”? Sono le vittime di questa alluvione o di quel terremoto o gli immigrati dell’ultimo barcone arrivato a Lampedusa o la gente bombardata in questa o quella guerra. E cosa significa, oggi, “pregare per tutti gli uomini, di tutto il mondo”? Non escludere dalla nostra preghiera neppure Gheddafi o i violenti di ogni genere.
Far entrare la storia d’oggi nella Preghiera dei fedeli non può voler dire strumentalizzarla per farne una piccola tribuna da cui lanciare proclami, fare polemiche o esibire emozioni. Abusi a cui purtroppo, a volte, ancora si assiste nelle “feste sociali”, nei matrimoni o nei funerali.
Quando il Concilio chiede “una partecipazione piena, consapevole e attiva” ci lancia una grande sfida: stare nella liturgia da adulti, piantati nella vita e nella storia. A chi raccoglie la sfida viene chiesto un ascolto della Parola di Dio e insieme un ascolto della storia del nostro tempo.

Chi avrà il coraggio di farlo?
C’era una volta il gruppo liturgico… Potrebbe diventare un gruppo che si fa carico non solo del decoro della celebrazione, ma anche della storia. Gli incontri, certamente esigenti, dovrebbero mettere qualche giovane o adulto intorno ai testi della liturgia della domenica, in un clima di fede e di preghiera allo Spirito presente sia nella storia come nella Messa. Dopo l’ascolto della Parola, dovrebbero guardare agli avvenimenti sociali ed ecclesiali in corso, locali e universali e scegliere quei due o tre sui quali costruire la preghiera per l’assemblea. Ne dovrebbero uscire due o tre intenzioni “sobrie, formulate con sapiente libertà e con poche parole” come dicono le norme liturgiche.
La grande obiezione: realisticamente è possibile un lavoro così logorante, ogni settimana? E’ già molto difficile garantire il decoro della celebrazione e far leggere bene il foglietto… E poi, fare un nuovo gruppo, mentre si invoca la semplificazione?
Si tratta di sapere se si è convinti che un gruppo “fede e storia” (il nome viene dal Brasile!) non meriterebbe di sostituirne qualche altro ormai stanco (oso dire: qualche gruppo missionario non potrebbe, proprio per spirito missionario, cambiar pelle e diventare un gruppo “fede e storia”? Aspetto reazioni…). La fatica potrebbe essere inizialmente affrontata solo in Avvento e Quaresima. Quasi per sperimentare... Penso che ne valga la pena, per non rassegnarci alla passività.
In ogni caso, sarebbe interessante dibattere, anche nel giornale, questa proposta e il problema che c’è dietro: come stare, oggi, da adulti nella liturgia?

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