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domenica 6 marzo 2011

Un nuovo saggio di mons. Gherardini


Tradizione, un termine che ingenera sicurezza, fiducia, tranquillità, a prescindere dall’oggetto a cui fa riferimento. La fisionomia di tale vocabolo, di per sé, è rasserenante e acquieta gli animi, origina, a prescindere da tutto, un effetto balsamico. Non è un caso che molte pubblicità attuali, soprattutto quando si tratta di presentare prodotti legati alla terra, li correlino alla tradizione, offrendo così la possibilità al fruitore di ottenere dati informativi rassicuranti perché fondati su qualcosa di certo, di un presente garantito dal passato, quindi provato, sperimentato, vissuto in precedenza e che se ha “tenuto” nel tempo è perché è valido. Insomma, tradizione è un termine che riconduce all’appartenenza e ad un preciso sigillo di garanzia, per tutti. Ebbene, trasportiamo questo termine alla Chiesa e scopriremo che essa è fondata proprio sulla Tradizione, che è il suo sigillo di Verità. Anzi, la Chiesa è la Tradizione, lemma che per tanti anni è fuoriuscito dal vocabolario postconciliare: è stato estromesso dai teologi del XX secolo, quasi non avesse più diritto di asilo, perché riconducente ad una Chiesa considerata ormai lontana anni luce da un mondo maggiorenne, sapiente e progredito. Eppure, afferma il grande teologo di Santa Romana Chiesa Monsignor Brunero Gherardini: «Se vuoi conoscere la Chiesa, non ignorare la Tradizione. Se ignori la Tradizione, non parlar mai della Chiesa».

Quaecumque dixero vobis. Parola di Dio e Tradizione a confronto con la storia e la teologia (Lindau, € 18,00) di Monsignor Gherardini, vero compendio sulla Tradizione, è gradevolissimo nella sua fluidità e trasparenza, la cui esposizione (come sempre accade per i suoi saggi) intreccia pensiero teologico e filosofico con espressioni linguistiche di limpida purezza fiorentina. Testo gherardiniano anche da un punto di vista spirituale: la teologia non è mai disgiunta dall’anelito mistico dell’autore, dove l’armonia soprannaturale si respira in ogni sua pagina.
Apprezzabile anche da chi non è addetto ai lavori, Quaecumque dixero vobis è un prezioso sussidio per chi desidera comprendere il valore della Tradizione nella Chiesa, dal suo sorgere fino alla fine dei tempi, quando la Chiesa militante avrà terminato il suo sacro compito di custodire la Verità e i misteri della Salvezza ad essa connessi.
Le tradizioni, in termini generici, esprimono «una molteplicità di dati, fatti, notizie, memorie, consuetudini, sentenze, credenze, costumi che vengon trasmessi da una generazione alle altre, come valori di riferimento, insegnamenti, esempi, precetti da tener in evidenza e di cui far tesoro» (p. 33). La Tradizione della Chiesa cattolica la si coglie, invece, all’interno della Fede e se ne parla alla luce di essa: «In lumine fidei». La Tradizione iniziò quando Gesù, il Rivelatore, espresse oralmente la Rivelazione. La Tradizione orale proseguì per alcuni anni fino a quando ci fu un momento nel quale, dopo l’ascensione del Signore Risorto in Cielo, e prima che morisse l’ultimo Apostolo, parte di essa si «travasò» in quella scritta, vale a dire nel Nuovo Testamento. Da allora la Rivelazione, cioè la Tradizione, conobbe il duplice canale, orale e scritto. «Vi sono ancora molte altre cose compiute da Gesù, che, se fossero scritte una per una, penso che il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere» (Gv 21,25).
Nel IV secolo si formulò il Canone dei Libri Sacri, dove furono scartati certi testi (imbevuti di miracolismo, i cosiddetti «Vangeli apocrifi»), mentre trovarono “l’imprimatur” della Chiesa i testi che avrebbero costituito la «Regula fidei» (la regola della Fede): «il canone diventa così la testimonianza storico-teologica dell’autorità e responsabilità esclusiva della Chiesa, alla quale la Tradizione venne da Cristo stesso e dagli apostoli trasmessa perché la custodisse spiegasse predicasse e ritrasmettesse fin alla fine della storia, integralmente e fedelmente» (p. 37).
L’etimologia della parola Tradizione ha le sue origini nel greco пαραδίδομι/пαραδίδόναι (trasmetto-trasmettere) ed ebbe inizio quando Cristo consegnò la trasmissione orale della Rivelazione ai Suoi Apostoli  con il preciso mandato di portare la Buona Novella a tutte le genti.

