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lunedì 6 dicembre 2010

La predica, occasione sprecata

Nella nuova Messa l'omelia (è abolito il termine predica, sa di 'preconciliare') è diventata di fatto l'elemento centrale della celebrazione. Il prete sarà pur sceso dal pulpito (e ancora non ci hanno spiegato il perché: perfino i protestanti non si vergognano d'usarlo), ma ha allungato il suo bel sermone fino alle media attuale di venti minuti. E se col vecchio rito esso era spesso opzionale (bei tempi...), ormai è diventato, a norma di rubriche, elemento essenziale e indispensabile. Se a ciò aggiungiamo che il messale montiniano prevede altre due 'monizioni' (ossia predicozzi: all'inizio e dopo la comunione) e consideriamo pure gli avvisi, ecco che metà della Messa è persa a farsi intortare dal celebrante. Sì, intortare, poiché ben raramente i concetti espressi toccano veramente l'animo dell'ascoltatore, in quanto l'ispirazione è normalmente attinta al più scìpito buonismo; e se anche qualcosa d'interessante vi fosse, rischia di restare annegato nell'assenza di sintesi, nella verbosità prolissa, nella ipnagogica durata dell'omelia. Sono, le nostre, le consuete geremiadi da tradizionalisti? No, perché queste stesse cose le riconoscono ormai tutti. Ecco appunto un articolo sul tema. 


Predicatori: non più di 8 minuti per raccontare la fede

di Gian Guido Vecchi

«Doh, avete voi mai veduto pescare a lenza?». «Sì». «Elli si piglia uno lombrico, e mettesi all’amo, e ’l pesce va per pigliare el lombrico, e rimane preso lui. Vedi che per avere il cibo rimane preso il pesce...». Il grande predicatore francescano Bernardino da Siena la sapeva lunga, mica per niente fu lui a diffondere fra il Trecento e il Quattrocento il cristogramma IHS (per il greco Iesous) che più tardi sarebbe diventato l'emblema dei gesuiti e nelle prediche, trovata geniale, mostrava raffigurato su tavolette di legno per fissare l’attenzione del pubblico sull’essenziale. Gesù, la parola. In principio era il Lógos e all’inizio c’è la dimensione orale, perché Cristo parlava («Del resto anche tra i pagani Pitagora e Socrate, che furono eminentissimi maestri, non vollero scrivere nulla», notava Tommaso d’Aquino nella Summa Theologiae) e solo qualche decennio più tardi la buona notizia venne fissata in scrittura. «Che significa il cibo?», chiedeva Bernardino. «Significa la parola; che per andare a pigliare la parola, rimane presa l’anima, imperò che il corpo ha il diletto di pigliare quel cibo della parola. E se arai il diletto, subito rimarrai preso...».

Parrebbe l’abc, eppure mai come in questi tempi il tema è stato meditato, ripreso, discusso. La Chiesa è impegnata, con Benedetto XVI, nella «nuova evangelizzazione» del «primo mondo» occidentale, e sente più che mai la necessità di tornare alla predicazione originaria, il senso dell’inizio. E le cose si stanno muovendo. Perché nella famosa società ormai secolarizzata, scristianizzata, indifferente eccetera, i sacerdoti capaci di catturare l’attenzione e le chiese colme di fedeli, sorpresa, ci sono eccome. E magari arrivano a prendersi un cinquantino come monsignor Raffaello Martinelli, da un anno il vescovo di Frascati, che per tener dietro agli impegni pastorali si è risolto, nel caso, a sfrecciare in motorino per le strade dei Castelli romani pur di tener fede, ad esempio, all’impegno di celebrare messa ogni domenica mattina come un parroco e, caso più unico
che raro, confessare i fedeli tutte le settimane, il giovedì pomeriggio, con tanto di avviso appeso nella cattedrale. «Ho iniziato a gennaio e le prime volte qualcuno mi diceva: scusi, eccellenza, ma lei non ha più niente da fare? E io: abbia pazienza, ma qual è il compito di un prete e di un vescovo se non celebrare bene la messa e stare nel confessionale? L’importante è farsi trovare e la gente viene, lo dico sempre ai miei parroci, e se anche non viene preghi, leggi, non sprechi certo il tuo tempo...».

