segue l'incalzante racconto dello svolgersi della Guerra contro gli Ottomani. Adernò è riuscito con ritmo veloce e coinvolgente a raccontare lo svolgersi della Battaglia del 7 Ottobre, riuscendo a rendere, nella velocità della narrazione, il realismo degli avvenimenti marziali e la crudezza di alcune immagini.
La capacità narrativa di Adernò e il suo scrivere fluido e mai pedante (nemmeno nei momenti meramente "elencativi"), ha appassionato persino noi, che quei fatti conosciamo abbastanza.
Ah, se i libri scolastici di Storia sapessero raccontare così! Come si appasionerebbero agli eventi grazie ai quali essi sono "occidentali", cristiani... e liberi.
Da rilevare le opportune e fondate considerazioni finali e l'accorata esortazione all'unitario orgoglio "cattolico", più che mai supportato dalla Storia.
(Il sottolineato è nostro).
La capacità narrativa di Adernò e il suo scrivere fluido e mai pedante (nemmeno nei momenti meramente "elencativi"), ha appassionato persino noi, che quei fatti conosciamo abbastanza.
Ah, se i libri scolastici di Storia sapessero raccontare così! Come si appasionerebbero agli eventi grazie ai quali essi sono "occidentali", cristiani... e liberi.
Da rilevare le opportune e fondate considerazioni finali e l'accorata esortazione all'unitario orgoglio "cattolico", più che mai supportato dalla Storia.
(Il sottolineato è nostro).
Roberto
(segue da qui) (omissi) Mentre a Cipro si svolge il violento assedio, il 20 Maggio 1571 San Pio V riesce a costituire la tanto necessaria Santa Lega, alla quale partecipano, naturalmente, i grandi “colossi” militari e politici: la Repubblica Serenissima di Venezia e la Spagna di Filippo II; a queste potenze, si uniscono, ovviamente, lo Stato Pontificio, il Duca di Savoia Emanuele Filiberto Testa di Ferro, i Cavalieri di Malta, le Repubbliche Marinare di Genova e Lucca e diverse Signorie italiane, tra le quali il Granducato di Toscana con Cosimo de’ Medici. Mentre Famagosta capitolava, la Flotta alleata – formata da 208 galee, 6 galeazze e otre 60 fregate con 1815 cannoni e 90.000 uomini (34mila soldati, 13mila marinai e 43mila vogatori) – si riunisce nel porto di Messina.
Tra la composizione della Flotta Cristiana spiccano le figure di coloro i quali saranno i protagonisti della Battaglia: Don Giovanni d’Austria, fratellastro di Filippo II e Comandante Supremo dell’Armata; il Principe romano Marcantonio Colonna, Comandante della Flotta Papale; il Capitano Sebastiano Venier, capo della Flotta Veneta, coadiuvato da Agostino Barbarigo (poi morto in combattimento); Gian Andrea Doria, comandante della formazione genovese.
In seguito, si conviene di dividere le tre flotte in quattro squadre, distinte da bandiere di diverso colore e composte ognuna da navi provenienti da tutte le Nazioni partecipanti, cosi da impedire il sorgere di eventuali gelosie tra le truppe e ottenere un’Armata la più compatta possibile. Oltre alle 6 galeazze di Francesco Duodo, c’è la squadra azzurra (61 galee) agli ordini di Don Giovanni, la squadra gialla (55 galee) di Barbarigo, la squadra verde (53 galee) di Doria, e quella Bianca (30 galee di retroguardia) al comando del Marchese di Santa Cruz. Su tutte le navi garriva il Vessillo della Lega, costituito da un grande stendardo di damasco di seta azzurra recante l’immagine di Nostro Signore Gesù Cristo in Croce. Dall’altra parte, riunita nel Golfo di Corinto, sta la grand’armata musulmana, pure divisa in quattro squadre. Conta circa 230 galee e una sessantina di bastimenti minori. In totale circa 280 legni, 750 cannoni, 34.000 soldati, 13.000 mariani e 41.000 rematori (in buona parte schiavi cristiani, per lo più greci). Il Supremo Comandante è Alì Pascià, soprannominato “Scirocco”, vecchio ammiraglio dei gloriosi giorni del sultano Solimano il Magnifico; gli altri comandanti: Uluds Alì (Uccialli) Pascià d’Algeri, Mohammed Saulak, governatore d’Alessandria, e Amurat Dragut (squadra di riserva). Il 16 settembre 1571 la Flotta Cristiana salpa da Messina verso Corfù e si raccoglie, poi, nel Porto di Camenizza, sulla costa albanese; nel frattempo, la Flotta turca si ripara presso Lepanto, fra il Golfo di Corinto e quello di Patrasso. Entrambe le formazioni si avvistano il 5 ottobre, all’ingresso del Golfo di Corinto, ma lo scontro non avviene subito.
