Riportiamo il testo integrale della conferenza tenuta da Mons. Jean-Pierre Batut (nella foto) a Lourdes all’inizio di giugno a tutti i Vescovi di Francia, sulla fede cristiana in relazione ai "Novissimi", secondo il Catechismo della Chiesa Cattolica. Notizia nella notizia: questo testo su alcune verità diciamo pure passate spesso sotto silenzio nella moderna catechesi, di cui è autore per di più un neo-vescovo che fu a lungo parroco biritualista di St. Eugène-S.te Cécile a Parigi, è stato tradotto e pubblicato dall'Ufficio di catechesi della diocesi di Bergamo. Qualcosa, dunque, si muove...
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Desidero parlarvi di ciò che si identifica a volte con le realtà ultime, cioè l’incontro di Dio che è lo scopo della nostra vita. Perché? Perché non ne parliamo abbastanza! Affermiamo, naturalmente, il fatto "attendo la resurrezione dei morti e la vita del modo che verrà; ritornerà nella gloria per giudicare i vivi e i morti"…Ma non parliamo abbastanza del come.
Quindi, occorre parlarne: se non lo facciamo, favoriamo ogni genere di credenze in sostituzione, come la reincarnazione, che vengono a riempire un vuoto, ma che non hanno niente a che vedere con la fede cristiana.
Inoltre, i fini ultimi sono uno dei campi nei quali, come cristiani, abbiamo le cose più originali da dire. Abbiamo una quantità di cose da dire in tanti altri campi: l’Europa, la crisi economica….Ma in questi settori altri possono dire le nostre stesse cose, e dirle perfino meglio. Sui fini ultimi, se noi tacciamo, nessuno potrà dire al posto nostro ciò che abbiamo da dire.
1. L’insegnamento della Chiesa conduce in primo luogo alla resurrezione.
La sola Scrittura è avara di dettagli su ciò che ci attende dopo la morte. Il teologo ortodosso Jean-Claude Larchet scrive: "La Scrittura sottolinea il carattere imprevedibile della morte ("voi non conoscete né il giorno né l’ora" Mt. 15,13). Essa ci dà delle indicazioni sulla sua origine (Rm 5,12). Ci annuncia la resurrezione futura dei corpi e la vita eterna del Regno che viene, ma non ci dà praticamente informazioni sul periodo che separa la morte di ogni persona dal giudizio finale e universale e dalla resurrezione alla fine dei tempi". Lazzaro, in effetti, non ci ha lasciato delle memorie che ci raccontano ciò di cui aveva fatto esperienza al momento della sua morte e durante i suoi tre giorni nella tomba. Tuttavia, la tradizione della Chiesa ha chiarito il dato della Scrittura. Il Catechismo della Chiesa cattolica (CCC) raccoglie questa eredità.
Il CCC inizia con l’affermare la fede nella resurrezione, e cita San Paolo: "Se il Cristo non è resuscitato, vana è la nostra predicazione, vana anche la vostra fede" (1Cor 15, 12-14). Egli sottolinea poi che Gesù ha legato la fede nella resurrezione alla sua stessa persona ("Io sono la Resurrezione e la Vita" Gv 11, 25), così che essere testimone del Cristo porta ad essere testimone della sua resurrezione (cf. At 1,22).
Il CCC si pronuncia quindi sul come della resurrezione. Lo fa partendo dalla resurrezione del Cristo, e afferma due cose essenziali:
- il Cristo è resuscitato con il suo stesso corpo (Lc 24,39)
- la sua resurrezione non è il semplice ritorno a una vita terrena: egli ha ormai un "corpo di gloria" (Fil 3,21), un "corpo spirituale" (1Cor 15, 44)
Ciò che vale per il Cristo vale anche per noi. Siamo certi che al momento della resurrezione noi resusciteremo nel nostro corpo e non nel corpo di un altro: ognuno potrà riconoscere gli altri ed essere riconosciuto da loro, come ci riconosciamo in questa vita. Allo stesso tempo, vivremo con un corpo glorioso, sottratto alle leggi dello spazio e del tempo e alle leggi della corruzione.
Infine, nella fede cristiana, non potrebbe esserci che la resurrezione del mio corpo. Nell’intervallo tra la morte e la resurrezione, non andrò ad abitare altri corpi. Quando sarà terminato il corso unico della nostra vita terrestre, noi non torneremo più ad altre vite terrene: gli uomini non muoiono che una volta (Eb 9,27). Non c’è "reincarnazione" dopo la morte (CCC 1013).
Il CCC inizia con l’affermare la fede nella resurrezione, e cita San Paolo: "Se il Cristo non è resuscitato, vana è la nostra predicazione, vana anche la vostra fede" (1Cor 15, 12-14). Egli sottolinea poi che Gesù ha legato la fede nella resurrezione alla sua stessa persona ("Io sono la Resurrezione e la Vita" Gv 11, 25), così che essere testimone del Cristo porta ad essere testimone della sua resurrezione (cf. At 1,22).
Il CCC si pronuncia quindi sul come della resurrezione. Lo fa partendo dalla resurrezione del Cristo, e afferma due cose essenziali:
- il Cristo è resuscitato con il suo stesso corpo (Lc 24,39)
- la sua resurrezione non è il semplice ritorno a una vita terrena: egli ha ormai un "corpo di gloria" (Fil 3,21), un "corpo spirituale" (1Cor 15, 44)
Ciò che vale per il Cristo vale anche per noi. Siamo certi che al momento della resurrezione noi resusciteremo nel nostro corpo e non nel corpo di un altro: ognuno potrà riconoscere gli altri ed essere riconosciuto da loro, come ci riconosciamo in questa vita. Allo stesso tempo, vivremo con un corpo glorioso, sottratto alle leggi dello spazio e del tempo e alle leggi della corruzione.
Infine, nella fede cristiana, non potrebbe esserci che la resurrezione del mio corpo. Nell’intervallo tra la morte e la resurrezione, non andrò ad abitare altri corpi. Quando sarà terminato il corso unico della nostra vita terrestre, noi non torneremo più ad altre vite terrene: gli uomini non muoiono che una volta (Eb 9,27). Non c’è "reincarnazione" dopo la morte (CCC 1013).
2. La definizione della morte e la questione dell’anima
La medicina ha delle cose da dire a proposito della morte: essa la constata, con l’arresto della funzioni vitali, l’elettroencefalogramma, ecc. La filosofia ha tentato di definire la morte secondo altri criteri e la teologia non ha temuto di riprenderli. E’ così che la teologia, riprendendo una formula che risale a Platone, definisce la morte come "la separazione dell’anima e del corpo" (CCC 1005; 1016). Questa definizione fa parte della Tradizione della Chiesa. Si sono cercate altre definizioni, ma l’idea de "separazione dell’anima e del corpo" resta la più soddisfacente:
- perché essa dà conto del fatto che la morte riguarda il corpo: quest’ultimo non più che un cadavere;
- perché essa afferma allo stesso tempo che, nella morte, sopravvive qualcosa della persona.
Essa infatti non è totalmente annientata. Ciò è molto importante, perché significa che la resurrezione finale non sarà una nuova creazione a partire dal nulla (che sarebbe il caso se, una volta scomparso il corpo, non restasse nulla), ma la riunione di ciò che era stato separato: dell’anima immortale con un corpo ricreato certamente, ma che è il corpo di quest’anima, e non quello di un’altra. Di conseguenza, nel giorno finale io ritroverò il mio corpo. Ma cos’è questo "io"? Non il corpo, perché esso sarà scomparso nell’intervallo. E se è altra cosa che non il corpo, perché non chiamarlo anima?