Sarà anche per questo che tanta gente arriva ad ascoltare questo bergamasco di 62 anni il quale, prima della consacrazione episcopale, ne ha passati 23 alla Congregazione per la dottrina della fede guidata da Ratzinger. «L’essenziale, però, è non considerare l’omelia come un simposio nel quale esporre le proprie idee e teorie. Certo, io devo mettere la mia capacità di comunicazione, la preparazione e il metodo, ma il contenuto si deve focalizzare sui contenuti essenziali della fede».

Nella cattedrale, in più, ha fatto distribuire libretti che spiegano la messa, come ci si comporta — tipo quando stare in piedi e quando seduti — e riportano le preghiere fondamentali. Il primo annuncio, come all’inizio del cristianesimo? «Certo, bisogna attenersi alle letture, perché è questo che la gente vuole: ascoltare la parola del Signore, non la mia, essere di Gesù e non di Raffaello o di pinco pallino». Questione di misura, sorride il vescovo: «Non si celebra un convegno, ma la messa. Che va rispettata nella sua proporzione, senza eccedere con la predica o la liturgia della parola, perché la celebrazione eucaristica non può essere solo l’omelia, ma è fatta anche dei riti, la preghiera, il canto e pure il silenzio: la persona deve respirare, in certe messe si chiacchiera troppo».

Anche questo, o forse soprattutto questo, esige una solida preparazione. Sotto il pontificato di Benedetto XVI, non a caso un grande omileta, si è arrivati a riunire nell’ottobre 2008 un’assemblea generale del Sinodo dei vescovi dedicata alla «Parola di Dio» che ha suggerito la nascita di un «direttorio sull’omelia» — uno «strumento» appena rilanciato dallo stesso Papa «cosicché i predicatori possano trovare in esso un aiuto utile» — ed elencato una serie di indicazioni pratiche, a cominciare dalla definizione di un tema principale (guai a voler dire troppe cose) e dalla raccomandazione «di non superare gli otto minuti, tempo medio di concentrazione degli uditori», evitando così la fuga, lo strazio o il sonno dei fedeli. Sintesi, semplicità: tutti gli omileti lo ripetono. Mica per niente il verbo homilein, in greco, indica il parlare in modo familiare, uno stile piano. E del resto proprio a Gesù, dal Vangelo di Luca, si fa risalire l’omelia probabilmente più breve (ed efficace) della storia, nella sinagoga di Nazaret, dopo che ebbe letto un brano di Isaia («Lo Spirito del Signore è sopra di me...») e chiuso il rotolo: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato». Punto.

La lettura, l’ascolto, il riferimento all’oggi. Vale per le omelie come per le lectio bibliche. «Non è che io parli alla gente, è il testo che parla a me: e io dico ciò che il testo mi dice in quel momento». In una cascina di Villapizzone, alla periferia di Milano, di là dai gasometri e la linea ferroviaria, le «catechesi narrative» del padre gesuita Silvano Fausti attirano da anni un’infinità di persone. Qui si fa ogni settimana la lettura e il commento di Marco, come base. Gli altri vangeli, le lettere o gli Atti (come quest’anno) vengono letti nella chiesa dei gesuiti a San Fedele. Studi di filosofia e teologia, dottorato in fenomenologia del linguaggio a Münster, padre Fausti, 70 anni, è uno degli autori cristiani più ascoltati e letti. Per capire il tipo, bisognava vederlo una decina d’anni fa, quando un incendio devastò la cascina e la sua biblioteca prese fuoco — ottanta metri lineari di scaffali in fumo, decine di migliaia di volumi rari, testi in ebraico, commentari del Seicento, libri di esegesi e filosofia in svariate lingue. Agli amici che andavano da lui, costernati, sorrideva allargando le braccia: «Per fortuna li avevo letti».

