Nella Lettera ai Vescovi del 7 luglio 2007, Papa Benedetto XVI presentando il motuproprio Summorum Pontificum, affermava che la necessità di una nuova e più ampia facilitazione nell’uso della liturgia ante riforma era causata non solo da un aumento quantitativo della domanda, ma soprattutto al fatto che questa domanda non è circoscrivibile a pochi nostalgici legati al rito della loro infanzia – e come tale destinata a scomparire in breve -, poiché, al contrario, «nel frattempo è emerso chiaramente che anche giovani persone scoprono questa forma liturgica, si sentono attirate da essa e vi trovano una forma, particolarmente appropriata per loro, di incontro con il Mistero della Santissima Eucaristia». Il libro che ci accingiamo a presentare non fa che confermare la bassa età media di coloro che sono legati alle celebrazioni more antiquo: gli autori sono nati tra il 1977 e il 1985 e il loro manuale si rivela utile non solo ai chierichetti, ma anche ai sacerdoti che desiderano celebrare con l’antico messale (o forma straordinaria del rito romano), poiché anche molti di costoro in gran parte sono nati dopo o poco prima della riforma liturgica – mentre i più anziani spesso non comprendono il giovanile entusiasmo per qualcosa che ritenevano definitivamente archiviato... Il libro si apre con la Prefazione (p. 7) del cardinal Darío Castrillón Hoyos, presidente della Pontificia Commissione Ecclesia Dei, il quale, ricordando la piena legittimità di una liturgia che per secoli ha alimentato la spiritualità di innumerevoli santi, afferma che «è possibile ritenere che il rito antico esprimesse meglio il senso del sacrificio di Cristo che è rappresentato in ogni Santa Messa» (Ibidem). Nell’Introduzione (pp. 9-12) gli autori sottolineano molto opportunamente come la posta in gioco travalichi l’ambito strettamente liturgico, per legarsi alla più ampia questione della corretta ricezione del Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965) e del magistero in genere. L’argomento è ripreso nel primo capitolo, La liturgia (pp. 13-27), evidenziando la continuità del Vaticano II con il magistero precedente, anche in ambito liturgico. Tuttavia, per mano di una minoranza si è diffusa capillarmente l’errata idea che il Concilio rappresentasse una «novità assoluta, preludio di un nuovo cristianesimo» (p. 22), fino a confondere gli abusi liturgici con la riforma liturgica, anzi prendendo a pretesto quest’ultima per una ideologica lotta contro il passato. Al contrario, «nella storia della Liturgia c’è crescita e progresso, ma nessuna rottura. Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso» (Lettera di Benedetto XVI ai Vescovi, 7 luglio 2007, cit. a p. 25). Il secondo capitolo descrive I libri liturgici (pp. 29-43) – che costituiscono inoltre, dal punto di vista materiale, un sottovalutato tesoro dell’arte cristiana grazie al prezioso lavoro dei monaci. Il primo ovviamente è la Bibbia, i cui libri canonici furono stabiliti proprio in funzione dell’uso liturgico, e man mano che si fissavano le varie orazioni e antifone vennero fuori anche i vari Sacramentari, l’Antiphonale, l’Epistolario, il Graduale e l’Evangeliario, ciascuno destinato ad un diverso ministro (vescovo, presbitero, diaconi, coro); col diffondersi della messa bassa, in forma meno solenne, furono tutti raccolti per comodità nel messale che è tuttora il principale libro liturgico. Accanto al Messale c’è il Breviario che mediante la recita di salmi, cantici e letture, santifica e scandisce le varie ore della giornata. Dopo aver descritto gli altri libri – il Rituale, contenente le formule dei sacramenti e dei sacramentali, il Pontificale e il Cerimoniale dei Vescovi, e il Martirologio – gli autori concludono il capitolo parlando della lingua in cui questi sono scritti: la lingua latina, che «è garanzia di universalità e, nello stesso tempo, ci ravviva l’unione con le radici della nostra Tradizione liturgica, teologica e spirituale» (p. 42) e che, insieme al silenzio, esprime adeguatamente lo stupore e la riverenza che colgono l’anima a colloquio con Dio. Il terzo capitolo è dedicato ai Ministri della liturgia (pp. 45-64), istituiti da Gesù Cristo «affinché fosse predicata la verità, venissero rimessi i peccati, scacciato il male e celebrata la Messa, rinnovazione sacramentale del Sacrificio della Croce» (p. 46). Segue la descrizione dei vari ministri sacri e dei rispettivi ruoli nella liturgia, ma anche un interessante paragrafo dedicato ai christifideles laici in cui gli autori osservano come «uno degli aspetti più deleteri degli ultimi decenni sia la laicizzazione dei presbiteri e la clericalizzazione dei laici» (p. 61), i quali spesso sono convinti che il proprio apostolato consista essenzialmente nell’andare a leggere in chiesa... Abiti, paramenti sacri e colori liturgici costituiscono l’oggetto del quarto capitolo (pp. 65-81). Benché nei primi secoli non si usassero vesti propriamente liturgiche, «è facile e logico supporre che i vestiti usati all’altare non si usassero nelle altre occupazioni quotidiane» (p. 65); in ogni caso nel secolo VI la distinzione tra abito secolare e abito liturgico è visibile anche nei mosaici di San Vitale a Ravenna. Il capitolo non si limita alla semplice descrizione, ma costituisce l’occasione per