Nuova puntata della querelle sul settimanale diocesano di veneziano, Gente Veneta. A intervenire, in difesa del latino, questa volta un professore universitario. Inutile dirlo, anche questa volta gli avversari del latino, della liturgia di sempre, della bellezza sono i sacerdoti modernisti, in questo caso tale don Vigani, direttore del settimanale diocesano. Una domanda al patriarcato: ma dove sta scritto che il direttore di un setttimanale diocesano debba essere un prete?
Caro don Vigani, ho letto sulle colonne di GV il tuo carteggio con Alessandro Zangrando sul tema della messa in latino. Da frequentatore, almeno occasionale, di alcuni degli autori e dei testi che citi nella tua risposta, e da fedele al di sopra d'ogni sospetto di tradizionalismo (ché il mio percorso culturale e spirituale mi porterebbe piuttosto verso la Riforma che verso la Controriforma), mi accorgo quasi con sorpresa di trovar condivisibili le osservazioni di Zangrando. Che è più convincente di chi cerca oggi di accreditare il rito postconciliare come il coronamento delle istanze sollecitate nel Settecento da Muratori e prima ancora, per la verità, da pensatori già cinquecenteschi come gli autori veneziani di un celebre Libellus ad Leonem X, Paolo Giustiniani e Vincenzo Quirini. Per tacer di molti altri. Pensatori che cercarono nella valorizzazione delle lingue nazionali una possibile evoluzione del modo in cui la Chiesa parlava ai suoi fedeli. Solo che «nazionale» è un po' il contrario di «cattolico» (che significa appunto: universale), e la regionalizzazione del cattolicesimo si è di fatto dimostrata, in età moderna, in singolare contrasto con l'aspirazione universalistica che caratterizza appunto il cattolicesimo, e alla quale, per altri aspetti, la chiesa di Roma non ha mai voluto rinunciare. Quando Zangrando addita il latino come un possibile strumento di globalizzazione alternativa (perché spirituale, mistica) a quella tecnocratica, mi sembra proporre una sfida molto più coerentemente cattolica di quella dei fautori di un cattolicesimo fai-da-te, provinciale e informalmente vernacolare, qual è quello prodotto dal secondo Novecento (età culturalmente puerile e dannosa, anche da questo punto di vista). Il latino, caro don Vigani, era certo incomprensibile agl'ignoranti: ma posso assicurare - occupandomi proprio di italiano - che la nostra lingua nazionale non è oggi meno oscura per nuove generazioni che, come è emerso da una ricerca rimasta celebre tra gli addetti ai lavori, ignorano bellamente il significato di parole italiane come misericordia, remissione, comunione, parabola. Per non parlare di paraclito, o di ipocrita. Certo, nelle messe dei nostri giorni certi gergoni del politichese novecentesco come sociale, comunità e solidarietà vanno molto più di moda di quelli che ho citato nella prima serie (attingendoli a una traduzione italiana del Vangelo: mentre non ho trovato quelli della seconda). Ma ben presto suoneranno altrettanto oscure. Non c'è peggior sordo, d'altra parte, di chi non vuol sentire (e quand'era in latino la messa si sentiva, appunto). La questione, evidentemente, non riguarda la lingua, ma la sostanza: che il rito in lingua volgare, nel modo in cui si è sviluppato nella chiesa postconciliare (una chiesa cui Ludovico Antonio Muratori, fine latinista e fine intellettuale, guarderebbe forse con perplessità) esprima meglio di quello antico il Mistero cui giustamente tu ti richiami, è dubbio. Indubbio è che l'uomo ha sovente espresso, anche con scelte linguistiche peculiari la sacralità dei contenuti attraverso una (convenzionale finché vuoi, ma ben riconoscibile) sacralità delle forme. Ed è altrettanto chiaro che con l'adozione, parziale e disorganica, di forme simili a quelle elaborate in ambiente protestante, la chiesa cattolica tardonovecentesca si è trasformata in un ibrido storicamente incongruo. Non insegniamo più il latino perché non serve neanche per sentir messa. Trascuriamo l'italiano perché l'inglese e magari il cinese servono di più per il nostro futuro. E se insieme a questi "inutili" strumenti ci stessimo dimenticando anche dei contenuti che essi hanno, per secoli, veicolato nella nostra cultura (e nella nostra fede)?