Ecco, ci vuole cultura vera per andare oltre la mera erudizione. E saper parlare alle persone: «La gente non ascolta quello che dici, ascolta quello che senti. Per questo durante una lectio non sono mai io a leggere il Vangelo. Io ascolto, naturalmente dopo essermi preparato: gli studi non sono inutili, però il testo li supera tutti. È come diceva Dante, "quando Amor mi spira, noto, e a quel modo ch’è ditta dentro vo significando". L’efficacia della parola orale è lì, in questo sentire interiore. Tutto sta nel tempo che dedichi tu ad ascoltare, solo se ascolto e sento posso poi dire ciò che sento: San Paolo parlava di pleroforia, la pienezza di parola, tirar fuori il pieno e parlare con sincerità. Altrimenti puoi fare considerazioni vuote o dotte, o ripetere ciò che hanno pensato altri, e sarà tutto finto. Mentre la gente ha bisogno di cose vere come l’acqua e l’aria, le cose semplici che parlano a tutti perché tutti in fondo hanno la stessa esigenza di voler bene ed essere voluti bene,
l’essenza del messaggio evangelico». Vedi il modello più alto, nei Vangeli: «Nella sua predicazione Gesù usa immagini quotidiane, il cielo, la terra, il lavoro, la casa, la barca, la semina, legge in tutta la realtà che abbiamo davanti agli occhi la dimensione più profonda che evoca quello che sei tu».

È interessante notare come alcune considerazioni ritornino in predicatori diversissimi per formazione ed indole. Alla periferia est di Roma, nel seminario della Fraternità dei missionari di San Carlo Borromeo, da lui fondata nell’85, don Massimo Camisasca, 64 anni, sospira: «In generale, oggi, l’omelia è un’occasione perduta». E distingue tra la preparazione settimanale dell’omelia, «nessuno può pensare di improvvisare, prepararsi è un atto di rispetto verso Dio e verso la gente», e quella remota: «Molti preti non studiano più. Non leggono. La loro giornata è spesso così occupata in attività peraltro sacrosante da togliere loro ogni profondità: si può arrivare a dimenticare Cristo in nome delle cose che facciamo per Cristo». Storico di Cl e biografo di don Luigi Giussani — era uno degli studenti del «Gius», al liceo Berchet di Milano —, don Camisasca ha pubblicato quest’anno un saggio sul sacerdozio, Padre, che segnalava i pericoli dell’attivismo
richiamando il valore del silenzio, della riflessione, dello studio. E della spiritualità: «Mi viene in mente ciò che disse il cardinale Ratzinger in Guardare Cristo: "La parola di Dio arriva a noi mediante uomini che l’hanno udita e attinta; mediante uomini per i quali Dio è diventato un’esperienza concreta e che, per così dire, lo conoscono di prima mano". Nella predicazione deve emergere ciò che vive colui che sta parlando, deve avere il sapore di un racconto esistenziale, non di una novella: parole che si nutrano di lettura, di meditazione e studio dei testi biblici». E, già che ci siamo, attingano «agli scritti dei Padri e dei santi, oltre ai classici: Omero, Virgilio, Dante, Shakespeare, Dostoevskij...». In ogni caso, la Chiesa non può che privilegiare la comunicazione orale, «non a caso prediletta già da Platone», anche perché «è lo strumento che le permette di
raggiungere il maggior numero di persone». Basta considerare l’esempio di Benedetto XVI, «la sua omiletica è forse l’aspetto centrale del pontificato e lo pone, a mio parere, sullo stesso piano di Leone Magno o Gregorio Magno».