riscoprire i significati tuttora attribuiti ai vari paramenti, espressi dalle preghiere relative a ciascuno di essi – ad esempio la pianeta o casula, rivestendo la quale il sacerdote prega (o dovrebbe pregare) così: «O Signore che hai detto: il mio giogo è soave e il mio carico è lieve: fa che io possa portare questo in modo da conseguire la tua grazia. Così sia» (p. 73). Il breve capitolo dedicato a La chiesa (pp. 83-86), ripercorre le varie tipologie di edificio sacro susseguitesi nei secoli. Al di là dei differenti stili e soluzioni architettoniche, «fin dai primi secoli, nella tradizione orientale e occidentale, le chiese erano ubicate in modo che il celebrante, nel Santo Sacrificio della Messa, guardasse verso Oriente: simbolo della Creazione, della Risurrezione, e luogo da cui il Sole di Giustizia verrà per la seconda volta. Il sacerdote, rivolto insieme ai fedeli verso il Signore, li guida all’incontro con Cristo Risorto» (p. 85). Alle pp. 87-99 gli autori parlano di Canto e musica sacra (sesto capitolo), offrendo – oltre ad alcune norme pratiche per le Messe nella forma straordinaria - un breve riepilogo del magistero pontificio in materia, da san Pio X (1903-1914) al Concilio Vaticano II che riservava un ruolo chiave al canto gregoriano (Sacrosantum Concilium, n. 116) – misteriosamente sparito da tante celebrazioni post-conciliari e sostituito da musica di intrattenimento, senza tener conto della natura del canto sacro, che è «il linguaggio degli Angeli e sarà un giorno quello degli eletti nella Gerusalemme celeste» (p. 87). Dopo il brevissimo settimo capitolo – L’anno liturgico (p. 101) -, l’ottavo spiega dettagliatamente La Santa Messa (p. 103-113), arricchendo la chiara esposizione degli aspetti più «tecnici» - quali le differenze tra Messa letta, cantata, solenne, ecc. o i vari momenti del rito – con «qualche considerazione per poter vivere in pienezza il più sublime dei Miracoli» (p. 105) - che può risultare utile per comprendere meglio anche le corrispondenti fasi della Messa nella forma ordinaria. Qualunque sia la forma della celebrazione, infatti, «il Celebrante è avvolto dalla luce soprannaturale. È Gesù che circonda con il suo Corpo il Ministro: il Salvatore prende a prestito le mani, la voce, del suo servo per rinnovare il Sacrificio. In virtù delle parole consacratorie e per la potenza dello Spirito Santo, l’ostia non è più pane ma diventa il vero e reale Corpo di Cristo. Il Sacerdote pronuncia quindi le parole sul vino. Cristo glorioso è vivo e vero sotto entrambe le specie. Dal calice glorioso trabocca il Sangue vivo di Cristo!» (p. 110). Con il nono capitolo - Il Vespro solenne (pp. 115-116) - si conclude questa lunga sezione «introduttiva» e inizia il decimo e ultimo che tratta del Servizio della Messa (pp. 117-266). A questo punto lasciamo alla curiosità del lettore questo ampio capitolo che occupa oltre metà delle pagine totali ed è diviso in tre parti, costituendo quasi un libro nel libro nonché l’argomento principale del testo – non senza segnalare però alcune particolarità: ad esempio le pagine relative alla celebrazione nelle chiese concepite o ammodernate secondo le esigenze (vere o presunte) della riforma liturgica. Altrettanto degna di nota è la realistica raccomandazione dell’uso del microfono, che non è strumento del diavolo come qualcuno erroneamente crede… «Non è un caso che le chiese antiche fossero costruite in modo tale da conseguire, con i mezzi dell’epoca (forma dell’abside, baldacchini, ampiezza dell’ambiente, ecc.), la massima amplificazione delle parole o del canto dei ministri dell’altare. I microfoni non fanno altro che ottenere in maniera più comoda e con mezzi moderni il medesimo effetto cui si mirava in passato« (p. 139, nota 290). Parimenti non possiamo fare a meno di ricordare soprattutto al clero che «il piattello [per la comunione dei fedeli] è obbligatorio anche alla Messa di rito romano ordinario» (p. 147), «per evitare che la sacra ostia o qualche suo frammento cada» (ibid., nota 307), come tuttora raccomanda l’Istruzione Redemptionis Sacramentum - emanata dalla Congregazione per il Culto Divino nel 2004, e non nel 1962! Nella Postfazione (p. 267) padre Konrad zu Löwenstein - sacerdote della Fraternità Sacerdotale San Pietro e Cappellano della Chiesa di San Simeon Piccolo a Venezia – offre un breve e intenso riepilogo della sostanza Santa Messa, confermando ancora una volta che dietro l’attenzione ai piccoli e grandi dettagli della liturgia non si celano affatto ansie rubricistiche, poiché «i numerosi segni di croce, gli inchini, le genuflessioni e tutti i gesti rituali esprimono e richiedono il debito raccoglimento, la riverenza, la pietà e la devozione dei presenti, mentre in mezzo a noi la realtà eterna, per la misericordia infinita di Dio, prende forma attualizzandosi. E l’altare, le candele, il santuario, l’ora e il giorno scompaiono, e noi misticamente ci troviamo di nuovo alle tre di pomeriggio sull’altura del Golgota: il sole eclissato, il cielo oscurato, la terra scossa, mentre il Preziosissimo Sangue sgorga dalle ferite adorabili e sacralissime del Salvatore per scorrer giù per il legno della Croce sulle teste di noi miserabili peccatori!» (Ibidem).
Stefano Chiappalone
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