Prof. Lorenzo Tomasin, Dipartimento di Italianistica e filologia romanza Università "Ca' Foscari" di Venezia
La risposta
Non pretendo di conoscere, caro Tomasin, cosa penserebbe il grande Ludovico Antonio Muratori della Chiesa di oggi. Essendo una persona intelligente, fine intellettuale ma anche attento pastore, immagino che si metterebbe a disposizione di questa Chiesa per aiutarla ad essere fedele al proprio mandato. Ciò che invece mi è chiaro è che il senso del Mistero non è una questione di lingua, men che meno di lingua latina, ma di fede. Nella fede cristiana "Mistero" non indica infatti qualcosa di "misterioso, oscuro". Il Mistero è l'incontro con Dio che accade sempre (al di là della nostra buona volontà e del nostro impegno) nella celebrazione liturgica, tanto che, come lei ben sa, la parola "Mysteron" anticamente equivaleva alla parola "Sacramentum". Sono d'accordo che la lingua latina può e deve diventare in alcuni casi (ad esempio, in occasione di concelebrazioni alle quali partecipano persone di differenti nazionalità) uno strumento di comunione, ma non le affiderei altri ruoli che non le competono. Quanto alle altre questioni linguistiche alle quali lei accenna, non ho competenza per affrontarle. Posso solo dire che mi paiono un poco "retrò" in un mondo come il nostro, dove la comunicazione si sviluppa con una velocità impressionante creando continuamente nuove forme, nuovi strumenti e modi. (S.V.)
per il rinnovamento liturgico della Chiesa, nel solco della Tradizione - a.D. 2008 . - “Multa renascentur quae iam cecidere”
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"Sono d'accordo che la lingua latina può e deve diventare in alcuni casi (ad esempio, in occasione di concelebrazioni alle quali partecipano persone di differenti nazionalità) uno strumento di comunione, ma non le affiderei altri ruoli che non le competono"
RispondiEliminaAncora uno che non ha letto la Sacrosanctum Concilium.
Voglio innanzitutto precisare che avevo personalmente inviato una lettera al direttore Vigani, dove mi soffermavo in particolare sulla sua citazione precedente del sinodo di Pistoia (vedi http://blog.messainlatino.it/2010/08/pubblichiamo-una-lettera-uscita-su.html) e chiedendogli perché avesse citato il sinodo e non avesse parlato dei motivi per cui le tesi di quel sinodo fossero state condannate da papa Pio VI, se escludiamo la sua chiusa "erano tesi troppo progressiste per l'epoca". Non mi ha risposto, ma voglio pensare che non l'abbia fatto a causa delle moltissime lettere che gli sono arrivate per chiedergli lumi sulle sue parole; e poi la scelta di un autorevole docente universitario al mio posto può solo che farmi piacere.
RispondiEliminaComunque sottolineo come questa volta, rispetto alla precedente, il direttore ci vada molto più cauto: infatti non risponde a un generico Nome e Cognome, ma al Prof Lorenzo Tomasin, dipartimento etc etc. Quindi mette subito le mani avanti "non pretendo di conoscere", "non ho competenza"...onori raramente riservati ai lettori che scrivono in dissenso col nostro (leggere qualche commento sul giornale o su gvonline.it per credere).