A proposito di papi, Raniero Cantalamessa, 75 anni, frate cappuccino, studi di teologia e lettere classiche, è da trent’anni il predicatore della Casa pontificia, ovvero è l’uomo che si trova nella non facilissima condizione di dover fare le prediche a Benedetto XVI come già a Giovanni Paolo II. Da evitare assolutamente, padre? «Usare le parole di Dio come pietre da scagliare addosso alla gente!». Cantalamessa sorride: «Bisogna amare le persone a cui si annuncia la buona novella, altrimenti è meglio tacere. Ricordarsi di quello che diceva Sant’Agostino: "Per voi sono vescovo, con voi sono cristiano". E sentirsi solidale con gli ascoltatori, usare il meno possibile il pronome "voi" e il più possibile il pronome "noi", soprattutto quando si sta parlando di vizi e di peccati. Io ripeto spesso a me stesso le parole di un santo monaco russo, San Serafino di Sarov: "Predicare è facile: è come scagliare pietre dall’alto di un campanile. È il praticare che è difficile: è come portare a spalla quelle stesse pietre da terra fino in cima al campanile"». Lo dice anche lui, che pure ha pubblicato innumerevoli libri: la parola detta è insostituibile. «Se, come scrive Kierkegaard, "la predicazione cristiana non è comunicazione di dottrina, ma di esistenza", si capisce il perché della superiorità della viva voce, rispetto al tramite scritto. Il vero predicatore, come del resto ogni vero oratore, non parla solo con la bocca, ma anche con gli occhi e con tutto il corpo. E mentre la comunicazione scritta si rivolge di preferenza alla mente, quella orale tocca il cuore». Ai giovani sacerdoti direbbe: «Volete annunciare Gesù Cristo? Innamoratevi di Gesù Cristo! Non si parla con ardore e convinzione se non di ciò di cui si è innamorati». E chi ascolta lo sente: «La gente, e non solo i credenti, sa riconoscere e apprezzare una predicazione che sia onesta, umile, fondata sulla parola di Dio e vicina ai problemi reali della vita. Quando una persona è alle prese con un problema esistenziale serio, come le crisi nei rapporti o i lutti familiari, si rende conto che il Vangelo è l’unica parola a misura del suo problema e della sua sofferenza».

Del resto Benedetto XVI è tornato di recente sull’argomento. Nell’ «esortazione» Verbum Domini, pubblicata l’11 novembre, ha tirato le somme del sinodo sulla parola: «Si devono evitare omelie generiche ed astratte, che occultino la semplicità della parola di Dio, come pure inutili divagazioni che rischiano di attirare l’attenzione sul predicatore piuttosto che al cuore del messaggio evangelico». Confidenza con il testo sacro, preparazione. E umiltà: «Deve risultare chiaro ai fedeli che ciò che sta a cuore al predicatore è mostrare Cristo».

Il giusto equilibrio di eloquenza e sapienza
di Agostino di Ippona

“Coloro che si accinsero ad insegnare la retorica riconobbero che, se la sapienza senza l’eloquenza giova poco alle comunità cittadine, l’eloquenza senza la sapienza il più delle volte nuoce moltissimo, certo non giova mai. Se a dire cose come queste furono costretti coloro che impartirono leggi di eloquenza e composero libri in cui ne fecero l’esposizione pur senza conoscere la vera sapienza che è quella celeste, che procede dal Padre della luce, quanto più non dovremo avere gli stessi sentimenti noi che siamo figli e ministri di questa sapienza? In effetti l’uomo parla più o meno sapientemente a seconda del progresso più o meno grande che ha fatto nella conoscenza delle sante Scritture. Non dico del fatto di averle molto lette o imparate a memoria ma dell’averle ben comprese e averne scrutato il senso. Ci sono infatti coloro che le leggono ma poi le trascurano: le leggono per conoscerle, le trascurano non volendole comprendere. A costoro sono senza dubbio da preferirsi coloro che ritengono meno le parole lette e penetrano con gli occhi del loro cuore nel cuore delle Scritture.” (da «De Doctrina Christiana»)

Fonte: Corriere della Sera 5.12.2010, via Finesettimana

20 commenti:

  1. ...infatti quanto sono belle le omelie di don Konrad??