Nella notte tra il Sabato 6 ed la Domenica 7 Ottobre la Flotta della Lega Santa fa vela da Cefalonia, dove si era frattanto trasferita, verso Punta Scropha, all’ingresso del Golfo di Patrasso dove entra alle prime luci dell’alba, mentre la formazione turca avanza (anticamente la Battaglia era detta “delle Curzolari”; curiosità: i mori chiamarono Punta Scropha il “Capo Insanguinato”). I Turchi vorrebbero oltrepassare la Flotta nemica per prenderla alle spalle, ma il valorosissimo Barbarigo resiste combattendo con grande tenacia e, sebbene egli cade mortalmente ferito, i nemici non passano e la manovra mora viene respinta.
È Mezzogiorno e, mentre a sinistra avviene questa strenua e valorosa difesa (e vittoria!), al centro lo scontro assume toni sanguinosissimi e violenti, specialmente fra le navi ammiraglie. La Reale Turca e la Reale di Spagna ingaggiano un tremendo duello, appoggiate dalle rispettive capitane e da molte altre galee, cristiane e turche, accorse in loro aiuto. Poi le due navi si urtano e quindi si affiancano, si lanciano a vicenda gli arpioni e inizia l’arrembaggio. Il Grand’Ammiraglio Alì Pascià, colpito dal fuoco della moschetteria cristiana, cade folgorato, ed i turchi vengono sconfitti, grazie soprattutto all’intervento della retroguardia della Lega Santa.
A destra, invece, ci sono dei problemi e la situazione è più incerta: Gian Andrea Doria, che si è esteso troppo in mare per non essere circondato, dà modo ai Turchi di penetrare tra le linee cristiane, ma, visto che la gran parte della flotta musulmana è, ormai, quasi del tutto sconfitta, i mori sono costretti a ritirarsi. Non per questo, però, gli infedeli risparmiano i Cristiani di soprusi e violenze.
In questo gran trambusto, molti schiavi cristiani nelle galee turche, incuranti anche delle minacce fatte loro (Alì Pascià aveva ordinato ai suoi uomini di uccidere senza pietà i rematori che avessero anche solo alzato la testa per guardare la flotta nemica) spezzano le catene e con armi di fortuna assalgono alle spalle i loro persecutori; quindi, gridando alla libertà, saltano sulle galee della Lega, mettendosi ai remi. Al contrario, i Capitani cristiani promettono ai galeotti rematori la libertà… La grande Battaglia culmina. Le urla dei combattenti, unite al suono delle trombe cristiane, al rullare dei tamburi turchi, all’esplodere delle granate, agli spari degli archibugi, all’incrociarsi delle spade e agli urti tra remi generano un frastuono assordante. Molti altri uomini continuano a morire, ancora tante galee cristiane e turche affondano o bruciano, in un inferno che sembra non finire mai…
Verso le quattro del pomeriggio il mare è ormai una raccapricciante distesa coperta di sangue, di lamenti, di cadaveri, di remi spezzati, di pezzi di alberature.