Ma quello che mi colpisce di più è l'idea di liturgia che traspare dalle parole del direttore: "Il Mistero è l'incontro con Dio che accade sempre al di là della nostra buona volontà e del nostro impegno"; io personalmente rimpiango l'appello del venerabile Pio XII (rivolto in occasione delle elezioni, ma estendibile a tutta la vita di un cristiano) "Non c'è più spazio per la pusillanimità". E poi mi cadono le braccia a sentire la solita frase "Posso solo dire che mi paiono un poco "retrò" in un mondo come il nostro"...Vedete, il direttore ha avuto modo di dire, in risposta a molte lettere sull'argomento, come lui sappia che la gente di oggi chiede di non celebrare in latino; qui mi rendo conto che il vero motivo per cui dice queste cose è una questione di moda, altrimenti ha paura che la gente non gli vada più dietro, ragionamento che ritengo facciano anche molti presuli.
Vigani, prete rosso, altro che Vivaldi. Il suo essere di parte è arcinoto in tutto il Triveneto. Che si ritirasse ad altra mansione, ma tanto quelli là non li schioda nessuno dai loro alti sgabelli. Sarà contento il Patriarca, chissà se tra il Washington Post, il NYT e gli altri giornali internazionali avrà tempo di leggere quello che scrivono i suoi dipendenti...
RispondiEliminaConsiglierei al pretuncolo la lettura di questo documento:
RispondiEliminahttp://www.vatican.va/holy_father/john_xxiii/apost_constitutions/1962/documents/hf_j-xxiii_apc_19620222_veterum-sapientia_lt.html
Ma è il mio italiano che fa difetto o il direttore non ha risposto con argomenti validi?
RispondiEliminaUn tempo la Chiesa giudicava la cultura, ora la cultura giudica la Chiesa.
RispondiEliminaE qualche volta la cultura ha ragione.
In questo caso s'impone utilizzando l'armamentario che un tempo era proprio degli uomini di Chiesa.
Il prof. Lorenzo Tomasin usa infatti i concetti aristotelici dii forma e sostanza per sostenere la sua tesi (assolutamente non confutata da don Vigani il quale liquida tutto con la parola "retrò").
Un altro frutto del CVII: l'ignoranza nel clero.
Il Reverendo in questione farebbe meglio a farsi un giro per Venezia, a scoprire altre realtà della Chiesa di oggi:
RispondiEliminahttp://sacrissolemniis.blogspot.com/2010/08/la-messa-solenne-di-padre-berg-san.html
OT
RispondiEliminaOggi inizia la Novena della Natività della B.Vergine Maria da recitarsi per 9 giorni fino al 7 settembre.
Mi raccomando!!
E pensi un po', il nostro buon don Vigani, a com'è retro dare retta ancora, in questo mondo che va alla velocità della luce e ne scopre una nuova tutti i giorni, a parole pronunciate duemila anni fa da un certo Gesù Cristo! Anche su "mysterion" ha le idee confuse, il nostro don. Non sa che la radice greca è il verbo "myo", che vuol dire tacere, stare a bocca chiusa? Pensa che l'incontro di cui parla avvenga nell'ambito di una chiacchierata?
RispondiEliminasono sempre gli stessi argomenti.. il "mistero" non è "misterioso" (e la luce non è luminosa, l'oscurità non è oscura, la puzza non è puzzolente, la crema non è cremosa, l'acqua non è acquosa..), il latino va bene al massimo nelle grandi ammucchiate, i fedeli preconciliari redivivi amerebbero e abbraccerebbero con giubilo la chiesa del postconcilio... le questioni della lingua liturgica è "retrò" nel mondo dell'iPad.
RispondiEliminaL'insieme del testo regge sul tono supponente "lo so, ma non te lo dico..". In realtà, "non lo sa" e basta.
Ovvio. Per non fare la figura dello stolto, si cerca la via d'uscita della supponenza, lasciando intendere di saperla più lunbga senza dare alcun argomento. Ci sarà sempre chi, d'accordo con lui, gli assegnerà il match.
RispondiEliminaAgli altri, apparirà solo un patetico moccioso.
Ci è, o ci fa..?
Tradizionalisti:
RispondiEliminatanta sofferenza, che non porta manco nessun frutto positivo!
