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venerdì 27 maggio 2011

L'abuna Messias


Cristina Siccardi ha da poco pubblicato per i tipi delle Paolone un saggio dedicato ad una figura luminosa di missionario ed esploratore ottocentesco: il grande cardinale Massaia, il famoso abuna Messias che è stato immortalato in un bel film di Alessandrini del 1939 (coppa Mussolini al Festival di Venezia di quell'anno, per l'implicita esaltazione dell'avventura coloniale in Africa Orientale). Ecco un brano dalla presentazione del libro:

Vocazione precoce, preghiera assidua, Santo Sacrificio come centro della sua vita, il Crocifisso come pilastro, Guglielmo Massaja, frate, missionario, Vescovo, Cardinale, ha lottano fino all’estremo per riuscire a fondare e a consolidare la missione fra la popolazione etiope degli Oromo. Si potrebbe paradossalmente definirlo “martire vivo” questo Homo Dei che non ha fatto nient’altro che eseguire alla lettera gli insegnamenti di Gesù Cristo: «Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato. E questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno i demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano i serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno, imporranno le mani ai malati e questi guariranno» . Diciotto volte in punto di morte, eppure la morte lo risparmiò e rimase in vita, là, in Etiopia, sotto le asprezze di un territorio insidioso, sia per la natura in sé, sia per le persecuzioni contro di lui scatenate dalle autorità religiose copte e da quelle civili. Avrebbe desiderato perire da martire, versare il sangue per Cristo, ma si riteneva indegno di coronare la sua esistenza con la palma del martirio… Visse sempre in estrema umiltà e povertà: il suo saio, nei trentacinque anni di missione, lo confezionava con le proprie mani e non era di panno, bensì di ruvida tela. I suoi modelli erano san Paolo e san Francesco, suoi insegnanti sant’Agostino e san Tommaso e li incarnò tutti e quattro, portando in Africa, in condizioni a volte disperate, la luce del Vangelo. Sacerdote prima di tutto, ma le sue mani, oltre a trasformare il pane e il vino in Corpo e Sangue di Nostro Signore Gesù, erano in grado di diventare anche le mani di un medico, di un farmacista, di un sarto, di un calzolaio, di un falegname… Pioniere missionario, attraverso la sua solida Fede, la sua indefettibile dottrina, le virtù praticate giorno dopo giorno e la Grazia che gli era infusa, ha saputo risolvere situazioni umanamente impossibili ed è per queste ragioni che oggi il nome di Guglielmo Massaja, Servo di Dio, attende di essere inserito fra i santi della Chiesa . «Nessun viaggiatore ed esploratore, nessun missionario  in sette secoli lo ha sorpassato nell’ardimento e nelle difficoltà delle sue peregrinazioni attraverso l’Africa orientale. […] propriamente egli è l’apostolo dell’Etiopia, perché nessuna regione di quella nazione è sfuggita al suo sguardo d’aquila e al suo cuore di apostolo» .
Maestro di religione, di astronomia, di botanica, di zoologia, insegnava ai suoi figli africani l’artigianato che si era industriato ad imparare; infatti considerava l’istruzione ottima strada per guidare le anime alla Fede ed essa stessa favoriva l’istruzione in una sorta di circolo virtuoso, così come è sempre accaduto nella civiltà cristiana, che nel portare la Buona Novella ha garantito la promozione umana.
Attento alle dinamiche della storia, della quale aveva una lettura provvidenziale, guardava con estrema preoccupazione agli europei, imbevuti di positivismo, razionalismo e demagogia, al dilagare delle idee del liberalismo che si stavano impossessando degli Stati e della cultura, agli assalti dell’indifferentismo e dell’ateismo, prodotti da quella che considerava un’equazione: Protestantesimo-razionalismo-ateismo-massoneria. L’ateismo, diceva, era una realtà inconcepibile fra gli indigeni delle tribù etiopi, infatti ai «miei africani» pareva impossibile che esistesse al mondo gente che non credesse in Dio. Sosteneva che l’opera apostolica è opera di secoli, non di un giorno, né di un anno, né di un solo uomo e la pazienza, la costanza e la fedeltà, che ricordano quelle della provata figura biblica di Giobbe  (che significa «perseguitato», «sopporta le avversità»), erano sue compagne quotidiane.

7 commenti:

  1. Cardinale cappuccino con abito prelatizio marrone scuro, mozzetta e senza rocchetto che i regolari non portavano ancora (siamo prima delle concessioni di Benedetto XV). I Vescovi regolari portavano la mozzetta senza rocchetto ovunque, aggiungendo o no la mantelletta secondo le norme. Con la concessione del rocchetto fatta da BXV cominciarono in pratica a seguire le norme comuni a tutti, e quindi persero l'uso universale della mozzetta

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  2. ecco perchè la liturgia di sempre ha difficoltà aggiuntive: stiama ancora ad occuparci di paramenti in regola quando siamo sulle soglie del martirio per diffendere la fede che ci è stat trasmessa.

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  3. Ecco da chi ha preso il zanotellone :-D

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  4. Redazione di Messainlatino.it27 maggio 2011 alle ore 14:00

    In effetti ci sono cose più importanti. E il cuore dell'articolo è un altro. Ma sono comunque nozioni non prive d'interesse.

    FZ

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  5. quindi lei ospite si occupa solo di martirio e cose eroiche? beh complimenti, mi scusi se io a volte parlo dell'abito prelatizio. Non sono perfetto come lei

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  6. Leggo bene: "... per i tipi delle Paolone..." :-P ?!?!
    é un refuso o è volontario?

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  7. Io avevo commentato sulle Paolone
    ma sono stato censurato dalla Redazione
    C'è una gran confusione
    Intervenga Bertone!

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