- perché essa dà conto del fatto che la morte riguarda il corpo: quest’ultimo non più che un cadavere;
- perché essa afferma allo stesso tempo che, nella morte, sopravvive qualcosa della persona.
Essa infatti non è totalmente annientata. Ciò è molto importante, perché significa che la resurrezione finale non sarà una nuova creazione a partire dal nulla (che sarebbe il caso se, una volta scomparso il corpo, non restasse nulla), ma la riunione di ciò che era stato separato: dell’anima immortale con un corpo ricreato certamente, ma che è il corpo di quest’anima, e non quello di un’altra. Di conseguenza, nel giorno finale io ritroverò il mio corpo. Ma cos’è questo "io"? Non il corpo, perché esso sarà scomparso nell’intervallo. E se è altra cosa che non il corpo, perché non chiamarlo anima?
§ Negli ultimi decenni si è constatato un’allergia alla parola "anima", alla quale si rimprovera di essere troppo filosofica. Nella Scrittura si trovano degli equivalenti a tale parola. D’altra parte, se si sopprime l’anima, si è condotti ad affermare come sopra che Dio ricreerà un giorno un essere nuovo senza rapporto con il mio essere presente, oppure si è costretti a dire che il momento della morte è già quello della resurrezione, contro cui l’apostolo Paolo metteva già in guardia:
§ "Imeneo e Fileto….si sono allontanati dalla verità, pretendendo che la resurrezione è già avvenuta, rovesciando così la fede dei più" (2Tm 2,18).
Ma questo pone la domanda di sapere ciò che succede all’anima per il tempo che essa resta senza il suo corpo - quello che si chiama in termini classici "l’anima separata".
3. La morte e il giudizio "singolo"
La morte è il momento dell’incontro, e questo incontro è un giudizio. Con ciò non bisogna intendere la nostra comparizione davanti a un tribunale, ma l’esperienza di vedere la nostra vita tutta insieme nella verità quando noi vedremo il Cristo. Un passaggio del vangelo di Matteo è particolarmente chiaro a tale proposito. Si tratta della profezia detta del "giudizio finale", al capitolo 25, nella quale ogni essere umano, nell’incontro con il Cristo, prende coscienza dal fatto stesso che tutti gli atti della sua vita trovano il loro senso in riferimento al Cristo: "avevo fame e voi mi avete dato da mangiare…". Prima del giudizio "finale", questa stessa esperienza è fatta da ciascuno al momento della sua morte. E’ un giudizio nel quale la dimensione corporale non interviene e che si chiama il giudizio particolare ("particolare" nel senso di "individuale").
Ogni uomo riceve nella sua anima immortale il suo riconoscimento eterno, dal momento della sua morte, in un giudizio particolare che riferisce la sua vita al Cristo
attraverso la purificazione;
per entrare immediatamente nella beatitudine del Cielo;
per dannarsi in eterno.
(CCC 1022)
Abbiamo un esempio di questo giudizio nel vangelo: si tratta del "buon ladrone" al quale Gesù dice: "oggi, tu sarai con me in paradiso" (Lc 22,43). Il "paradiso" significa due cose:
1/la beatitudine con il Cristo;
Ogni uomo riceve nella sua anima immortale il suo riconoscimento eterno, dal momento della sua morte, in un giudizio particolare che riferisce la sua vita al Cristo
attraverso la purificazione;
per entrare immediatamente nella beatitudine del Cielo;
per dannarsi in eterno.
(CCC 1022)
Abbiamo un esempio di questo giudizio nel vangelo: si tratta del "buon ladrone" al quale Gesù dice: "oggi, tu sarai con me in paradiso" (Lc 22,43). Il "paradiso" significa due cose:
1/la beatitudine con il Cristo;
2/ non già la resurrezione, ma l’attesa della resurrezione.
Tutto questo significa che non c’è e non può esserci "sonno della morte", se si intende con questo uno stato di incoscienza tra la morte e la fine del mondo. Come dice l’apostolo Paolo, i morti vivono nel Cristo.
Tutto questo significa che non c’è e non può esserci "sonno della morte", se si intende con questo uno stato di incoscienza tra la morte e la fine del mondo. Come dice l’apostolo Paolo, i morti vivono nel Cristo.
4. Purgatorio, cielo e inferno
§ Il purgatorio
La Chiesa, in particolare nel Secondo Concilio di Lione (1274) ha stabilito la sua infallibilità sulla questione del purgatorio.
Anche se la parola "purgatorio" è introdotta solo a partire dal XII secolo, l’affermazione di una purificazione dopo la morte è già presente nel giudaismo. Essa si esprime indirettamente attraverso la preghiera per i defunti, come la si trova in 2Mac 12, 44-45 (e nel Nuovo Testamento: 1Cor 15,29 e 2Tm 1,18): se questa preghiera ha un senso, è proprio perché i defunti sono in un processo (e non in un luogo, poiché il purgatorio non è un luogo) di purificazione.
Allo stesso modo con cui dà conto del giudizio, l’incontro con il Cristo spiega questa purificazione: in effetti, questo incontro nella luce piena mi farà percepire in piena verità la differenza tra l’amore del Cristo e l’indigenza dell’amore che è stata presente nella mia vita. La percezione di una tale differenza è una fonte di sofferenza, ma si tratta di una sofferenza che nasce dal desiderio di rispondere pienamente all’amore di cui sono amato.
Nel Credo, l’affermazione "disceso agli Inferi" corrisponde a quella del purgatorio: tra la morte del Cristo e la sua resurrezione, la discesa agli Inferi (cioè nel luogo di soggiorno dei morti, e non "nell’Inferno") esprime l’atto con il quale il Cristo, nel mistero della sua morte, unisce ogni essere umano (che abbia conosciuto il Cristo o meno) alla sua per proporgli la salvezza.
Poiché Cristo è morto per tutti e la vocazione ultima dell’uomo è realmente unica, cioè divina, dobbiamo considerare che lo Spirito Santo offre a tutti, nel modo che Dio conosce, la possibilità di essere associati al mistero pasquale (del Cristo - (Vaticano II, Gaudium et Spes, 22).
La predicazione sul purgatorio è oggi più urgente che mai: la credenza nella reincarnazione, che nello spirito di molti gioca il ruolo di una "seconda possibilità" data a qualcuno, (mentre nelle spiritualità orientali, dalle quali deriva, essa è piuttosto una fatalità) ha, in effetti, preso il posto del purgatorio molto più della resurrezione propriamente detta.
Anche se la parola "purgatorio" è introdotta solo a partire dal XII secolo, l’affermazione di una purificazione dopo la morte è già presente nel giudaismo. Essa si esprime indirettamente attraverso la preghiera per i defunti, come la si trova in 2Mac 12, 44-45 (e nel Nuovo Testamento: 1Cor 15,29 e 2Tm 1,18): se questa preghiera ha un senso, è proprio perché i defunti sono in un processo (e non in un luogo, poiché il purgatorio non è un luogo) di purificazione.
