di VITTORIO MESSORI
È indubbio che è venuto da colui che è pur sempre il Primate d’Italia, oltre che vescovo di Roma, l’input, o almeno l’accettazione, per le dimissioni di Dino Boffo dalla galassia dei media cattolici. Quotidiano nazionale, televisione nazionale, 200 radio in ogni regione: una concentrazione di potere anomala in una Chiesa che non ha soltanto trascurata la virtù cardinale della prudenza (auriga virtutum, la chiamava San Tommaso), lasciando questo suo uomo-immagine esposto a ogni rischio di ricatto, dopo una sentenza che si pensava fosse irrilevante e che restasse sepolta per sempre in un tribunale di provincia. Ma è anche, questa, una Chiesa che ha dimenticato un altro principio praticato dalla gerarchia cattolica di un tempo. Il principio, cioè, del divide et impera: la Catholica è l’ultima «monarchia assoluta», dove il potere illimitato del vertice si regge sull’equilibrio dialettico, sempre felpato ma non sempre idilliaco, dei poteri subordinati. Ora, invece, tutta — dicesi tutta — l’informazione della Chiesa italiana era gestita e controllata da un uomo solo, che su di sé aveva un altro uomo solo: il cardinale presidente della Cei. Un’altra imprudenza, quindi, che ha fatto sì che la crudele, inaspettata rovina professionale di un singolo abbia gettato un’ombra di sospetto e di discredito su tutto un sistema informativo per il quale, tra l’altro, la Chiesa italiana salassa i suoi bilanci. Ma se è indubbio che input o, almeno, accettazione per le dimissioni sono venuti dal Vertice stesso della Chiesa, è altrettanto indubbio che la possibilità di defilarsi è stata accolta con sollievo dall’interessato, ad evitare guai peggiori. Lo ha detto egli stesso nella lettera al Presidente della Cei: «la bufera mediatica è lungi dall’attenuarsi», anzi, «si stanno chiamando a raccolta uomini e mezzi in una battaglia che si vuole ad oltranza». Dunque, perché «le ostilità si plachino», è necessario che il bersaglio «compia il sacrificio» di tirarsi indietro. Più che un «sacrificio», le dimissioni hanno offerto a un uomo martoriato, cui va la nostra fraterna comprensione, la possibilità di ritrovare un po’ di sonno dopo la settimana infernale. Ma anche la possibilità di evitare ciò che non ha fatto e che, fa capire nella lettera di congedo, non intende fare: autorizzare, cioè, il tribunale di Terni a pubblicare l’intero fascicolo processuale. Il suo avvocato, in effetti, ha chiesto che quelle carte restino blindate. Come si sa, un magistrato esigeva il rispetto della legge, che stabilisce che la documentazione sia resa nota, ma un suo collega si è opposto per la reputazione del «condannato». Dunque, conosciamo solo le due pagine di conclusioni, senza sapere perché il giudice è pervenuto ad esse. Anche per questo, dicono, Boffo non ha presentato, almeno sinora, l’annunciata querela contro il Giornale : in questo caso, l’avvocato del denunciato avrebbe diritto di accedere al fascicolo richiuso negli archivi. Ed è ovvio che tutto finirebbe subito su tutte le prime pagine. Ma cosa può esserci in quegli atti, che potrebbero chiudere una rissa che si è svolta attorno ad elementi formali (pur rilevanti), ma senza rispondere alla domanda vera: che cosa è successo davvero? Anche a questo, in verità, è stato alluso nella lettera di dimissioni: «Mi si vuole a tutti costi far confessare qualcosa e allora dirò che, se uno sbaglio ho fatto (...) è il non aver dato il giusto peso a un reato 'bagatellare'». Un termine giuridico, ma, forse anche un curioso riferimento a Céline, lo scrittore «maledetto», e al suo antisemita Bagatelles pour un massacre? Ci sono, dunque, piccole cose, leggerezze, svagate imprudenze, libertà di linguaggio, cose tollerabili in altri, ma che metterebbero a disagio un uomo al vertice del sistema informativo di una Chiesa che su certe cose non transige? Sembrerebbe. In ogni caso, la riduzione da uomo-istituzione a semplice privato gli ha permesso di alleggerire la pressione dei mastini che, altrimenti, non avrebbero mollato la presa perché la pubblicazione delle carte fosse autorizzata.