La Battaglia è finita, e la grand’armata turca completamente distrutta. La Cristianità ha sconfitto gli infedeli, li ha cacciati dal Mediterraneo e l’Europa ha ottenuto la pace.
Il bilancio dell’epico scontro è pesantissimo per tutti. Gli alleati contano circa 7.500 morti, uccisi o annegati, in gran parte soldati, e circa 20.000 feriti. Molto peggio va per i Turchi: 30.000 morti, tra cui la maggior parte dei loro capitani; circa 100 navi bruciate o affondate e 130 catturate; molti dei loro migliori capitani e 10.000 uomini fatti prigionieri; 15.000 schiavi cristiani fuggiti.
A questa grande Crociata del XVI secolo prese parte il fiore della Nobiltà e dell’eroismo italiano; Aristocratici come Alessandro Farnese Principe di Parma, Francesco Maria della Rovere Principe d’Urbino, i Principi capitolini Orsini, Colonna, Savelli, Caetani, Gonzaga; e poi Francesco di Savoia, un Ruspoli, un Malvezzi (autore di una nuova tecnica per incendiare le navi avversarie), un Serbelloni e molti altri si distinsero nell’aspro scontro, ma anche uomini comuni, mossi dal sentimento e dalla Religione.
La notizia della grande vittoria fece il giro dell’Orbe Cattolico, e dovunque fu salutata con celebrazioni religiose, letterarie ed artistiche. Si pensi all’immenso repertorio di poesie spagnole su questo tema, alle migliaia di composizioni nei vari dialetti italici ed alle centinaia in lingua italiana, prima fra tutte la “Gerusalemme Liberata” di Torquato Tasso, dove questi, prima di cantar “l’arme pietose e ’l capitano”, dedica il poema ad Alfonso d’Este augurandogli di poter esser lui il Goffredo dell’avvenire «s’egli avverrà ch’in pace/il buon popol di Cristo unqua si veda/e con navi e cavalli al fiero Trace/cerchi ritor la grande ingiusta preda». Si ricordino, inoltre, anche i numerosissimi dipinti dei vari Tintoretto, Veronese, Tiziano, Vasari che ritraggono la Battaglia ed il trionfo della Chiesa, e dunque di Cristo, sui Suoi nemici….
Molto, a riguardo delle celebrazioni ma, soprattutto, al sentimento religioso che animò la Battaglia e la Vittoria di Lepanto, si deve al grande Papa San Pio V, il quale già in uno dei suoi primi documenti da Pontefice, esortando alla riforma dei costumi del Clero, dichiarava che nella battaglia contro i Turchi poteva giovare solamente la preghiera di quei preti che sono di costumi puri.
Da ricordare è, poi, anche il fatto che un anno prima, nel 1570, il Papa aveva indetto un grande Giubileo “ad divinum auxilium implorandum contra infideles” e che, durante tutto il mese di Settembre del ’71 il Pontefice pregava e digiunava per il buon esito dell’impresa.
Speciali disposizioni, inoltre, erano state date dal Santo Padre per l’assistenza religiosa della Flotta Cristiana, garantendola con scelti Cappellani Domenicani, Francescani Minori, Cappuccini e Gesuiti; da lodare che la Compagnia di Gesù, per tutta l’estate aveva celebrato una S. Messa settimanale per la Crociata e, in modo particolare, i Gesuiti di Messina organizzarono così bene il lavoro pastorale che tutti gli equipaggi, prima di partire, si accostarono ai Sacramenti con sufficiente preparazione e con l’ottimo esempio “delli signori principali”.
Ciò è anche attestato dalle varie corrispondenze che ci sono giunte, da dove emerge il profondo fervore dei novelli Crociati, che aveva tutti i segni d’una autentica preparazione al Martirio. Su esplicita richiesta del Papa, fu assicurato su ogni nave il servizio religioso quotidiano con pratiche devozionali e confessioni, anche dopo la partenza da Messina.