Papa Benedetto XVI, dopo anni di lunga e terribile assenza, ha rimesso sul tavolo la questione della Tradizione, come afferma lo stesso Monsignor Brunero Gherardini: «… nessun Papa ha mai parlato tanto frequentemente e tanto insistentemente di Tradizione quanto il teologo, il vescovo, il cardinale, il papa Joseph Ratzinger. Le sue prese di posizione contro ogni spinta in avanti perché priva di radicamento nel passato della Chiesa […] si qualificano come una significativa riproposta della Tradizione, in un’epoca bruciata dall’ansia del nuovo» (p. 20).
L’unica Verità, trasmessa da Gesù ai Suoi e i Suoi ai membri della Chiesa, in nome e «in persona Christi», l’hanno detta ieri e la ripropongono oggi, ogni giorno, fedelmente, integralmente, senza innovazioni nel suo contenuto. Nel corso dei secoli la Tradizione, orale e scritta, cioè la trasmissione della Verità, non è mai stata mutata nella Chiesa, perché mutarla sarebbe corromperla (ecco le eresie), ma è stata approfondita e precisata. Fedele ad Essa è chi non ne ha deturpato la sostanza: ecco perché il compito dei teologi e degli esegeti è delicatissimo e di immensa responsabilità. «I criteri puramente scientifici non bastano; la Fede li trascende metafisicamente, non può pertanto dipenderne. E i criteri della Fede, che inverano anche quelli scientifici, vale a dire i principi ermeneutici dettati dalla Chiesa nel rispetto e a salvaguardia della Fede, son magistero ecclesiastico: sono, cioè, quella Tradizione che, dall’inizio in poi, solca l’empireo della Rivelazione consegnata alla storia» (p.41).
La Tradizione viene esaminata da Gherardini nella Sacra Scrittura, nei Padri della Chiesa, nell’elaborazione teologica, nel Magistero conciliare (in particolare Tridentino, Vaticano I e Vaticano II) e, infine, l’ultimo capitolo è dedicato alla Teologia della Sacra Tradizione.
Scrittura Divina e Tradizione, vagliate dalla Chiesa, costituiscono il suo tesoro a cui tutti possono attingere in quanto la Chiesa è cattolica, cioè universale. La Rivelazione è, in quanto tale, anche Tradizione, per essere stata dal Rivelatore trasmessa alla Chiesa.
San Paolo (5/10 – 64/67) parla di Tradizione e quando ne scrive lo fa con autorità, lo fa con potenza: «Vi rendo noto, fratelli, il vangelo che vi ho annunziato e che voi avete ricevuto, nel quale restate saldi, e dal quale anche ricevete la salvezza, se lo mantenete in quella forma in cui ve l'ho annunziato. Altrimenti, avreste creduto invano!
Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch'io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici. In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto. Io infatti sono l'infimo degli apostoli, e non sono degno neppure di essere chiamato apostolo, perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. Per grazia di Dio però sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana; anzi ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è con me. Pertanto, sia io che loro, così predichiamo e così avete creduto» (1Cor 15,1-11).
Paolo di Tarso, che perseguitava la Chiesa di Cristo, che aveva contribuito a lapidare il protomartire Stefano (?-36), viene rapito e conquistato alla Fede e ne diventa il paladino, trasmettendo quel che ha ricevuto per rapire altri alla Verità, indicando loro la strada della Salvezza eterna. Monsignor Gherardini sottolinea: «L’accenno all’apparizione sulla via di Damasco spiega, penso, la ragione del sentirsi un abortivo: i Dodici, infatti, han potuto nascere a Cristo e crescere nella Fede cristiana alla scuola continuata di Lui; di fronte a loro, Paolo sa d’esse un immaturo, sì, un aborto, ma anche “afferrato” da Cristo (Fil 3,12), suo “prigioniero” (Ef 3,1;4,1) e da Lui costituito ponte e tramite della grazia che salva: riceve e ritrasmette, perché viva la Chiesa» (pp. 67-68).