Allo stesso modo con cui dà conto del giudizio, l’incontro con il Cristo spiega questa purificazione: in effetti, questo incontro nella luce piena mi farà percepire in piena verità la differenza tra l’amore del Cristo e l’indigenza dell’amore che è stata presente nella mia vita. La percezione di una tale differenza è una fonte di sofferenza, ma si tratta di una sofferenza che nasce dal desiderio di rispondere pienamente all’amore di cui sono amato.
Nel Credo, l’affermazione "disceso agli Inferi" corrisponde a quella del purgatorio: tra la morte del Cristo e la sua resurrezione, la discesa agli Inferi (cioè nel luogo di soggiorno dei morti, e non "nell’Inferno") esprime l’atto con il quale il Cristo, nel mistero della sua morte, unisce ogni essere umano (che abbia conosciuto il Cristo o meno) alla sua per proporgli la salvezza.
Poiché Cristo è morto per tutti e la vocazione ultima dell’uomo è realmente unica, cioè divina, dobbiamo considerare che lo Spirito Santo offre a tutti, nel modo che Dio conosce, la possibilità di essere associati al mistero pasquale (del Cristo - (Vaticano II, Gaudium et Spes, 22).
La predicazione sul purgatorio è oggi più urgente che mai: la credenza nella reincarnazione, che nello spirito di molti gioca il ruolo di una "seconda possibilità" data a qualcuno, (mentre nelle spiritualità orientali, dalle quali deriva, essa è piuttosto una fatalità) ha, in effetti, preso il posto del purgatorio molto più della resurrezione propriamente detta.
§ Il Cielo
Citiamo ancora il Catechismo:
Coloro che muoiono nella grazia e nell’amicizia di Dio e che sono pienamente purificati, vivono per sempre con il Cristo. Sono per sempre simili a Dio perché lo vedono come esso è (cf. 1Gv 3,2), "faccia a faccia" (1Cor 13,12; Ap 22,4). Questa vita perfetta con la Trinità è chiamata il Cielo (CCC 1023-1024).
Il Cielo non è rappresentabile più del purgatorio: più che un luogo, il Cielo è una Persona, il cui contatto rende beati e immortali. Questo mistero di comunione beata con Dio e con tutti coloro che sono nel Cristo supera ogni comprensione e ogni rappresentazione. La Scrittura ci parla per immagini: vita, luce, pace, festa di nozze, vino del regno, casa del Padre, Gerusalemme celeste, paradiso: "Ciò che l’occhio non ha visto, ciò che l’orecchio non ha sentito, ciò che non è percepito dal cuore dell’uomo, tutto ciò che Dio ha preparato per coloro che lo amano" (1Cor 2,9; CCC 1027).
Coloro che muoiono nella grazia e nell’amicizia di Dio e che sono pienamente purificati, vivono per sempre con il Cristo. Sono per sempre simili a Dio perché lo vedono come esso è (cf. 1Gv 3,2), "faccia a faccia" (1Cor 13,12; Ap 22,4). Questa vita perfetta con la Trinità è chiamata il Cielo (CCC 1023-1024).
Il Cielo non è rappresentabile più del purgatorio: più che un luogo, il Cielo è una Persona, il cui contatto rende beati e immortali. Questo mistero di comunione beata con Dio e con tutti coloro che sono nel Cristo supera ogni comprensione e ogni rappresentazione. La Scrittura ci parla per immagini: vita, luce, pace, festa di nozze, vino del regno, casa del Padre, Gerusalemme celeste, paradiso: "Ciò che l’occhio non ha visto, ciò che l’orecchio non ha sentito, ciò che non è percepito dal cuore dell’uomo, tutto ciò che Dio ha preparato per coloro che lo amano" (1Cor 2,9; CCC 1027).
§ L’inferno
Gesù nel Vangelo parla della "Gheenna", del "fuoco che non si spegne" (Mt 5,22; 29; 13,42-50). Nella profezia del giudizio finale, troviamo questa parola terribile: "allontanatevi da me, maledetti, nel fuoco eterno preparato per il demonio e i suoi angeli" (Mt 25,41).
Il fatto che il Cristo stesso si preoccupi di parlarci dell’inferno come di un rischio reale per noi, deve farci riflettere. Le sue affermazioni ci rivelano l’abisso della nostra stessa libertà che, perché capace del meglio, è anche capace di dire a Dio un "no" irreversibile. Non c’è paragone fra il Cielo e l’inferno, poiché noi siamo fatti per il primo e non per il secondo; ma c’è una capacità di rifiuto già attuata nel "demonio e i suoi angeli" e della quale l’amore di Dio stesso non può che prendere atto. All’opposto della comunione per la quale noi siamo fatti, l’inferno è la solitudine assoluta, l’abisso insondabile di una separazione eterna da Dio e da tutti gli altri.
Occorre sottolineare che la Chiesa, quando ha proclamato molte persone "beati" o "santi", non ha mai voluto dire niente di chi fosse dannato. La Chiesa, in effetti, deve riporre speranza per tutti: "La Chiesa prega perché nessuno si perda…Se è vero che nessuno può salvarsi da solo, è anche vero che "Dio vuole che tutti siano salvati" (1Tm 2,4) e che per Lui "tutto è possibile" (Mt 19,26)" - (CEC 1058).
Il fatto che il Cristo stesso si preoccupi di parlarci dell’inferno come di un rischio reale per noi, deve farci riflettere. Le sue affermazioni ci rivelano l’abisso della nostra stessa libertà che, perché capace del meglio, è anche capace di dire a Dio un "no" irreversibile. Non c’è paragone fra il Cielo e l’inferno, poiché noi siamo fatti per il primo e non per il secondo; ma c’è una capacità di rifiuto già attuata nel "demonio e i suoi angeli" e della quale l’amore di Dio stesso non può che prendere atto. All’opposto della comunione per la quale noi siamo fatti, l’inferno è la solitudine assoluta, l’abisso insondabile di una separazione eterna da Dio e da tutti gli altri.
Occorre sottolineare che la Chiesa, quando ha proclamato molte persone "beati" o "santi", non ha mai voluto dire niente di chi fosse dannato. La Chiesa, in effetti, deve riporre speranza per tutti: "La Chiesa prega perché nessuno si perda…Se è vero che nessuno può salvarsi da solo, è anche vero che "Dio vuole che tutti siano salvati" (1Tm 2,4) e che per Lui "tutto è possibile" (Mt 19,26)" - (CEC 1058).
5. La fine dei tempi e il giudizio finale
§ La differenza tra il giudizio particolare e il giudizio finale risiede nel fatto che il giudizio finale coincide con la fine dei tempi. Esso rappresenta la dimensione universale del giudizio. Il giudizio finale stesso sarà preceduto dalla venuta del Cristo nella gloria e dalla resurrezione (cf. Gv 5,28-29). Tutto il senso della storia sarà allora rivelato. Il giudizio finale interverrà con il ritorno glorioso del Cristo. Il Padre solo ne conosce il giorno, lui solo decide della sua venuta. Attraverso il Figlio Gesù-Cristo, pronuncerà allora la sua parola definitiva sulla storia. Conosceremo il senso ultimo di tutta l’opera della creazione e di tutta l’economia della salvezza, e comprenderemo i cammini mirabili attraverso i quali la sua Provvidenza avrà condotto ogni cosa verso il suo Fine Ultimo (CCC 1040).