I cappellani (ciò emerge dalla loro corrispondenza) assicurano che, nell’imminenza dello scontro, tutti gli equipaggi erano sereni e quasi allegri, fidenti in Dio e spesso desiderosi del rischio.
Una nota, a riguardo di come Pio V visse il giorno della Battaglia, è bene darla.
La tradizione tramanda che ebbe una rivelazione superna sull’esito dello scontro e che la notte durante la quale ricevette la notizia, si inginocchiò e pianse di gioia. Subito dopo, il Pontefice ordinò che si celebrasse una festa di ringraziamento in ogni giorno anniversario in onore di Nostra Signora della Vittoria ed inserì tra le Litaniæ Lauretanæ l’invocazione di “Maria Auxilum Christianorum”; il suo successore, il Santo Padre Gregorio XIII, ne fece la Festa della Beata Vergine del Rosario, che ricorre tuttora la prima Domenica di Ottobre, poiché la Tradizione tramanda che, mentre si svolgeva la Battaglia, l’intero Orbe Cattolico, seguendo l’esempio del Papa, era intento a recitare il Santo Rosario per chiedere la Vittoria.
Riguardo alla Penisola Iberica, inoltre, va ricordato che imbarcato in una galea cristiana, si trovava anche uno spadaccino spagnolo, fatto schiavo dai Turchi, un gentiluomo il cui nome sarebbe stato ricordato molto forse anche più a lungo dei nomi di quei tanti nobili personaggi che parteciparono all’epico scontro. Quest’uomo si chiamava Miguel Cervantes, grande scrittore e autore del Don Chisciotte. Il suo illustre genio letterario ebbe a definire la Battaglia di Lepanto come "Il più grande evento che videro i secoli".
Molti – purtroppo – si vergognano della data che abbiamo ricordato (e non solo di questa!) e si mascherano dietro il dito di quello che si può definire un “pacifondismo” estremo…i Cattolici, invece, non dovrebbero vergognarsene e dovrebbero essere fieri di appartenere a quella Chiesa per la cui salvaguardia San Pio V lavorò intensamente, una Chiesa incarnata e storica, e non disincarnata e atemporale, puramente carismatica e spirituale, così come la si vorrebbe far diventare adesso. Numerosi esponenti – anche nei gradini alti! – di questa Chiesa “moderna”, provano vergogna nei confronti della Chiesa “antica” che, se si potrebbe presentare “sporca” è solo perché ha duramente lavorato, impegnandosi a salvare il salvabile di una società e di una civiltà in crisi.
Qualcuno potrebbe magari tacciare di “trionfalismo” questo scritto, ma ciò che è stato espresso non ha fatto altro che riportare la storia che fu e che, forse, si potrebbe disgraziatamente ripetere se non si guarda attentamente e non ci si difenderà dalle sciagure, dai nemici del nostro presenti nel nostro tempo: il ritorno dell’invasione islamica, l’annullamento della Tradizione, il dilagare dell’ateismo e del laicismo, l’affermazione tra i giovani dei disvalori della new age e quanto di orrendo e spaventoso presenta il mondo moderno.
Oggi, a 440 anni di distanza, è giusto ricordare il passato, ben consapevoli degli orrori che ogni guerra produce, ma, allo stesso tempo, orgogliosi di essere Cattolici e figli di quella Chiesa da sempre protagonista di una Storia costellata di bellissime vittorie, spirituali e materiali. .Fabio Adernò
Tra la composizione della Flotta Cristiana spiccano le figure di coloro i quali saranno i protagonisti della Battaglia: Don Giovanni d’Austria, fratellastro di Filippo II e Comandante Supremo dell’Armata; il Principe romano Marcantonio Colonna, Comandante della Flotta Papale; il Capitano Sebastiano Venier, capo della Flotta Veneta, coadiuvato da Agostino Barbarigo (poi morto in combattimento); Gian Andrea Doria, comandante della formazione genovese.