............ma insomma.....nel Credo...si prega....Una Santa Cattolica e Apostolica.....ma con tante linque....non mi sembra...!!!! si chiama ....chiesa fai da te!!!!Invece il latino....ci dovrebbe unire tutti in questa Una Santa Cattolica e Apostolica!!!!!
RispondiEliminaEgr. direttore Vigani,
RispondiEliminate c'hanno mai mannato
a quel paese?
sapessi quanta gente che ce sta...
Sembra un OT ma non lo è....caro padre Vigani si legga Benedetto XVI la Notte di Natale del 2007:
RispondiEliminaCosì, secondo la visione di Gregorio, la stalla nel messaggio di Natale rappresenta la terra maltrattata. Cristo non ricostruisce un qualsiasi palazzo. Egli è venuto per ridare alla creazione, al cosmo la sua bellezza e la sua dignità: è questo che a Natale prende il suo inizio e fa giubilare gli Angeli.
La terra viene rimessa in sesto proprio per il fatto che viene aperta a Dio, che ottiene nuovamente la sua vera luce e, nella sintonia tra volere umano e volere divino, nell’unificazione dell’alto col basso, recupera la sua bellezza, la sua dignità.
Così Natale è una festa della creazione ricostituita.
A partire da questo contesto i Padri interpretano il canto degli Angeli nella Notte santa: esso è l’espressione della gioia per il fatto che l’alto e il basso, cielo e terra si trovano nuovamente uniti; che l’uomo è di nuovo unito a Dio.
Secondo i Padri fa parte del canto natalizio degli Angeli che ora Angeli e uomini possano cantare insieme e in questo modo la bellezza del cosmo si esprima nella bellezza del canto di lode. Il canto liturgico – sempre secondo i Padri – possiede una sua dignità particolare per il fatto che è un cantare insieme ai cori celesti.
È l’incontro con Gesù Cristo che ci rende capaci di sentire il canto degli Angeli, creando così la vera musica che decade quando perdiamo questo con-cantare e con-sentire.
*********************
comprenderà bene caro padre Vigani che il Papa, riferendosi ai Padri della Chiesa sta parlando del canto Gregoriano, il vero coro LITURGICO, la "lingua" della Liturgia cattolica.... spero che non voglia interpretare queste parole del Pontefice con il solito svilimento del latino....mai pensato da Ratzinger...men che meno da Giovanni Paolo II...
;)
Lodo Dio per poter dire: "io c'ero" ;)
RispondiElimina..... :-D ma che fai Francesco, glielo mandi in LATINO?
RispondiEliminaquesta si che è una provocazione, non lo leggerà....
Beh "mâchons-lui" le travail a questo buon don Vigani.
RispondiEliminaDalla Veterum Sapientia :
"Se si riflette su tutti questi meriti, si comprende perché i Pontefici Romani cosí frequentemente hanno sommamente lodato non solo l'importanza e l'eccellenza della lingua latina, ma ne hanno prescritto lo studio e la pratica ai sacri ministri dell'uno e dell'altro clero, senza omettere di denunciare i pericoli derivanti dal suo abbandono.
Spinti anche Noi da questi gravissimi motivi, come i nostri Predecessori e i Sinodi Provinciali (13), con ferma volontà intendiamo adoperarci perché lo studio e l'uso di questa lingua, restituita alla sua dignità, faccia sempre maggiori progressi. Poiché in questo nostro tempo si è cominciato a contestare in molti luoghi l'uso della lingua Romana e moltissimi chiedono il parere della Sede Apostolica su tale argomento, abbiamo deciso, con opportune norme, enunciate in questo documento, di fare in modo che l'antica e mai interrotta consuetudine della lingua latina sia conservata e, se in qualche caso sia andata in disuso, sia completamente ripristinata.
E che fine hanno fatto le prescrizioni di Giovanni XXIII che figurano nel documento??
Ancora un documento restato lettera morta?