§ Ciò che avverrà, allora, è quello che la Scrittura chiama "i cieli nuovi e la terra nuova" (Ap 21,1). Nelle immagini che ci presenta l’Apocalisse, colpisce vedere la dimensione comunitaria di ciò che è annunciato, così come l’insistenza sulla vittoria della Vita (Ap 21,2)
Di tutti questi punti, possiamo ricordare:
§ che la nostra intera vita, in un senso, è una preparazione alla morte
§ che allo stesso tempo non ne dovremmo sottostimare l’importanza e il valore, poiché tutto ciò che noi viviamo nella nostra vita sulla terra impegna per l’eternità.
§ che non sarebbe cristiano vedere nella morte il male assoluto: da un punto di vista cristiano, la morte è il momento in cui Dio chiama l’uomo verso di Lui. Essa è "nostra sorella morte corporale" (San Francesco d’Assisi)
§ che è legittimo, e non morboso, desiderare fin da ora come san Paolo "essere con il Cristo" (Fil 1,23), o ancora voler "vedere Dio", secondo l’espressione di santa Teresa d’Avila. Sarebbe piuttosto allarmante che non ci pensassimo mai e che ci lasciasse indifferenti.
"La vita cristiana intera è un’attesa. Il cristiano sa che è fatto per le cose più grandi…La vita cristiana è una vita nascosta. Ma, quando il mondo sarà ripiegato come una tenda, la realtà fino ad allora nascosta sarà manifestata. Per il cristiano questa vita consiste nel darsi poco a poco dei modi di vita divini. E l’educazione che si persegue fino all’ora della morte, perché tutta la vita umana non è che un’adolescenza, consiste, secondo la parola di Jean Guitton, "in questa disciplina attraverso la quale si prepara il bambino alla sua vita temporale, l’adulto alla sua vita eterna, perché ciò che egli vede egli abbia l’impressione di aver già visto".
Non bisogna che siamo spaesati arrivando in cielo. La nostra vita è un apprendistato. Si tratta di imparare i rudimenti di ciò che un giorno dovremo esercitare. Quindi cerchiamo già nella preghiera di balbettare ciò che sarà più tardi la "conversazione celeste" con Dio e i suoi angeli; quindi occorre sgrossare la nostra intelligenza così incollata al mondo dello spazio e del tempo e acclimatarla poco a poco alle cose divine con l’azione dei doni dello Spirito Santo; quindi la carità è l’inizio maldestro di quella comunione completa che riunirà tutti i santi. Così facendo, cominciamo a fare ciò che dovremo fare per sempre. E’ la nostra vera vita che si abbozza. Tutto comincia" (Card. Jean DANIELOU, 1905-1974).
Non bisogna che siamo spaesati arrivando in cielo. La nostra vita è un apprendistato. Si tratta di imparare i rudimenti di ciò che un giorno dovremo esercitare. Quindi cerchiamo già nella preghiera di balbettare ciò che sarà più tardi la "conversazione celeste" con Dio e i suoi angeli; quindi occorre sgrossare la nostra intelligenza così incollata al mondo dello spazio e del tempo e acclimatarla poco a poco alle cose divine con l’azione dei doni dello Spirito Santo; quindi la carità è l’inizio maldestro di quella comunione completa che riunirà tutti i santi. Così facendo, cominciamo a fare ciò che dovremo fare per sempre. E’ la nostra vera vita che si abbozza. Tutto comincia" (Card. Jean DANIELOU, 1905-1974).
+Jean-Pierre BATUT
Fonte: Ufficio catechistico Bergamo, via Papa Ratzinger blog
Una conferenza per ricordare ai Maestri nella Fede (i vescovi) le Verità che dovrebbero conoscere a menadito ed insegnare ogni giorno, ma che troppi di essi non conoscon più ed ancor meno insegnano!!!
RispondiEliminaMa questo non è uno "stato di necessità" come sostiene qualcuno. E' uno stato miserevole. Uno stato pietoso e lacrimevole.
Tuttavia non pensiamoci più di tanto. Tiriamo avanti allegramente tra battimani al suon di bonghi.
Antonello
ci si chiede come mai il Papa sta riproponendo ai fedeli - e si riconosce NECESSARIO riproporli ai Vescovi - i Fondamenti della nostra fede?
RispondiEliminanon solo i Novissimi negli ultimi 40 anni sono stati aboliti dalla catechesi ma anche la Madonna, gli Angeli, il sacramento della Confessione e il Rosario. Giovanni Paolo II dedicò ai Novissimi una lunga serie di udienze del mercoledì nel 1999 ma, forse, i vescovi di francia non lessero (e non leggono) l'Osservatore romano. Alessandro
RispondiEliminaCaro Alessandro,
RispondiEliminatemo che il problema non riguardi solo i vescovi di Francia: il vero problema - a parte la lettura e l'assimilazione delle catechesi del Papa - è "chi forma i formatori"?
Qualcuno ha eclissato il Maestro dei maestri, oltre che Signore?
Qualcuno comincia a mostrar un po' di coraggio? Certo è malinconico notar che questo coraggio l'hann'avuto più i "testardi" fedeli (pochi peraltro) che i cardinali, i vescovi ed i preti, salvo lodevoli eccezioni.
RispondiEliminaNella Parrocchia di appartenenza, al secondo anno di catechismo vengono insegnati e spiegati I Novissimi.
RispondiEliminaVengono ripresi ancora durante il corso di formazione alla Cresima.
Questa è la mia Testimonianza.
La Spe salvi è stato il segnale che si doveva ritornare a parlare dell'al di là. Personalmente ho avuto positivi riscontri del parlare ai giovani del purgatorio: molti lo credevano un'invenzione, ma poi non è stato difficile scoprirlo "logico", sensato, necessario. E soprattutto per nulla "facile": è vero che ci ci finisce almeno è sicuro di essere salvo, ma la "purga" non è indolore ed è GIUSTA, commisurata a quanto si avev ricevuto. Vale per cristiani e non, per gli embrioni congelati e per chi è morto durante lo tsunami, per chi muore dopo lunga malattia e per chi muore di morte improvvisa. Niente di ciò che precede quel passaggio andrà perduto. E, nella misericordia di Dio, il tempo di quel passaggio sarà quello necessario a rendersene conto.
RispondiEliminaMeno male che da Caterina emmerick, a Santa Caterina da Genova, a Maria Simma a San Padre Pio a Don dolindo Ruotolo oltre ai vari veggenti di Maria, non mancano "informazioni" di prima mano... E la gente è interessata, molto più che di tante argomentazioni che la Chiesa scimmiotta da campi con le competono (es. la psicologia).
Per la mia esperienza personale, posso testimoniare che sia il Paradiso che il Purgatorio, sono accettati senza problemi, dalla gran parte delle persone, con cui ho avuto la possibilità di parlare, mentre invece quando si parla dell'Inferno e della dannazione eterna, purtroppo, molti rifiutano di credere a questa verità di fede. Molti dicono che l'Inferno è in contraddizione con la Misericordia di Dio, questo perchè, nessuno ha insegnato loro, che le anime si dannano proprio perchè rifutano la Divina Misericordia e, si perdono eternamente per loro libera scelta. Secondo me quindi, occorre che vengano fatte molte catechesi sui novissimi, anche se purtroppo, inutile negarlo, anche molti sacerdoti e vescovi, non credono più nell'Inferno, nell'esistenza del Demonio e nella dannazione eterna, come ha testimoniato molto spesso anche Padre Amorth.