In seguito, si conviene di dividere le tre flotte in quattro squadre, distinte da bandiere di diverso colore e composte ognuna da navi provenienti da tutte le Nazioni partecipanti, cosi da impedire il sorgere di eventuali gelosie tra le truppe e ottenere un’Armata la più compatta possibile. Oltre alle 6 galeazze di Francesco Duodo, c’è la squadra azzurra (61 galee) agli ordini di Don Giovanni, la squadra gialla (55 galee) di Barbarigo, la squadra verde (53 galee) di Doria, e quella Bianca (30 galee di retroguardia) al comando del Marchese di Santa Cruz. Su tutte le navi garriva il Vessillo della Lega, costituito da un grande stendardo di damasco di seta azzurra recante l’immagine di Nostro Signore Gesù Cristo in Croce. Dall’altra parte, riunita nel Golfo di Corinto, sta la grand’armata musulmana, pure divisa in quattro squadre. Conta circa 230 galee e una sessantina di bastimenti minori. In totale circa 280 legni, 750 cannoni, 34.000 soldati, 13.000 mariani e 41.000 rematori (in buona parte schiavi cristiani, per lo più greci). Il Supremo Comandante è Alì Pascià, soprannominato “Scirocco”, vecchio ammiraglio dei gloriosi giorni del sultano Solimano il Magnifico; gli altri comandanti: Uluds Alì (Uccialli) Pascià d’Algeri, Mohammed Saulak, governatore d’Alessandria, e Amurat Dragut (squadra di riserva). Il 16 settembre 1571 la Flotta Cristiana salpa da Messina verso Corfù e si raccoglie, poi, nel Porto di Camenizza, sulla costa albanese; nel frattempo, la Flotta turca si ripara presso Lepanto, fra il Golfo di Corinto e quello di Patrasso. Entrambe le formazioni si avvistano il 5 ottobre, all’ingresso del Golfo di Corinto, ma lo scontro non avviene subito.
Nella notte tra il Sabato 6 ed la Domenica 7 Ottobre la Flotta della Lega Santa fa vela da Cefalonia, dove si era frattanto trasferita, verso Punta Scropha, all’ingresso del Golfo di Patrasso dove entra alle prime luci dell’alba, mentre la formazione turca avanza (anticamente la Battaglia era detta “delle Curzolari”; curiosità: i mori chiamarono Punta Scropha il “Capo Insanguinato”). I Turchi vorrebbero oltrepassare la Flotta nemica per prenderla alle spalle, ma il valorosissimo Barbarigo resiste combattendo con grande tenacia e, sebbene egli cade mortalmente ferito, i nemici non passano e la manovra mora viene respinta.
È Mezzogiorno e, mentre a sinistra avviene questa strenua e valorosa difesa (e vittoria!), al centro lo scontro assume toni sanguinosissimi e violenti, specialmente fra le navi ammiraglie. La Reale Turca e la Reale di Spagna ingaggiano un tremendo duello, appoggiate dalle rispettive capitane e da molte altre galee, cristiane e turche, accorse in loro aiuto. Poi le due navi si urtano e quindi si affiancano, si lanciano a vicenda gli arpioni e inizia l’arrembaggio. Il Grand’Ammiraglio Alì Pascià, colpito dal fuoco della moschetteria cristiana, cade folgorato, ed i turchi vengono sconfitti, grazie soprattutto all’intervento della retroguardia della Lega Santa.
A destra, invece, ci sono dei problemi e la situazione è più incerta: Gian Andrea Doria, che si è esteso troppo in mare per non essere circondato, dà modo ai Turchi di penetrare tra le linee cristiane, ma, visto che la gran parte della flotta musulmana è, ormai, quasi del tutto sconfitta, i mori sono costretti a ritirarsi. Non per questo, però, gli infedeli risparmiano i Cristiani di soprusi e violenze.