Ma l’imprudenza, qui, non sembra abbia contrassegnato solo la parte aggredita. È probabile che il Giornale pensasse che la faccenda si sarebbe subito conclusa, davanti alla evidenza di una condanna, con le dimissioni del direttore, accolte da una imbarazzatissima, e ammutolita, Conferenza Episcopale. Non era stato messo in conto l’arroccamento immediato di questa, il compattamento delle redazioni, la difesa ad oltranza, «a prescindere », da parte di una fetta consistente del mondo cattolico? È probabile. Il risultato potrebbe rivelarsi un boomerang politico. Una Cei che aveva un parterre moderato, non ostile all’attuale governo, parla ora (come Boffo nella sua lettera) di «un oscuro blocco di potere laicista» che, dall’interno della maggioranza, aggredirebbe la Chiesa. La rivelazione, così brutale, dei possibili «peccatucci» del direttore è stata presentata come un’operazione anticristiana. E il prossimo responsabile del quotidiano sarà obbligato a una politica meno conciliante con questo governo di quella del suo sfortunato predecessore, noto per la sua moderazione, se non addirittura per un penchant per il centro-destra. Quanto ai molti discorsi, innescati dal caso Boffo, su dissidi e antagonismi tra Segretario di Stato e Presidente della Cei: al di là della diversità di temperamenti e di prospettive (peraltro assai meno accentuata di quanto spesso si affermi), il problema va ben oltre le persone. Già molti anni fa, in Rapporto sulla fede, Joseph Ratzinger affermava che le più che 100 Conferenze Episcopali del mondo non hanno base teologica, non fanno parte della struttura divina della Chiesa. Questa, osservava, non è una Federazione di Chiese nazionali, dove si converga solo sui grandi principi del Credo. Il potere dei «piccoli vaticani» sparsi nei cinque continenti, uno per ciascuna nazione, va ridimensionato. Pietro è uno solo. E sta a Roma. Divenuto papa, l’allora cardinal prefetto del Sant’Uffizio ha cominciato a provvedere. Sta qui il motivo del cortese ma fermo avvertimento di Bertone, il suo «primo ministro », a Bagnasco, rappresentante della «Chiesa nazionale italiana» . Rispetto e fiducia, si intende, ma le grandi linee di governo vengono avocate a sé dal Vertice della Chiesa. Non è in atto un regolamento di conti tra cardinali (malgrado le attuali difficoltà dell’arcivescovo di Genova per il caso dell’uomo- media ereditato da Ruini), è in atto semmai una strategia di lungo respiro di Benedetto XVI per contrastare un per lui inaccettabile «federalismo clericale».
Fonte: Corriere della Sera 6.9.09, via Papa Ratzinger blog
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di CARLO MARRONI
All'appuntamento del 21 settembre, giorno di apertura del consiglio permanente Cei, il cardinale Angelo Bagnasco arriverà con il nome del nuovo direttore in tasca. Un nome distillato dalla serie di sondaggi e incontri che avrà nelle prossime due settimane con l'episcopato italiano - cardinali in testa - e soprattuto con il Segretario di Stato cardinale Tarcisio Bertone.Bagnasco alla vigilia dell'appuntamento sarà anche ricevuto da Benedetto XVI a Castelgandolfo, ma naturalmente la nomina non sarà in agenda. I nomi che vengono indicati per la successione a Dino Boffo al momento sono quelli di Gianfranco Fabi, direttore di Radio24, Mimmo delle Foglie, ex vice di Boffo e organizzatore del Family day, a cui si aggiungono Massimo Franco, editorialista del Corriere della Sera, e altri nomi interni al quotidiano Cei e a Famiglia Cristiana.Ma quella per la successione ad Avvenire è solo una delle partite che sarà giocata tra Vaticano ed episcopato nei tempi prossimi.La presa di potere di Bertone, con mano salda anche sulla conduzione della politica verso il Palazzo romano, è passata attraverso la normalizzazione