RispondiEliminaFinalmente il novelliere ci racconta una novella seria e che ci rende felici.
RispondiEliminaPurtroppo non è così nella stragrande maggioranza delle parrocchie: un parroco m'ebbe a dire che non si possono terrorizare i bambini parlando di dannazione e sofferenza purificatrice, e via con l'amore ecc. ecc.
Un altro prete (peraltro mio buon amico) a domanda rispose:
"Già, se si parla d'inferno e dannazione la gente non vien più alla Messa. Abbiamo tolto la Messa al p..... perché con lui i fedeli s'erano più ch dimezzati".
L'esperienza di padre, nonno, zio e docente (agli alunni Dante si deve spiegar anche con considerazioni religiose e teologiche) m'ha confermato, anche in sede d'esame di maturità ed in qualità di presidente di commissione ai concorsi a cattedre, il vuoto assoluto su determinati argomenti.
L'inferno POTREBBE ESSERE VUOTO, ma purtroppo è tale la possibile signoria di Satana su alcuni cuori e la perseveranza nell'errore (il peccato contro lo Spirito santo) da non poter essere perdonato neppure dall'Amore di Dio (che rispetta la nostra libertà, suo dono). Ma, a prescindere da questa amara e reralistia situazione, è davvero sconcertante il silenzio sulla situazione di chi la misericordia di Dio ha salvato, ma non è ancora del tutto libero dagli effetti del male causato in vita. Cioè, diciamo il credo, parliamo della comunione dei santi, ma non preghiamo più per le anime dei defunti, tutti presi dalle nostre autosalvezze. Quando qualcuno muore in quasi tutte le liturgie funebri lo immagina automaticamente in paradiso. Dopo morti sono tutti buoni... Ipocrisie... Invece quasi tutti avremo bisogno di preghiere, anche quelle di chi abbiamo ferito e maltrattato. Quale grande aiuto riceverebbe la Chiesa dall'immensa schiera di anime passate per le nostre parrocchie se non fossimo concentrati soltanto a "far gruppo" attorno a palloncini, animazioni e pastasciutte (il digiuno? e che cos'è?)
RispondiEliminaCARO ANONIMO
RispondiEliminati saro grato se potro avere un approfondimento circa la perseveranza dell' errore , peccare contro lo SPIRITO SANTO ...
GRAZIE .
Caro Vittorio,
RispondiEliminanel vogherese ogni casalinga sa che se errare è umano, perseverare è diabolico.
Se dunque, dopo aver magari deciso deliberatamente di rifiutare l'amore di Dio, averlo contrastato in chi lo adora e averlo rinnegato ed offeso in piena coscienza, posti di fronte all'ennesima prova della Verità della misericordia di Dio, si dovesse sprezzantemente rifiutarlesi, il nostro cuore, in cui dal concepimento c'è un genoma trinitario ed una scintilla divina, si atrofizzerebbe ed indurirebbe al punto da non avere più nè volume, nè trasparenza alla luce, nè tempo perchè possa forse determinarsene. Lì i giochi sono fatti: non c'è più nemmeno l'iper-dono, perchè non c'è più la volontà di ricevere regali. Lo spirito distruttore al posto di uello creatore, la menzogna che nega la realtà della verità, la bestemmia contro lo Spirito santo.
Chi può essere così stolto, così pieno di se stesso, così sviato, così arrogante, così invidioso, così disperato, così falso, così coerente con il proprio superbo orgoglio? Pare che ce ne siano, persino nel vogherese.
L'inferno non può esser vuoto perché lì sono stati precipitati gli angeli ribelli, ed inoltre non può dubitarsi della dannazione di Caino o di Giuda che si ammazzò per la disperazione, che è un peccato contro lo Spirito Santo.
RispondiEliminaAttenzione però: quando si parla di peccati contro o Spirito Santo si può cader nell'equivoco e nell'errore.
Gesù (Mt, 12,32) ha sì detto che chi ha sparlato contro lo Spirito Santo non sarà perdonato né in questa né nell'altra vita, ma Egli non alludeva ai peccati che comunemente si indicano oggi (meglio ieri) come peccati contro Lo Spirito Santo) e a tutti gli uomini. Gesù si riferiva alla colpa dei farisei, e non perché volesse dire che Dio non poteva e non voleva perdonare quella colpa, ma perché sapeva che essi avrebbero continuato a rstare ostinatamente nel peccato resistendo alla Grazia, rifiutando, cioè, l'aiuto dello Spirito Santo che poteva condurli al perdono.
Insomma, anche i peccati contro lo Spirito Santo posson esser perdonati, per quanto il peccatore si pone dinnanzi ad un rischio enorme: l'importante è che ci sia conversione e pentimento. E questo è possibile perché la Grazia è data a tutti nella misura sufficiente a riscattarsi.
Non si può pensare che Gesù si riferisse solo ai farisei di allora. Significa marchiare inutilmente e ingiustamente, come ha fatto un'apologetica improvvida e disinformata, un'intera categoria. Ma significa anche cancellare un ottimo argomento per la pastorale: oggi chiunque può essere il fariseo di allora, quindi può fare quel tipo di peccato.
RispondiEliminaEcco i 6 peccati contro lo Spirito Santo!
RispondiEliminaDisperazione della salvezza
Presunzione di salvarsi senza merito
Impugnare la verità conosciuta
Invidia della grazia altrui
Ostinazione nei peccati
Impenitenza finale.
CARO MAX .
RispondiEliminaTI PREGO DI SPIEGARE IL PECCATO RIGUARDO LA
DISPERAZIONE DELLA SALVEZZA ,
GRAZIE
Un Pastorelli...pastorale! Non voglio dire buonista, ma poco ci manca: del resto si sa che la misericordia di Dio, "la bontà infinita ha sì gran braccia,
RispondiEliminache prende ciò che si rivolge a lei".
Se Pastorelli mostra il suo volto misericordioso, per contrasto vediamo una Parrocchia d'altri tempi, quella del ... Novelliere! Oh gran bontà de' cavalieri antiqui! Che sia una novella? Nella duplice accezione, di racconto favolistico ... o di nuova legge.
D. MERCENARO
RispondiEliminaForse ieri mi sono espresso male, anche data l'ora tarda, ma, rileggendo, a me francamente, sembra chiaro.
Comunque mi sforzerò d'esser più esplicito.
Che Gesù si riferisca al peccato dei farisei non c'è dubbio ("conosciuto il loro pensiero... ecc.").
Come ho scritto, Egli non voleva affermare che chi sparla, e cioè bestemmia, contro lo Spirito Santo compie una colpa in assoluto irrimissibile: l'irrimessibilità era dichiarata per i Farisei di quell'episodio che Egli già sapeva non si sarebbero pentiti.
Pertanto quando scrivo "e non a tutti gli uomini" proprio questo intendevo: cioè che chiunque pecchi contro lo Spirito ma poi si pente può ottener misericordia.
Insomma, Gesù non vuole dire che tutti coloro che han commesso un peccato contro lo Spirito son condannati sic et simpliciter, escludendo ogni possibilità di redenzione che è lasciata poi al loro libero arbitrio.
Per cui gli uomini che, peccando contro lo Spirito Santo, si comportano come quei Farisei e non si pentono, ovviamente son condannati.
Ieri come oggi.