In questo gran trambusto, molti schiavi cristiani nelle galee turche, incuranti anche delle minacce fatte loro (Alì Pascià aveva ordinato ai suoi uomini di uccidere senza pietà i rematori che avessero anche solo alzato la testa per guardare la flotta nemica) spezzano le catene e con armi di fortuna assalgono alle spalle i loro persecutori; quindi, gridando alla libertà, saltano sulle galee della Lega, mettendosi ai remi. Al contrario, i Capitani cristiani promettono ai galeotti rematori la libertà… La grande Battaglia culmina. Le urla dei combattenti, unite al suono delle trombe cristiane, al rullare dei tamburi turchi, all’esplodere delle granate, agli spari degli archibugi, all’incrociarsi delle spade e agli urti tra remi generano un frastuono assordante. Molti altri uomini continuano a morire, ancora tante galee cristiane e turche affondano o bruciano, in un inferno che sembra non finire mai…
Verso le quattro del pomeriggio il mare è ormai una raccapricciante distesa coperta di sangue, di lamenti, di cadaveri, di remi spezzati, di pezzi di alberature.
La Battaglia è finita, e la grand’armata turca completamente distrutta. La Cristianità ha sconfitto gli infedeli, li ha cacciati dal Mediterraneo e l’Europa ha ottenuto la pace.
Il bilancio dell’epico scontro è pesantissimo per tutti. Gli alleati contano circa 7.500 morti, uccisi o annegati, in gran parte soldati, e circa 20.000 feriti. Molto peggio va per i Turchi: 30.000 morti, tra cui la maggior parte dei loro capitani; circa 100 navi bruciate o affondate e 130 catturate; molti dei loro migliori capitani e 10.000 uomini fatti prigionieri; 15.000 schiavi cristiani fuggiti.
A questa grande Crociata del XVI secolo prese parte il fiore della Nobiltà e dell’eroismo italiano; Aristocratici come Alessandro Farnese Principe di Parma, Francesco Maria della Rovere Principe d’Urbino, i Principi capitolini Orsini, Colonna, Savelli, Caetani, Gonzaga; e poi Francesco di Savoia, un Ruspoli, un Malvezzi (autore di una nuova tecnica per incendiare le navi avversarie), un Serbelloni e molti altri si distinsero nell’aspro scontro, ma anche uomini comuni, mossi dal sentimento e dalla Religione.
La notizia della grande vittoria fece il giro dell’Orbe Cattolico, e dovunque fu salutata con celebrazioni religiose, letterarie ed artistiche. Si pensi all’immenso repertorio di poesie spagnole su questo tema, alle migliaia di composizioni nei vari dialetti italici ed alle centinaia in lingua italiana, prima fra tutte la “Gerusalemme Liberata” di Torquato Tasso, dove questi, prima di cantar “l’arme pietose e ’l capitano”, dedica il poema ad Alfonso d’Este augurandogli di poter esser lui il Goffredo dell’avvenire «s’egli avverrà ch’in pace/il buon popol di Cristo unqua si veda/e con navi e cavalli al fiero Trace/cerchi ritor la grande ingiusta preda». Si ricordino, inoltre, anche i numerosissimi dipinti dei vari Tintoretto, Veronese, Tiziano, Vasari che ritraggono la Battaglia ed il trionfo della Chiesa, e dunque di Cristo, sui Suoi nemici….
Molto, a riguardo delle celebrazioni ma, soprattutto, al sentimento religioso che animò la Battaglia e la Vittoria di Lepanto, si deve al grande Papa San Pio V, il quale già in uno dei suoi primi documenti da Pontefice, esortando alla riforma dei costumi del Clero, dichiarava che nella battaglia contro i Turchi poteva giovare solamente la preghiera di quei preti che sono di costumi puri.