Spazzato via dallo spirito del Vaticano II?
http://www.unavox.it/doc05.htm
Già, ce ne sono ancora tanti fra i canuti...
RispondiEliminaLa replica è solo cialtrona. Forse era più elegante tacere che dire stizzosamente cose vaghe. A questi preti non manca solo la Fede, manca pure la logica.
RispondiEliminaImmagino quante lettere gli saranno arrivate a Vigani, tra cui la mia, la quale, come è successo a Cantore, non ha ricevuto risposta. Ecco il testo:
RispondiEliminaA proposito della Messa in latino
Gentile direttore, sono una persona che, dall'anno scorso, ha deciso di partecipare regolarmente alla Santa Messa nella forma straordinaria.
Io, sinceramente, non trovo nessuna difficoltà nel seguirla. Come ben dice Alessandro Zangrando nella sua lettera, abbiamo i foglietti per poter farlo come, peraltro, si trovano i foglietti nelle chiese dove si celebra la Messa di Paolo VI (ma io mi chiedo: a che cosa servono se la Messa è in italiano?). Non ho studi di latino. Ho dovuto imparare per conto mio le preghiere in latino, tanti anni fa, perché mi vergognavo di non saperle nonostante essere di religione cattolica di rito latino perché né quando frequentavo il catechismo né in parrocchia nessuno si è preso la briga di insegnarcele! E già, rito latino, dopo aver letto il documento del Concilio Vaticano II, la Sacrosanctum Concilium, dove si dice:
36.
L'uso della lingua latina, salvo diritti particolari, sia conservato nei riti latini.
Dato però che, sia nella messa che nell'amministrazione dei sacramenti, sia in altre parti della liturgia, non di rado l'uso della lingua nazionale può riuscire di grande utilità per il popolo, si conceda alla lingua nazionale una parte più ampia, specialmente nelle letture e nelle ammonizioni, in alcune preghiere e canti, secondo le norme fissate per i singoli casi nei capitoli seguenti.
è scattata la mia perplessità.
Nonostante, si parla tanto dell'applicazione del CVII, nella pratica questo non avviene liturgicamente parlando.
Concordo con Zangrando quando dice che "le lingue nazionali nella liturgia hanno fatto perdere il carattere di universalità della Chiesa Cattolica". Per motivi di lavoro ho dovuto girare il mondo durante 18 anni e così partecipare della Santa Messa dove mi è toccato di sostare. Questa situazione mi ha fatto aprire gli occhi e costatare una totale mancanza di unità nella liturgia di rito latino, abusi liturgici di ogni tipo e colore. Mi sono trovata come in mezzo ad una confusione con anessa perdita d'identità cattolica. Pensavo che non era possibile vivere con serenità la mia fede in queste condizioni. Mi sentivo veramente a disagio. E mi risultava difficile trovare una Messa celebrata nella dovuta maniera. Non capisco il motivo per cui ci si debba discostare da quello che la Chiesa comanda e lasciar via libera alla creatività nella celebrazione della Messa per non parlare della quasi mancanza di spazi di silenzio per il raccoglimento personale e la preghiera di ringraziamento al Signore, specialmente dopo la Comunione. Cosa si pretende guadagnare con tutto ciò?
Ecco, un errore molto grande è quello di aver nascosto, quando non sotterrato nel dimenticatoio, la grande ricchezza della Santa Messa, detta di San Pio V, la quale non è stata mai abolita come alcuni continuano a dire. Un tesoro negato ai fedeli che purtroppo un settore del clero s'impegna a sconsigliare quando non ad ostacolare o perfino vietare. Ho saputo che fedeli (e preti che vorrebbero celebrarla) sono stati oggetto di derisione da parte di alcuni vescovi. Arrivare a questo punto è veramente una vergogna!
I fedeli che amiamo questa Messa vogliamo semplicemente essere rispettati augurandoci che la volontà del Santo Padre Benedetto XVI venga altrettanto rispettata come ben dice Zangrando nella sua lettera.