Inolte precisavo che per peccato contro lo Spirito non si devono intendere quelli così comunemente chiamati e che sopra sono stati riportati. Vi son altri peccati contro lo Spirito o che tali posson considerarsi.
Ricordo, ma chi può controlli, che il Palazzini nel suo Dizionario di teologia morale, ed. Studium, a cui appartiene la spiegazione ch'io do e che ricordo con precisione, come d'altronde ricordo d'aver letto anche in commenti a quel passo di Matteo, indicava tra queste colpe anche la bestemmia diretta contro lo Spirito Santo, la Trinità ed i peccati di malizia.
Io non m'invento nulla, ripeto una teologia conforme al Magistero.
RUTILIO
Non capisco la tua meraviglia. Non si tratta d'eser pastorali o buonisti: si tratta semplicemente di comprendere cosa sia il peccato e come l'uomo possa, per sua libera scelta, dopo averlo commesso, permanervi pertinacemente e dannarsi o pentirsi e salvarsi.
Non mi risulta che il Magistero di ieri e dei secoli passati abbia mai sostenuto tesi diverse.
Caro Prof. Pastorelli, non deve convincermi! La meraviglia era sui toni usati: la sua coerenza è geometrica, notavo però una dolcezza di tono (una vicinanza all'uomo), che sicuramente non guasta. Poi mi giovava nel contrasto con la "severa" - o seria, ma certo inconsueta - immagine data dal Novelliere riguardo alla sua parrocchia.
RispondiEliminaCaro Vittorio, devo premettere che non sono un teologo, ma molto spesso ho sentito parlare, ad esempio su Radio Maria, del peccato contro lo Spirito Santo, relativo alla "disperazione della salvezza", e può essere riassunto in questo modo: la disperazione della salvezza, significa che il peccatore non crede che Dio possa perdonarlo dei peccati che ha commesso, quindi dispera contro la Divina Misericordia. Praticamente è il peccato che ha commesso Giuda, il quale si impiccò, perchè, invece di andare a chiedere perdono a Gesù, ai piedi della Croce, preferì suicidarsi, ritenendo che la sua colpa non potesse essere perdonata. Questo è stato il più grande peccato che commise Giuda, perfino più grande di aver consegnato Gesù al Sinedrio, perchè per il tradimento che commise, avrebbe potuto essere perdonato, se si fosse pentito, mentre invece, non volendo credere che il Signore lo avrebbe perdonato e non pentendosi, commise il peccato di disperazione e si dannò.
RispondiEliminaCaro Vittorio spero di esserti stato utile!.
Cari tutti, sto riflettendo anch'io sul peccato di disperazione... Giuda era molto informato. Aveva una visione della realtà, diremmo oggi, a 360 gradi.
RispondiEliminaConosceva le Sacre scritture e quello che dicevano sulla Legge e sul messia atteso.
Stava da qualche anno con Gesù, per cui sapeva della moltiplicazione dei pani e dei pesci, della resurrezione di Lazzaro etc. Lo aveva sentito dire che “Lui e il Padre sono una cosa sola” e “chi conosce Lui conosce il Padre”.
Giuda conosceva la situazione miserevole dei poveri e fremeva per l’ingiustizia che pativano.
Conosceva anche gente importante al Tempio, con cui condividere dubbi ed attese. Conosceva gli zeloti, il movimento più ostile ai Romani, quelli che avrebbero voluto liberarsene.
Giuda è con tutti: con Dio, con l’umanità di Gesù, con i discepoli, con il Sinedrio, gli zeloti e i poveri.
Giuda che sceglie i “poveri” in realtà sceglie la sua idea di giustizia, che vale più di quella che intende Gesù-Dio. In fondo, per l'Iscariota, Gesù non è Dio, ma soltanto un “brav’uomo” dai talenti eccezionali ma con qualche idea strampalata, che mal si adatta con "la situazione reale". Una scelta materiale, dettata da filantropia,umanitarismo,politica, “concretezza”, “pragmatismo”. Essa ha un prezzo.
Giuda accettò il prezzo che il “mercato” proponeva: 30 denari, diciamo un mese di stipendio. Se il “tradito” ti ha parlato di Dio, ti si è mostrato una porta aperta verso Dio e lo vendi per un mese di stipendio, è chiaro che non Gli credi. Ti affascina, Lo ascolti, addirittura stai tra quanti Lo seguono, ma non Gli credi proprio.
Dunque il problema di Giuda non è di essere sollecito verso i poveri, il suo desiderio di giustizia o avere relazioni a 360°. Il suo problema è di non credere chi è Gesù.
E’ terribile l’inganno in cui può cadere la creatura: il vero “dio” sono io, che agirò meglio di Lui, ed anzi nel Suo nome, ma con i mezzi e gli strumenti dei potentati umani! Mammona è l’idolo a cui prostrarsi per sfamare chi, secondo le nostre prospettive, è nel bisogno, vedendo però unicamente quello materiale.
Giuda è “convertito”, cioè rivolto, dalla parte sbagliata rispetto al vangelo di Gesù. Non è che Giuda sia “cattivo”: è pur sempre uno degli apostoli!
Anche stando tra gli apostoli si può essere convertiti, ossia rivolti, altrove! In questo tragico abbaglio prende corpo il suicidio di Giuda. Perché non solo non ha creduto che Gesù fosse Dio, ma quando gli è salito il rimorso o il dubbio che invece Gesù lo fosse o che comunque fosse tremendo il tradimento perpetrato nei confronti di quell’uomo innocente e ora inchiodato ad una croce, lui, il Giuda che odiava le ingiustizie si è tolto la vita.
Ancora una volta non ha creduto alla misericordia e al perdono, ma solo alla “materia”: all’etica, alla giustizia umana che stavolta condanna lui stesso. Giuda non vuole essere salvato, ma vuole salvarsi da solo. Non si ritiene malato, ma sano e giusto. Giuda non è umile! Non ha pensato alla vita eterna, ma solo a questa.
E non si converte. Persevera diabolicamente. Ha i suoi “idoli”: i poveri, la giustizia umana, la Legge, il denaro, il suo popolo. Tutte cose “buone”, ma che non sono fiduciosamente rivolte a Dio.
Perciò non si affida alla Sua misericordia. Più che piangere amare lacrime di pentimento, conosce la disperazione. E’ difficile essere perdonati senza volerlo essere.
La tentazione è grossa. Dio permette che talvolta noi si sia messi alla prova, perché l’amore viene vagliato dalle circostanze e quello del Padre è fedele fino alla morte di croce.
Il rischio per tutti, soprattutto quelli informati a 360 gradi, è altissimo: liberaci o Padre nostro dal male!
CARO RUTILIO,
RispondiEliminale mie asprezze son contro il male o contro i provocatori di professione.
Per indole, per tristi esperienze di vita, specie fanciullesca e adolescenziale, per professione, e non si scordi che son pure padre e nonno, normalmente son dolcissimo (MI DICONO CHE SON TRE VOLTE BUONO...) e portato più a comprendere che a condannar le persone che cadono per debolezza, anche quelle che m'han fatto male, tanto. Ma sui principi son fermissimo.
caro MAX
RispondiEliminaTI RINGAZIO ASSAI PER TUTTO .
CREDO SIA IMPOSSIBILE PER UN BUON CRISTIANO ARRIVARE A TANTO .