Da ricordare è, poi, anche il fatto che un anno prima, nel 1570, il Papa aveva indetto un grande Giubileo “ad divinum auxilium implorandum contra infideles” e che, durante tutto il mese di Settembre del ’71 il Pontefice pregava e digiunava per il buon esito dell’impresa.
Speciali disposizioni, inoltre, erano state date dal Santo Padre per l’assistenza religiosa della Flotta Cristiana, garantendola con scelti Cappellani Domenicani, Francescani Minori, Cappuccini e Gesuiti; da lodare che la Compagnia di Gesù, per tutta l’estate aveva celebrato una S. Messa settimanale per la Crociata e, in modo particolare, i Gesuiti di Messina organizzarono così bene il lavoro pastorale che tutti gli equipaggi, prima di partire, si accostarono ai Sacramenti con sufficiente preparazione e con l’ottimo esempio “delli signori principali”.
Ciò è anche attestato dalle varie corrispondenze che ci sono giunte, da dove emerge il profondo fervore dei novelli Crociati, che aveva tutti i segni d’una autentica preparazione al Martirio. Su esplicita richiesta del Papa, fu assicurato su ogni nave il servizio religioso quotidiano con pratiche devozionali e confessioni, anche dopo la partenza da Messina.
I cappellani (ciò emerge dalla loro corrispondenza) assicurano che, nell’imminenza dello scontro, tutti gli equipaggi erano sereni e quasi allegri, fidenti in Dio e spesso desiderosi del rischio.
Una nota, a riguardo di come Pio V visse il giorno della Battaglia, è bene darla.
La tradizione tramanda che ebbe una rivelazione superna sull’esito dello scontro e che la notte durante la quale ricevette la notizia, si inginocchiò e pianse di gioia. Subito dopo, il Pontefice ordinò che si celebrasse una festa di ringraziamento in ogni giorno anniversario in onore di Nostra Signora della Vittoria ed inserì tra le Litaniæ Lauretanæ l’invocazione di “Maria Auxilum Christianorum”; il suo successore, il Santo Padre Gregorio XIII, ne fece la Festa della Beata Vergine del Rosario, che ricorre tuttora la prima Domenica di Ottobre, poiché la Tradizione tramanda che, mentre si svolgeva la Battaglia, l’intero Orbe Cattolico, seguendo l’esempio del Papa, era intento a recitare il Santo Rosario per chiedere la Vittoria.
Riguardo alla Penisola Iberica, inoltre, va ricordato che imbarcato in una galea cristiana, si trovava anche uno spadaccino spagnolo, fatto schiavo dai Turchi, un gentiluomo il cui nome sarebbe stato ricordato molto forse anche più a lungo dei nomi di quei tanti nobili personaggi che parteciparono all’epico scontro. Quest’uomo si chiamava Miguel Cervantes, grande scrittore e autore del Don Chisciotte. Il suo illustre genio letterario ebbe a definire la Battaglia di Lepanto come "Il più grande evento che videro i secoli".
Molti – purtroppo – si vergognano della data che abbiamo ricordato (e non solo di questa!) e si mascherano dietro il dito di quello che si può definire un “pacifondismo” estremo…i Cattolici, invece, non dovrebbero vergognarsene e dovrebbero essere fieri di appartenere a quella Chiesa per la cui salvaguardia San Pio V lavorò intensamente, una Chiesa incarnata e storica, e non disincarnata e atemporale, puramente carismatica e spirituale, così come la si vorrebbe far diventare adesso. Numerosi esponenti – anche nei gradini alti! – di questa Chiesa “moderna”, provano vergogna nei confronti della Chiesa “antica” che, se si potrebbe presentare “sporca” è solo perché ha duramente lavorato, impegnandosi a salvare il salvabile di una società e di una civiltà in crisi.