delle vecchie correnti post-wojtyliane, che dopo una iniziale azione di contrasto (culminata a febbraiomarzo in piena crisi da lefebvriani) si sono riallineate.I fedelissimi dell'ex segretario di Stato Angelo Sodano (decano del Sacro Collegio, ma ormai ultraottantenne), sono sempre più defilati: Renato Boccardo, ex segretario generale del Governatorato, è stato mandato vescovo a Spoleto. Inoltre bisognerà vedere se Piero Pioppo, ex segretario personale del cardinale, resterà al suo posto di Prelato dello Ior (nominato in zona cesarini da Sodano) quando Bertone - diventato guida della commissione cardinalizia- deciderà il cambio alla guida operativa della banca vaticana.L'arcivescovo di Palermo, Paolo Romeo, ex nunzio in Italia che pagò il trasferimento per aver mandato in giro tra i vescovi un questionario (su indicazione di Sodano) sulla nomina del successore di Ruini, attende la nomina a cardinale: ha saltato un giro ma al prossimo concistoro, che dovrebbe essere convocato entro un anno, al massimo 18 mesi, sarà certamente in lista.I fedelissimi del cardinale Achille Silvestrini, scuola diplomatica di derivazione Casaroli, dal governo centrale sono ormai spostati tutti in nunziature o diocesi: Caccia nunzio in Libano e Parolin in Venezuela, Guggerotti in Georgia, Fontana vescovo ad Arezzo, Montevecchi ad Ascoli, Menicheli ad Ancona, Brugnaro a Camerino. I "silvestriniani" - alla cui scuola viene annoverato anche l'abilissimo nunzio in Usa, Pietro Sambi - «sono uomini di governo », osserva un monsignore, lavorano con chi ha la guida, quindi Bertone e il sostituto Fernando Filoni, oltre al più defilato "ministro" degli esteri Dominique Mamberti, «non si può parlare di bertoniani di nuovo conio».Già perché bertoniani si nasce: lo è Giuseppe Bertello, nunzio in Italia (e possibile cardinale a Torino quando uscirà a fine proroga Severino Poletto).Poi lavorano sempre nell'ombra i pontieri, che qualche volta vengono annoverati nell'ala progressista: Dionigi Tettamanzi a Milano e Crescenzio Sepe a Napoli, entrambi impegnati in battaglie di popolo, dalla difesa degli immigrati alle famiglie in crisi fino alla lotta alla camorra. Una linea "pastorale" che piace al nuovo corso e che in ogni caso non entra direttamente nella politica, ormai filo che dà la scossa. E i seguaci del cardinale Ruini, che con lui hanno condiviso anni e anni di fine tessitura con il Transatlantico? Sono tutti i vescovi sparsi sul territorio: Giuliodori a Macerata, Mogavero a Mazara del Vallo, Parmeggiania Tivoli e Moretti è ancora vice-gerente a Roma. Tra tutti spicca l'abile Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze e futuro cardinale, che più di tutti ha espresso solidarietà convinta a Boffo, parlando di "spazzatura" riferita all'informativa.Abilità contrassegnata anche da piccoli accorgimenti: come quello di non andare nei giorni scorsi ad un convegno del tutto innocuo organizzato da un centro studi vicino al centro-destra: il rischio di strumentalizzazioni in piena campagna anti- Boffo era troppo alto, meglio stare alla larga.
Fonte: Il Sole 24 ore 5.9.09, via Papa Ratzinger blog
"E i seguaci del cardinale Ruini, che con lui hanno condiviso anni e anni di fine tessitura con il Transatlantico? Sono tutti i vescovi sparsi sul territorio: Giuliodori a Macerata..."
RispondiEliminaTutto il reale è razionale.
Bravo Messori, non trascuri che a Genova uomini vicinissimi alla Curia da mesi vanno dicendo che la Chiesa intesa come Vescovi stà preparando la caduta del Governo Berlusconi con alleanze nei vari centri di Potere e con gli uomini cosidetti forti della Finanza Italiana. La vicenda Boffo con la reazione del Suo presidente ha confermato questa diceria: la Sua è stata una reazione di chi si ritrova col gioco scompaginato.