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  2. 20 minuti??? Caspita, si contiene il Suo parroco! ;-) A parte gli scherzi, ci lamentiamo dei sacerdoti ma dove sono oggi gli oratori solo di un cinquantennio fa? Ormai neanche i politici sono capaci di parlare a braccio, è tutto dire... E però mi sento di invitarvi a sfogliare qualche vecchia raccolta di prediche, di quelle che i preti d'altri tempi davano alle stampe prima della vecchiaia, per leggere qualche pomposo sermone che poco ha a che vedere con la schiettezza di San Bernardino, e tantomeno con la vivacità di certe battute di Pio IX o di Giovanni XXIII, che anche quando mettevano per iscritto mantenevano, soprattutto il primo, una vivacità incredibile e sincera. E' un dato di fatto ad esempio che la moda per il "predicone" è tutta tridentina (ho degli opuscoli del '600 che fanno rabbrividire!), ed anche il contenuto era tutt'altro che accessibile, strapiene com'erano di citazioni erudite; anche se si deve ammettere che sapevano dosare meglio le parole a secondo dell'uditorio.

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  3. Grazie a Dio il mio parroco (o meglio ex visto che è diventato vescovo) ha sempre portato avanti omelie mai sterili, vuote, noiose. Ha saputo trasmetterci spesso il significato di tanti passi difficili della Parola di Dio con una semplicità disarmante. Mi ha arricchita enormemente, con semplicità. Da questo punto di vista l'omelia la ritengo una grazia, soprattutto per chi non ha il tempo o la capacità di leggere o documentarsi sulla Parola di Dio.

    Ovviamente tutto dipende da chi ci troviamo davanti ... se sono preti altamente politicizzati, che scambiano la vocazione cristiana a semplice attivismo sociale, le cose cambiano.

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  4. Il card. Siri predicava per circa sei-sette minuti e quando terminava rimanevi con un senso di vuoto, avresti voluto che continuasse, i concetti che esprimeva erano talmente pregnanti che ti si scolpivano nel cuore  ,eloquio chiaro,  coinciso,  coinvolgente senza foglieti sotto il naso da leggere come compito fatto a casa. Che dono di DIO!!! Oggi leggono , straparlano e quando esci non Ti rimane niente, anzi a volte, molte volte interiormente proponi di cambiare chiesa, poi non lo fai e la sofferenza che provi la offri per le anime purganti...

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  5. Confesso che non guardo mai l'orologio quanto piuttosto, ascoltando, percepire se l'argomento mi sta dicendo qualcosa o meno....
    Una bella predica non mi annoierebbe affatto..... per esempio, Padre Tyn, oggi lo ascolto nelle sue conferenze, registrate, che durano anche 40 minuti, ma con gradevolissimo interesse....e quando termina la registrazione, sono appagata, e il tempo mi appare anche sempre poco....

    Ciò che oggi manca è LA QUALITA'....
    l'ho imparato io stessa come genitore....
    la famosa ramanzina, o romanzina o tirata d'orecchie nel crescere i figli.... poche parole ma incisive, taglienti dove era necessario, un si era un si, un no era un no senza troppe scuse.... ;)  e quanta sofferenza nel dire certi "NO", ma tuttavia necessari!

    Alle Messe si odono spesso prediche infarcite di PERSONALI OPINIONI, non raramente il sacerdote dice: "io credo che, io penso che, ma se voi lo ritenete, ecc...." manca LA CERTEZZA DI QUEL CHE SI VORREBBE PREDICARE....
    è come se l'unica certezza autentica fosse oggi racchiusa esclusivamente nell'opinione di chi, ascoltando, deciderà se ciò che ha udito è verità o meno!

    Durante la preparazione catechetica, un giorno, il sacerdote alla riunione ci disse: "mi raccomando, fate capire ai bambini che questa è l'interpretazione che la Chiesa da sul brano di Isaia 53, MA POTREBBE AVERE ANCHE UN SENSO DIVERSO...." =-O
    Gli chiesi: "in che senso?", mi rispose: " è meglio MANTENERSI SEMPRE SUL VAGO, non dobbiamo imporre un unica interpretazione della Scrittura...."
    naturalmente alla predica della Domenica, dato che era materiale delle letture del giorno, predicò appunto questo "mantenersi sul vago" anche a tutti i fedeli....