Grazie dell'attenzione,
G.C.M.
<span>...è fortunato. Ha avuto l'illuminazione e, per questo può parlare a tu per Tu con Dio, sicuro di essere capito. Per questo, Gli può cantare le sue melense canzonette, strimpellate con la sua scordata chitarruccia e Gli si può rivolgere con il tono familiare della liturgia fai-da-te del post Concilio, magari nel dialetto che democraticamente ostenta coi parrocchiani, nella certezza di essere quantomeno tollerato. Sono certamente sulla stessa lunghezza d'onda, sia l'Uno che l'altro; veri amici.</span>
RispondiElimina<span>Ma per noi poveri Cristi non toccati dalla Grazia della luce che l'ha abbagliato, sordi alla Voce che gli parla, in lotta continua contro l'incredulità, come sarebbe possibile una tale confidenza? Per questo, siamo più a nostro agio col rito misterioso del prete di spalle che non ci degna di uno sguardo e col latinorum di Don Camillo, che, costringendoci alla testa bassa col capello in mano, possono meglio attirare la Sua compassione. E chissà che così non parta anche la Voce!</span>
A fronte di rigorosi rilievi, in pratica, il povero don Vigani altro non ha saputo opporre, se non un vago accenno all'impedimento che, a suo dire, il carattere "retrò" delle contestazioni ( che non sono solo linguistiche, ma che esclusivamente come tali egli finge di apprezzare, onde meglio nascondere la propria generale inadeguatezza ) avrebbe pregiudizialmente frapposto ad una sua controargomentazione . Nel merito, un solo rilievo metodologico; ma non l'hanno mai spiegato in seminario al povero sacerdote quell'elementare principio della dialettica, in ragione del quale si ammonisce il disputante, attraverso il preliminare avvertimento: "adducere impedimentum non est solvere argomentum"?
RispondiElimina<span>A fronte di rigorosi rilievi, in pratica, il povero don Vigani altro non ha saputo opporre, se non un vago accenno all'impedimento che, a suo dire, il carattere "retrò" delle contestazioni - che non sono solo linguistiche, ma che esclusivamente come tali egli finge di apprezzare, onde meglio nascondere la propria generale inadeguatezza - avrebbe pregiudizialmente frapposto ad una sua controargomentazione . Nel merito, un solo rilievo metodologico; ma non l'hanno mai spiegato in seminario al povero sacerdote quell'elementare principio della dialettica, in ragione del quale si ammonisce il disputante, attraverso il preliminare avvertimento: "adducere impedimentum non est solvere argomentum"? </span>
RispondiEliminaI foglietti servono perché tante volte i lettori non san leggere.
RispondiElimina...rimbambiti?
RispondiEliminaTroppo difficile, Francesco: non esser cattivo
RispondiElimina<span>Troppo difficile, Francesco: non esser cattivo</span>
RispondiEliminaQuesto poi! La soffeenza per Cristo è meritoria e i frutti che comporta son sempre positivi.
RispondiEliminaProbabilmente sì, ma siccome è in latino l'ha considerato retrò.
RispondiEliminaHa ragione don Vigani: la lingua e i modi di comunicazione si evolvono vertiginosamente. Proprio per questo la S. Messa, il Sacrificio della Croce che si rinnova sull'altare, deve rimanere intatto, immune d' ogni contaminazione con l'evoluzione della comunicazione, perché è quello e non altro ed altro non può diventare. In caso contrario oggi bisognerebbe celebrar la messa coi "messaggini" del cellulare.
RispondiEliminaDon Vigani, la Sua risposta è per analfabeti (anche di ritorno, come la gran massa dei preti).
Voi soffrite per voi stessi, che c'entra Cristo.
RispondiEliminaAlzhaimer. E' più diffuso di quel che si pensa. Fidatevi, lavoro nel settore.