San Paolo è fuoco, ma è anche tenerezza. Come non ricordare le parole che scrive nell’epistola a Timoteo, dove è presente la Fede entrata, grazie alla Tradizione, nella casa di colui sul quale ha imposto le mani? «Rendo grazie a Dio che io servo, come i miei antenati, con coscienza pura, ricordandomi di te nelle mie preghiere sempre, notte e giorno. Mi tornano alla mente le tue lacrime e sento la nostalgia di rivederti per essere pieno di gioia. Mi ricordo infatti della tua schietta fede, che ebbero anche tua nonna Lòide e tua madre Eunìce, e che ora, ne sono certo, è anche in te.
Per questo motivo ti ricordo di ravvivare il dono di Dio, che è in te mediante l’imposizione delle mie mani. Dio infatti non ci ha dato uno spirito di timidezza, ma di forza, di carità e di prudenza. Non vergognarti dunque di dare testimonianza al Signore nostro, né di me, che sono in carcere per lui; ma, con la forza di Dio, soffri con me per il Vangelo» (2Tm 1,1-8).
Sfilano davanti a noi i Padri e Dottori della Chiesa: Clemente Romano (?-97), Ignazio d’Antiochia (?-107/110), Ireneo da Lione (130–202), Tertulliano (155 ca.–230 ca.), Clemente Alessandrino (150 ca.–215 ca.), Cipriano (210–258), Atanasio (295 ca.-373), Cirillo Alessandrino (370–444), Basilio (330–379), Gregorio Nazianzeno (329–390 ca.), Giovanni Crisostomo (344/354–407), Leone Magno (390 ca.–461), Gregorio Magno (540 ca.– 604), Ilario di Poitiers (315 ca.–367), Ambrogio da Milano (339/340–397) … ed ecco il grande Agostino di Ippona (354–430) che comprese in maniera netta la funzione ineludibile della Tradizione nella prassi e per la Fede della Chiesa.
Per il Vescovo convertito la Tradizione apostolica è fonte della Fede. È suo fermo convincimento che «si è nella Fede vera (rectissime creditur)» solo se si professa «ciò che la Chiesa universale ha sempre professato e che non proviene da un Concilio, bensì dalla Tradizione degli apostoli» (De baptismo contra Donatum). Se ne deduce che la vera Fede è quella legata alla Tradizione, poiché invano si cercherebbero alcune verità nella Sacra Scrittura. Afferma sant’Agostino: «Ci son sacramenti che custodiamo non perché scritti, ma perché tramandati» (Ep 54,1,1). Egli arriva dire: «Ego vero Evangelio non crederem, nisi me catholicae Ecclesiae commoveret auctoritas» («Nemmeno all’evangelo crederei, se  non mi fosse proposto dall’autorità della Chiesa»). C’è poi quella definizione agostiniana di Tradizione, «la verità è sempre ciò che, con vera Fede cattolica, fin dall’antichità vien predicato e creduto dalla Chiesa intera» (Contra Julianum VI,5,11), che si ricollega, ante litteram, a quello che affermerà, più tardi, san Vincenzo di Lérins (?–450 ca.): «è veramente e propriamente cattolico ciò che fu creduto in ogni luogo, sempre, da tutti» (Commonitorium II), pertanto è Tradizione ciò che si presenta come universale consenso, sin dagli albori della Fede, che non deve essere mai manomesso perché è oro e come oro deve essere mantenuto. Dichiara san Vincenzo, il monaco che visse nel monastero della solitudine e del silenzio di Lérins (la piccola isola di fronte a Cannes che i religiosi, da selvatica e invivibile qual era, trasformarono in un angolo paradisiaco, violato quando, nel 732, i Saraceni trucidarono 500 monaci): «Oro hai ricevuto; oro devi restituire […] non piombo, non bronzo al posto del prezioso metallo» (Commonitorium II) e questa la definizione di Gherardini di Tradizione: «La Tradizione è la trasmissione ufficiale, da parte della Chiesa e dei suoi organi a ciò divinamente istituiti, e dallo Spirito Santo infallibilmente assistiti, della divina Rivelazione in dimensione spazio-temporale» (p. 170).