SIAMO TUTTI PECCATORI E GESU SI E FATTO UOMO PER NOI , PER SALVARCI .
PERO ', A PROPOSITO , MAI DIRE MAI , FINORA E' ANDATA BENE E CREDO ANCHE A TE ....
GRAZIE
VITTORIO
Non si deve confondere la disperazione - che è l'opposto della Speranza, virtù teologale, ed è un peccato contro di essa, un peccato contro lo Spirito Santo ed anche contro la Fede da cui ssppiamo che Dio ci vuol salvi e che Cristo ci ha riscattati e continua a farlo - con il timore di non raggiungere la beatitudine a causa della nostra debolezza e dei nostri peccati. Dobbiamo sempre tener presente che Dio ci dà i mezzi necessari ad adempiere a tutti i suoi precetti ed a conseguir la vita eterna.
RispondiEliminaLa sfiducia circa le nostre capacità di raggiungere la salvezza, in sé non è colpa grave: lo diventa, perché perniciosa e porta all'ignavia paralizzando ogni nostro sforzo di miglioramento nella bontà, se diventa una paura eccessiva che va combattuta correggendo in modo sapiente uno smoderato e malinteso timore della giustizia di Dio, sviluppando l'abbandono - che non sia lassismo - nella misericordia di Dio, ed anche ricordandoci che i peccati commessi, per quanto gravi, se perdonati in seguito a pentimento e assoluzione sacramentale, non son più causa di perdizione.
Le difficoltà che incontriamo nella via della santificazione, insomma, devono esser la molla per progredire in tutta umiltà, consapevoli dei nostri limiti, ma senza cadere in un'inerzia rinunciataria o nella rabbiosa disperazione.
La nostra religione questa Speranza ce la impone. Il Vaticano II (una volta lasciatemelo citare!) scrive nella Gaudium et Spes, al n. 21, che senza la base religiosa e senza la Speranza, la dgnità della persona umana è ferita in modo capitale, ed oggi, continua, si constata che i problemi della sofferenza, del peccato, della vita e della morte restano senza soluzione : da qui la disperazione.
Illustre e caro professor Pastorelli,sarebbe sbagliato dirla cosi':bisogna evitare la Scilla del quietismo a la Cariddi del giansenismo?A meta' strada troveremmo la regina delle devozioni,quella al Sacro Cuore di Gesu',che ci ispira sentimenti di pentimento e riparazione,fiducia illimitata e fruttuoso riscatto.Grazie.A latere,non Le sembra distorta la visione che vien data della religiosita' ante synodum:legalistica,rigoristica e vetero-testamentaria?Io,che di anni non ne ho pochi,me la ricordo fermissima col peccato,ma dolcemente materna col peccatore.Con tanta stima.Eugenio
RispondiEliminaP.S.Proprio oggi si festeggia un caro "avanzo" di quella religiosita':la Beata Vergine del Monte Carmelo,purtroppo declassata a "memoria facoltativa".Indossiamo tutti il Santo Scapolare!Eugenio
RispondiEliminaGARO ANONIMO EUGENIO
RispondiEliminati ringrazio per quello che dici qui sopra .
veramente , la devozione al SACRO CUORE DI GESU
è il baluardo di ogni CRISTIANO . La debolezza della condizione umana , che non ci permette di vivere senza peccato trova in LUI la LA VERA MEDICINA E SALUTE per la salvezza delle anime .
VITTORIO
Né Quietismo né Giansenismo, d'accordo, anche se io non mi sono addentrato nel complesso aspetto teologico e morale, nell'eresia dell'uno e dell'altro movimento, perché non è questo il luogo e, soprattutto, per me sarebbe un arrogarmi conoscenze superiori alle effettive.
RispondiEliminaNel cmpo morale precipitano il primo, specie col molinosismo, nell'edonismo e nella sensualità più sfrenati che sarebbero conciliabili con un (falso) misticismo che nega l'ascesi, e quindi lo sforzo volontario umano di "ascendere" appunto; l'altro nel pessimismo più cupo e terrorizzante determinato dalla disperazione di polter migliorare la natur umana gravida di peccato e dalla predestinazione, escludente ogni considerazione di eventuali meriti e demeriti: la morte di Cristo è riservata solo ai prescelti cui solamene tocca la grazia efficace.
EUGENIO, dimenticavo: io son tutto fuor che illustre.
RispondiEliminaDante Pastorelli:tanto nomini nullum par elogium!Eugenio
RispondiEliminaA Vittorio.Papa Ratti disse che la devozione al Sacro Cuore non e' una semplice devozione,nemmeno la "regina delle devozioni",ma la quintessenza del culto cattolico,finalizzato ad onorare Dio fatto Uomo.Aderire ad Essa,coltivarla,diffonderla e'sinonimo di sicura ortodossia,pegno di favori terreni e celesti,segno di sicurissima predestinazione.Eugenio
RispondiEliminaDi don Pastorelli apprezzo molto i riferimenti storici e teologici. Eppure è facile vedere i difetti degli altri con 300 anni di distanza. Meno facile è vedere il nostro quietismo e il nostro giansenimo.
RispondiEliminaAi libroni di teologia morale, che chiudono le porte che dovrebbero aprire e aprono quelle che dovrebbero chiudere, io preferisco la solare speranza di un Giovanni 23° e della Gaudium et Spes.
CIAO EUGENIO
RispondiEliminaGRAZIE PER LA TUA EMAIL .
NON SAREBBE MALE SE SE PARLERA' NEL FUTURO SU QUESTO SITO .
SAPEVO DIVERSE COSE DEL SACRO CUORE , MA NON L ' AFFERMAZIONE DI PIO XI .
VITTORIO
A Don Mercenaro, se legge, dico che il Prof. Pastorelli è tante cose ma non è "Don": è padre (anch'io lo sono) e nonno, come ha ricordato in un post a me diretto, ieri alle 20,40 (peraltro non credo che sia, come dice in quel post, tre volte buono: a Roma significa fesso, e proprio non lo è).
RispondiEliminaMi si perdoni la battuta, ma è un cattolico del dopo Concilio, ne sa più di tanti "Don"! La differenza è che molti di tali laici cattolici post-conciliari studiano in scuole di teologia per poter fare le pulci alla Chiesa, lui per essere cattolico. Non lo conosco personalmente e quindi il mio parlare è solo volto ad onorare il vero.
A tutti una preghiera, di conformarsi all'etichetta del web e di non scrivere in maiuscolo!
DON MERCENARO, io non son "don", ma, come ho più volte detto, marito, padre e nonno: vabbé che oggi...
RispondiEliminaIl quietismo ed il giansenismo non sono stati condannati con 300 anni di ritardo! Le tesi del Fenelon (quietismo moderato) furono condannate da Innocenzo XII nel 1699, quelle del Molinos (quietismo estremo) nel 1687 da Innocenzo XI.
Quanto al Giansenismo, già il baianesimo cui si rifaceva, fu condannato da S. Pio V (1567), mentre le proposizioni di Giansenio ad opera dell'Inquisizione e dell'Indice a partir dal 1641 e di vari papi (Urbano VIII, Innocenzo X, Alessandro VII se non vado errato: controlli, e mi corregga per piacere) si trovano facilmente sul Denzinger.
Nei libroni di teologia dommatica e morale, almeno quelli di cui mi son servito, di grandi autori e fedeli serviori della Chiesa, non vedo né giansenismo né quietismo, ma la verità sempre professata.