Qualcuno potrebbe magari tacciare di “trionfalismo” questo scritto, ma ciò che è stato espresso non ha fatto altro che riportare la storia che fu e che, forse, si potrebbe disgraziatamente ripetere se non si guarda attentamente e non ci si difenderà dalle sciagure, dai nemici del nostro presenti nel nostro tempo: il ritorno dell’invasione islamica, l’annullamento della Tradizione, il dilagare dell’ateismo e del laicismo, l’affermazione tra i giovani dei disvalori della new age e quanto di orrendo e spaventoso presenta il mondo moderno.
Oggi, a 440 anni di distanza, è giusto ricordare il passato, ben consapevoli degli orrori che ogni guerra produce, ma, allo stesso tempo, orgogliosi di essere Cattolici e figli di quella Chiesa da sempre protagonista di una Storia costellata di bellissime vittorie, spirituali e materiali. .Fabio Adernò
Anche se sono fuori argomento (ma non so fino a che punto), ho appreso in questo momento dal Tg3 che in Egitto c'è stata una strage di cristiani Copti "colpevoli" perchè protestavano per l'incendio e la distruzione di una Chiesa........
RispondiEliminaNoi in occidente ci facciamo in 4 per costruire moschee, in Francia, a Milano,
Noi li invitiamo ad Assisi per il "dialogo interreligioso"
Loro ci massacrano senza pietà.......
Ognuno tragga le conclusioni che crede...... penso che sia l'ora di svegliarsi........ La Santa Sede faccia qualche azione di protesta ufficiale per ricordare il sangue innocente di questi nostri fratelli nella fede, si facciano delle preghiere pubbliche a Roma in San pietro per pregare per i cristiani che in tutto il mondo vengono uccisi per la fede, non si può continuare a far finta di niente. La religione islamica che permette ai suoi membri ingiustizie e crudeltà di questo genere si mostra per quello che è.......
don Bernardo
Ma no, don Bernardo, non cada anche lei nelle trappole del potere israeloamericano, con il suo controllo dei mezzi di informazione. Gli islamici sono soltanto dei bravi ragazzi, innocui, anzi nostri amici. E poi i copti sono eretici e scismatici.
RispondiEliminaE pensare che fra i tradizionalisti c'è anche ci pensa sul serio queste minchiate! Questi traditori saranno tra i primi a cadere sotto i colpi dei maomettani. I traditori non piacciono a nessuno, nemmeno al nemico più rozzo.
Penso che se non interviene di persona il Buon Dio, qui non ci sia speranza di risveglio, coma vegetativo da 45 anni, ma noi speriamo sempre che non sia irreversibile........speriamo che non ammettano l'eutanasia, altrimenti è la fine, così conciati, ci eliminano facilmente.
RispondiEliminaMa grazie al cielo, noi ci arrabattiamo, ma il lavoro vero lo fa il Buon Dio, che può anche l'impossibile.
Comunque se fossi in chi vuole Assisi 3, non avrei pace, per l'ingiustizia con cui si lasciano soli i cattolici, per rincorrere una pace fittizia.
Più che tra i tradizionalisti direi tra i modernisti che vanno a braccetto con i comunisti. Nulla di buono né sul fronte israeliano, né su qullo mussulmano, altrochè fratelli maggiori e minori.
RispondiEliminaRingrazio vivamente per aver ripreso questo mio scritto... il testo originale è a disposizione della Redazione se volesse pubblicarlo interamente.
RispondiEliminaLo spirito di Lepanto (ché, è bene riaffermarlo, la Battaglia di Lepanto è stata e rimane una categoria dello spirito della militanza cristiana) animi sempre i cattolici nella battaglia contro il Male, qualsiasi forma esso abbia e qualsiasi vessillo sventoli: già il Ven.le Pio XII affermava fossero conclusi i giorni della pusillanimità. "O con Dio o contro Dio!"
Con stima e gratitudine,
Fabio Adernò
Gentile Signor Fabio Adernò, la ringrazio di cuore. Sarò contento certamente col suo testo originale. Appena possibile lo passo nel blog Maria Giglio della Trinità. Ecco la email: pgerardomaria@libero.it iAve Maria!
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