Se, però, le Sacre Scritture sono caratterizzate dalla fissità, cioè dalla invariabilità del contenuto, non così la Chiesa e la Tradizione: se l’annuncio (kerygma) è sempre lo stesso, non così il modo ricomunicarlo, quindi, nel trasmettere l’oro, di generazione in generazione, non può trasformarlo in piombo o bronzo, ma deve mantenerlo tale donandogli lucentezza e iridescenza nuove.
Non così pare aver fatto il Concilio Vaticano II, il quale, pur citando, nei documenti, la Tradizione l’ha di fatto emarginata, ponendo in primo piano l’apertura al nuovo, alla volontà di fraternizzare con il mondo moderno, di pacificarsi con la sua cultura. «L’umanesimo laico profano alla fine è apparso nella terribile statura ed ha, in un certo senso, sfidato il Concilio. La religione del Dio che si è fatto Uomo s’è incontrata con la religione (perché tale è) dell’uomo che si fa Dio. Che cosa è avvenuto? uno scontro, una lotta, un anatema? poteva essere; ma non è avvenuto. L’antica storia del Samaritano è stata il paradigma della spiritualità del Concilio. Una simpatia immensa lo ha tutto pervaso. La scoperta dei bisogni umani (e tanto maggiori sono, quanto più grande si fa il figlio della terra) ha assorbito l’attenzione del nostro Sinodo. Dategli merito di questo almeno, voi umanisti moderni, rinunciatari alla trascendenza delle cose supreme, e riconoscerete il nostro nuovo umanesimo: anche noi, noi più di tutti, siamo i cultori dell’uomo» (Paolo VI, Discorso di chiusura del Concilio Vaticano II, 7 dicembre 1965). È evidente che questo non è esattamente in linea con la Tradizione cattolica che ha sempre parlato di irriducibile ostilità tra Dio e il mondo, di cui, non per nulla, è principe Satana.
«Ma, attesa la natura del Concilio e la natura diversificata dei suoi Documenti, penso si possa sostenere che se da una ermeneutica teologica cattolica emergesse che taluni passi, o taluni passaggi e affermazioni del Concilio, non dicono soltanto "nove" ma anche "nova", rispetto alla perenne Tradizione della Chiesa, non si sarebbe più di fronte ad uno sviluppo omogeneo del Magistero: lì si avrebbe un insegnamento non irreformabile, certamente non infallibile» (Prefazione di Mons. M. Oliveri, Vescovo di Albenga-Imperia, al libro di Mons. B. Gherardini, Concilio Vaticano II. Un discorso da fare, Casa Mariana Editrice, Frigento – AV -  2009).
«Va comunque apertamente e onestamente riconosciuto», chiosa Monsignor Gherardini, «che, ciò nonostante, i Padri conciliari non spogliaron il Concilio della dovuta ispirazione soprannaturale; non s’accorsero, però, di comprometterla. E di comprometter pure, contraddicendo ad alcune loro dichiarazioni di principio, la continuità del Concilio con la Tradizione di sempre» (pp.178-179).
La Tradizione, tuttavia, tornerà dal suo “presunto” esilio, presunto perché essa, anche se scaraventata in un angolo come Cenerentola, tolta la fuliggine dal suo volto, brillerà come oro purissimo, perché Cristo disse agli Apostoli: «Queste cose vi ho detto quando ero ancora tra voi. Ma il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto» (Gv. 14,25-26), «Quaecumque dixero vobis».
Cristina Siccardi

2 commenti:

  1. In questo mare di orrore e di errore teologico dottrinale, Gherardini è un punto di riferimento senza pari! Grazie carissima Cristina per questa bella presentazione.

    ps1Ho tra le mani l'ultimo numero di Divinitas, consiglierei a don Alfredo Morselli di leggersi l'Editoriale... se vuole glielo posso inviare.

    ps1.2 Ottima la recensione che fa Gherardini dell'ultimo libro di Nitoglia, ma quando la spett.le Redazione posterà uno dei suoi articoli?

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  2. Per chi ha interesse, in attesa di approfondire su questo nuovo saggio, qualche notizia sul precedente

    A giorni, saprò dire qualcosa di più sull'ultima fatica di mons. Gherardini

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