RispondiEliminaL'articolo di Messori è ampiamente condivisibile. Bagnasco doveva starsene zitto e cacciare su due piedi Boffo, altro che esprimergli solidarietà! Che poi da alcuni cattolici si sia definito Feltri anti cristiano questa è 1 grandissima stupidaggine. Feltri non è cristiano ma fra un acristiano come lui e un cattolico adulto come Prodi preferisco Feltri. Nel 2005 quando per il referendum sulla fecondazione artificiale Ruini fece fallire il raggiungimento del quorum, Feltri scrisse un editoriale dal titolo "Ruini for president", molto elogiativo. Quanto agli intrallazzi di alcuni vescovi per far saltare l'attuale governo alleandosi con i poteri forti della finanza, codesti prelati dovrebbere sapere che in Italia il potere bancario e finanziario si chiama grande fratellanza universale e Aspen Institute, dove si possono trovare E. Letta, G. Tremonti e G. Amato. La Grande Fratellanza universale, quella che usa il compasso e la cazzuola ma non è muratore ma solo muratoria, è un potere trasversale e non mi meraviglierei se fosse presente anche nell'episcopato italiano. Alessandro
RispondiEliminaE' il volto umano e peccatore della Chiesa, contro il quale ci è lecito alzar la voce per l'amore che nutriamo per la Chiesa istituzione divina che da questi intrighi di corte vien flagellata più che dai nemici dichiarati.
RispondiEliminaDante, in poche righe hai sintetizzato l'essenziale. Alessandro
RispondiEliminaNon so gli altri, ma in questo caso la croce avrebbe rigato e ‘disturbato’ continuamente (sbattendo) il suono della chitarra. Almeno spero sia stato per questo.
RispondiEliminaScusate, post precedente! Ho sbagliato 'luogo' ;)
RispondiEliminaPermettetemi un po' d'ironia, dietro cui si nasconde la preoccupazione, prendendo spunto dalle prime righe dell'articolo.
RispondiEliminaDopo il papa bianco, quello vero e proprio, abbiamo il papa rosso, il cardinale della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, vero capo amministrativo delle diocesi "in terra di missione", e il papa nero, il Superiore generale dei Gesuiti.
Nessuno sapeva che, almeno in Italia, avevamo anche un papa mass-mediale, con diritto di ultima parola su tutto il mondo delle "comunicazioni sociali". Cos'era, il papa blu... elettrico?
Nike
Per venire al tema vero e proprio dell'articolo: ben venga un ridimensionamento di uno dei tanti organi non apostolici, eccessivamente... ma mi fermo qui altrimenti prendete le distanze una volta ancora.
RispondiEliminaPeccato che il tutto capiti alla conferenza episcopale forse più vicina al Santo Padre, se non altro perché ce lo abbiamo in casa (anche se dovrebbe essere l'opposto). Ben più ribelli, non solo alla persona del papa, ma alla Tradizione, mi paiono quelle olandese, francese, tedesca, brasiliana, statunitense. Ma lì nessuno scandalo sembra ridimensionarle.
E il papa è lontano e, a mio modo di vedere, silenzioso...
Nike
E' il cruccio di tutti i cattolici fedeli alla Tradizione.
RispondiEliminaComunque, non essendo organi del Magistero, le conferenze episcopali si posson ignorare e criticare, se lo meritano. Ed i singoli vescovi posson sottrarsi alle loro direttive, ovviamente se han fiducia in Dio, e governar la diocesi secondo coscienza retta.
I due articoli di Messori e Marroni sono interessantissimi anche perchè fanno vedere il marciume politico e finanziario che si è impadronito della chiesa si da far rimpiangere il vituperato potere temporale, di cui la CEI sembra un pallido epigono. Gruppi di potere, cordate, spostamenti di qua e di là come seguendo la logica di un gioco di scacchi. Se la mossa feltriana è riuscita a mettere a nudo tutto ciò bene. Purtroppo nuocerà non soltanto a Berlusconi ed al suo governo ma purtroppo alla nostra povera Patria. Tutti noi tradizionalisti sappiamo quanto terribile sia la sete di vendetta clericale. E questo nemmeno l'astuto direttore del Giornale l'aveva forse contemplato. Certamente è stata una mossa incauta in un momento sbagliato anche se è giusto far venire sempre a galla la verità, che però , a volte non paga.
RispondiEliminaè stata una mossa incauta ...
RispondiEliminaConcordo.
interessante e condivisibile, a questo proposito, la lucida analisi di Socci sull'intempestiva uscita di Feltri:
Il boomerang di “Repubblica” e “Giornale”,
http://www.antoniosocci.com/2009/09/il-boomerang-di-repubblica-e-giornale/
Franco
Cardinali:
RispondiEliminaamici inutili
nemici potentissimi!
L'arcivescovo di Palermo non ha riceuto la berretta cardinalizia per aver gettato montagne di sterco sul Motu Proprio.
RispondiEliminaSe cambia, bene! Altrimenti continui con il viola che e' gia' fin troppo.