Giovanni XXIII e Gaudium et Spes?
La Speranza non esiste senza la purezza della Fede e senza la carità: non sono quel papa e quel concilio che hann'insegnato a chi aprire le porte e a chi chiuderle.
Non nasce con loro la missionarietà della Chiesa e, tnto meno, la Chiesa stessa. Si aprono, come sempe si sono aperte, le porte a coloro che voglion incontra la verità, si chiudon ai lupi ed agli eversori.
E' questa la missione della Chiesa, non un facile buonismo ed un'apertura scriteriata ad ogni favola umana.
SIG RUTILIO NAMAZIANO
RispondiEliminacredo sia l' unico a scrivere con caratteri maiuscoli in questo sito . me lo rimproverano tutti a giro , i miei amici e quelli di casa . Mi creda lo faccio solo per distrazione e non perche voglia urlare o mettermi in risalto , non ci penso proprio . inoltre per la lettura lo trovo piu comodo , e' una cosa mia .
con amicizia
VITTORIO
Oggi però, senza negare le cose che tu dici, caro Dante, ci vuole un nuovo tipo di essere missionari.
RispondiEliminaOggi il missionario deve prima convertirsi psicologicamente e culturalmente all'indigeno e poi, forte di questa vivinanza, entrambi si convertono a Cristo.
LOGOS DISCONOSCIUTO
RispondiEliminaforte di questa vicinanza, entrambi si convertono a Cristo
!!!
Già, come dire che l’alunno deve insegnare al maestro, è così che si
teorizza oggi ( ma da 4 decenni, purtroppo! )
Cioè: sarebbe chi non ha la Verità che può portare alla Verità…
E il missionario deve convertirsi attraverso il non-credente?
Prima abbracciare l’errore, poi entrambi gli erranti possono
camminare verso la Verità:
e per quale Via, di grazia, se entrambi l’hanno smarrita?
Come se gli dicessimo (al missionario, che una volta era GIA’ FORTE
di Gesù Cristo-Verità):
“Tu, che dici di essere nella Luce, vieni qui da me al buio:
poi insieme, entrambi nel buio, cercheremo – a tentoni –
la Luce!”
Ma….io dico:
benedetto Logos, dove sei?
Veramente ti abbiamo cacciato via dalle nostre menti
e della nostra storia!
Veramente bisogna ricordare quel che Tu lamenti, rivolto al tuo popolo conterraneo 2000 anni fa,
e rivolto oggi e sempre a tutti quelli che Ti hanno
conosciuto e Ti vogliono dimenticare,
per “amore” degli erranti, dicono loro!
Dovremo ricordare allora queste Tue parole
(per bocca di S. Giovanni):
”Veniva nel mondo la Luce vera, quella che illumina ogni uomo.
Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, eppure il mondo non lo riconobbe.
Venne fra la sua gente, ma i suoi non l'hanno accolto.” (Gv. 1, 9-11)
Giovanna
Forse sarebbe il caso di chiarire
RispondiEliminaquesto consiglio/metodo di
"convertirsi psicologicamente e culturalmente" al non credente o diversamente-credente:
sarebbe il caso di spiegare, sempre a vantaggio dei fedeli
disorientati da mille variegate esegesi, che cosa voleva dire S. Paolo con quella nota
autobiografica sul proprio apostolato:
"Mi son fatto tutto a tutti, per riuscire a salvarli tutti",
che spesso può essere male intesa,
sempre in nome del dialogo.
Aspetto una dotta chiarificazione
dal prof. Pastorelli.
La Gaudium et Spes del Papa Buono,e quel che ne e' seguito?Tutte belle cose,prese ciascuna a se',ma l'itinerario dove ci ha portato?Una strada lastricata di buone intenzioni..........Il fine di tutto(anche della Chiesa,del Papato,della Liturgia,della Teologia,di tutte le nostre chiacchiere)e'solo questo:la gloria di Dio e la salvezza delle Anime.Ebbene,se secondo voi si e' guadagnata una sola anima in piu'col nuovo corso conciliare e se con esso e' stata data un'oncia in piu' di gloria a Dio Uno e Trino,ebbene:Viva il Concilio,Viva Martini,Viva Enzo Bianchi,Dossetti e Bugnini.Se no,certe persone farebbero bene a tacere,ruminando in se' il tremendo castigo di un Dio misericordioso si' cogli umili ma tremendamente ,molto tremendamente ,giusto cogli empi e coi superbi.Eugenio
RispondiEliminaCara Patrizia,
RispondiEliminaportare la fede e la Chiesa cattolica (in due parole: Cristo crocifisso) non significa portare l'Occidente (oggi) o l'Europa (ieri) o il mondo latino (ieri l'altro e sempre).
Chi ha studiato la storia della Chiesa, particolarmente dal XVI al XIX secolo, sa quanti danni sono stati fatti per non riuscire a separare i due aspetti (umano, politico e culturale rispetto a quello propriamente religioso) inevitabilmente presenti nel missionario. Senza una profonda inculturazione ed una vicinanza all'uomo cui ci si rivolge, non ci si può fare "tutto a tutti", come ricorda San Paolo. Ho avuto la fortuna di conoscere tanti missionari (bravi missionari), innamorati di Cristo e dell'uomo e credo di poterlo dire senza il timore di essere considerato "modernista". Le etichette, poi, vanno prese con le pinze, perché la realtà è sempre più grande delle gabbie in cui vorremmo limitarla.
d. mercenaro ha detto...
RispondiEliminaOggi però, senza negare le cose che tu dici, caro Dante, ci vuole un nuovo tipo di essere missionari.
Oggi il missionario deve prima convertirsi psicologicamente e culturalmente all'indigeno e poi, forte di questa vivinanza, entrambi si convertono a Cristo.
16 luglio 2009 23.20
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In sostanza, il missionario si deve convertire ad es. all'animismo, al politeismo, culturalmente e psicologicamente, accettarli, farli propri, immedesimarsi in essi (fare anche sacrifici umani?), e poi ritrovare Cristo insieme? E come, se nel frattempo si è abbracciata un'altra religione?
Mah, gli apostoli furono mandati a portare Cristo a tutte le genti ma non fu detto loro di adeguarsi psicologicamnte e culturalmente alle false credenze delle genti per poi tornare a Cristo.
Il Suo, don Mercenaro, è un suggerimento tipico del sincretismo allo stato puro, ammantato di psicologismo ed antropologismo à la page.
Diverso è affermare che il missionario deve capire la civiltà altrui e proporre Cristo dopo aver studiato la mentalità di determinati popoli trovare la strada più efficace per convertirli.
Insomma, se un missionario vuole convertire una prostituta, che fa, va a prostituirsi con lei in un bordello, per poi convertirsi insieme a Dio? Alla card. Danielou?
Sig. Pastorelli, io affermo proprio che il missionario deve capire, dopo aver studiato la mentalità di determinati popoli trovare la strada più efficace per convertirli.
RispondiEliminaMa capire non è solo studiare, è di più: immedesimarsi e offrire la propria attenzione all'Altro, mettendo da parte i pregiudizi PSICOLOGICI E CULTURALI personali, non certo la FEDE in Gesù Cristo.
Ingenerosi sono i suoi commenti sul grande cardinale Danielou: l'episodio della morte è stato chiarito.