RispondiEliminaAnche se fosse, sempre più dei modernisti goderecci che non soffrono per nessuno, calati come sono in ogni vizio possibile.
RispondiEliminaMuhahahah... sul fatto che non porti da nessuna parte, poi... è tutto da vedere.
RispondiEliminaCome riusciamo a romper le uova nel paniere NOI ai cialtroni modernisteggianti, non ce la fa nessuno.. Vorreste, eh, liberarvi di noi e andare a ballare nudi sulla spiaggia tra buddisti e focolarini... E invece NO:).. muhahahahaha!
A proposito di linguaggio liturgico-ecclesiastico. Siamo proprio sicuri che la nostra gente capisca il significato, e talvolta anche i suoni, delle parole usate nella Bibbia e nella liturgia? Sembra una barzelletta, ma è la realtà. Una volta, durante una psichedelicha veglia di Pentecoste, una donna anziana alla preghiera dei fedeli, leggendo il testo affidatole, ha detto: preghiamo per la Chiesa, popolo... messicano!!! ah ah ah ah... provate a spiegarle che cosa significa messianico!
RispondiEliminaConsiglierei al Sig. Colafemmina di rileggersi il Motu Proprio "Summorum Pontificum", e questo punto in particolare:
RispondiElimina"Queste due espressioni della ''lex orandi'' della Chiesa non porteranno in alcun modo a una divisione nella ''lex credendi'' (''legge della fede'') della Chiesa; sono infatti due usi dell'unico rito romano."
Consiglierei altresi al Sig. Colafemmina, di correggere il suo articolo dove afferma:
"Così, alla fine dei conti, ci ritroviamo con due riti che rispondono concretamente ad esigenze diverse di vivere la propria fede, nonostante siano in molti coloro che serenamente partecipano ad entrambi i riti."
Questo l'articolo: http://fidesetforma.blogspot.com/2010/08/ce-un-lavoro-comune-e-una-chiesa-per.html
"Vorreste, eh, liberarvi di noi e andare a ballare nudi sulla spiaggia tra buddisti e focolarini..."
RispondiEliminaSì quel bel twist... come faceva? Ah! "Guarda come....".
Che turpe immagine. Che luminosa prospettiva d'evangelizzazione....
:-D :-D :-D qualche annofa su RadioMaria fecero leggere le preghiere di riparazione ad una stoltarella che lesse (non ci sia blasfemìa in quanto riporto) "Benedetto lo Spirito Santo paralìtico" ora dimmi te!
RispondiEliminaMah, che cosa dire? Da una parte un raffinatissimo intervento di un professore. Intervento fine, intelligente e alto. Dall'altro, si scende di mille metri e ci si ritrova in una palude di pochezza intellettuale mista a un po' di arroganza e supponenza. Il mio parere? Insistere, insistere, insistere. I preti moderni contano sulla remissione intellettuale dei laici, che mai come oggi sono soggetti al neoclericalismo. Non abbassiamo la testa: alziamola e rispondiamo per le rime. Tutti quanti.
RispondiEliminaFiguriamoci se in veneto si osapitano atei famosi, come la Hack (Verona)e i vescovi sono contenti di farsi prendere a pesci in faccia a casa propria da tali eminenti sapientoni, non c'è da stupirsi di nulla!
RispondiElimina:-D :-D :-D :-D :-D :-D
RispondiEliminaPurtroppo soffriamo anche per gli oltraggi che i veggenti come te riservano a Cristo.
RispondiEliminaVigani, specializzato nel mungere finanziamenti pubblici agli enti locali grazie a una attiva rete di "cattolici adulti" di sinistra saldamente insediati come dirigenti a 200.000 euro l'anno negli stessi, risponde con le solite banalità: quella principe è, ovviamente, l'accusa di retrò a tutto quanto rientri nella Tradizione, come se la fede fosse una cabina armadio o un forno microonde che devono necessariamente sostituire il vecchio "armeròn" o il forno a legna. Che noia!
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