    In fondo è così.... le omelie di oggi fanno rimanere i fedeli e la stessa Scrittura NEL VAGO....una sorta di "isola felice" nella quale ogni auditore potrà infarcirla di personali opinioni.....sono scomparsi I MONITI, I CASTIGHI, LA PENITENZA, LA SOFFERENZA.....LA CONVERSIONE...le omelie di oggi perseguitano la "politica corretta"...
    Ecco perchè, una di queste conseguenze fra le tante, i Santi del passato ci appaiono sempre più estranei e lontanissimi dalla nostra esperienza....

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  6. Confesso  a mia colpa . mia colpa, mia grandissima colpa che passo gran parte dell'omelia senza neppure ascoltare quello che che dice il sacerdote ma perso nei miei pensieri.. è peccato ? certo ! ma le omelie che ascolto ogni domenica sono così noiose, così noiose, così noisoe che a uno verrebbe voglia di alzarsi ed uscire dalla Chiesa.. certo bisognerebbe fare uno sforzo di umiltà per ascoltarle..

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  7. Il mio parroco ha eccezionali doti oratorie, è un bravissimo predicatore, forse il migliore che io conosca. Le sue, sono le uniche prediche che ascolto dall'inizio alla fine senza mai annoiarmi e non guardo mai l'orologio, lo ascolterei per ore... Che Dio ce lo conservi a lungo e spero che nella Santa Chiesa possano essere ordinati bravi sacerdoti come il mio, che tocchino le coscienze dei fedeli senza tanti mezzi termini e con tanto coraggio

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  8. Consiglio il libro Omelie per l'anno liturgico per quelli che, come me, non hanno avuto il privilegio di ascoltare il Card. Siri.

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  9. Nel 1965 vedevo il vescovo di Frascati (chissà più il nome) andare in giro a dire Messa guidando personalmente una vecchia utilitaria Volkswagen. Mi fa piacere che sia rimasto in vigore lo stile.

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  10. Durante un'omelia domenicale di alcuni anni fa, l'arciprete del duomo di Mirano, mons. Lino Regazzo, affermò che comportarsi bene e fare il bene ha più valore che assistere alla Santa Messa. Da allora, ho smesso di andare alle sue celebrazioni liturgiche (infarcite di buonismo e di demagogia pseudoconciliare e dove ama sedere in "trono" nel presbiterio di fronte all'assemblea) e, quando posso, preferisco andare a Messa da don Konrad a Venezia, il quale, nelle sue prediche, preferisce citare i grandi santi, i concili e le verità di fede, piuttosto che parlare di società, di politica e di vacua solidarietà umana.

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  11. Credo che la predica sia il passaggio più delicato e "meno garantito" della S. Messa in quanto affidato all'uomo e fatto per l'uomo, mentre il resto è liturgia, cioè atto di culto....
    E ognuno ha le sue particolarità umane: pregi e difetti: ci sono sacerdoti molto coinvolgenti, altri meno comunicativi. E sempre così sarà. Il problema dunque è il contenuto: un buon contenuto (quindi necessariamente tradizionalmente ortodosso) attrarrà sempre e comunque l'attenzione, sia proposto in maniera brillante che in maniera più distaccata.
    Un brutto contenuto (eterodossamente modernista) lo si può confezionare come si vuole ma sempre brutto resterà; e in genere al brutto come al peggio non c'è mai fine quindi sarà lungo e pesante.

    Nel cappello proposto dalla Redazione si parla di "ipnagogica durata dell'omelia" espressione che risalta per cristallina incisività definitoria, devo complimentarmi!

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  12. Os iusti meditabitur sapientiam6 dicembre 2010 alle ore 18:39

    Cito alcuni esempi vissuti personalmente.

    1)In una predica (ora che so che il termine è considerato "preconciliare", avrò un motivo in più per preferirlo a "omelia") un parroco, per fortuna non il mio, ha paragonato Zaccheo e la sua altezza a un "nostro noto politico", con una malcelata quanto inopportuna ironia.
    Non dico altro su questo.

    2)Un altro nella stessa parrocchia, proprio come scritto nell'articolo, introduce pensieri personali, spunti di riflessione e simili prima appena all'inizio della Messa dopo il Segno di Croce, prima delle letture, prima dell'offertorio, tra la Comunione e la benedizione.

    2)Ormai per alludere al mio parroco quando parlo con mia madre, lo chiamo sempre "Le vacanze", per il monotematico oggetto delle sue prediche.

    Concludo col segnalare l'immancabile lista di avvisi ed eventi PRIMA DELLA BENEDIZIONE FINALE. Immancabile lista, da parte del mio parroco; ma ho dovuto tristemente constatare che in tutte le celebrazioni che ho seguito, anche di altri parroci, nessuna vi si sottrae.
    Ma siamo proprio sicuri che la suddetta lista non la si possa citare dopo "La messa è finita, andate in pace: rendiamo grazie a Dio"????

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  13. <span>ma le omelie che ascolto ogni domenica sono così noiose, così noiose, così noisoe che a uno verrebbe voglia di alzarsi ed uscire dalla Chiesa</span>

    Be', negli anni '50/'60 era abbastanza normale vedere la domenica, fuori da certe chiese, gruppetti di persone che fumavano una sigaretta o chiacchieravano aspettando che finisse la predica per rientrare. Qualcuno ricorderà, certe prediche, specie 'sotto elezioni', erano effettivamente insopportabili.

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  14. Da poco ho scoperto che il Credo è subito dopo l'omelia perchè serve per ribadire la propria fede nonostante le parole appena sentite !!?

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  15.  Credo di no perchè . appena pronuciate le fatidiche parole. la messa è finita  i fedeli si dileguano in fretta e furia.. e chi s'è visto s'è visto!

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  16. certo è che dopo il vaniloquio  quasi sempre sentimentale o peggio, politico e sociologico, dell'omelia le limpide, razionali, sobrie, profonde e composte parole del Credo sono un balsamo per l'intelletto!!!!!!

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  17. Os iusti meditabitur sapientiam6 dicembre 2010 alle ore 23:21

    Certo, qui c'è anche la colpa dei fedeli. Mia madre mi racconta che quando era piccola lei, parliamo degli anni '50 (prima del concilio vaticano II), essi se ne stavano (spontaneamente, peraltro) in religioso raccoglimento qualche minuto dopo l' "Ite, missa est".
    Ma anche questo è perduto.

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  18. Qualche prete di mia conoscenza dice che "l'omelia sembra lunga perchè la fede di chi ascolta è corta".

    Qualcun altro più intelligente dice invece che i predicatori si dividono in due categorie:
    a) quelli che parlano poco e dicono tanto
    b) quelli che parlano tanto e non dicono niente

    A Dio piacendo, il Cardinale Angelo Bagnasco, ad imitazione del suo grande maestro Cardinale Giuseppe Siri, appartiene alla categoria a). Molti preti di mia conoscenza, ahimè, appartengono invece alla categoria b).

    Un Vescovo di mia conoscenza, che fu ordinato sacerdote dal Cardinale Siri, ha raccontato che il porporato, quando gli diede le "istruzioni" sul modo di celebrare, gli disse "Guarda sempre l'orologio, a 7 minuti accelera le conclusioni e ad 8 smetti qualunque cosa ti sembri di dover ancora dire. Così: se sarai stato chiaro saranno contenti della tua chiarezza, se sarai stato confuso saranno contenti che tu l'abbia finita presto, in ogni caso saranno contenti".

    Ahimè, non tutti i sacerdoti seguono queste istruzioni... grandissimo Cardinale Siri!!!

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  19. Beh insomma...talvolte sono un tantino astratte ed eccessivamente erudite...ma è nel suo stile, d'altronde, e ciò non toglie che sia un sant'uomo innamorato di Cristo!

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