L’altro ieri il Papa ha pronunziato l’abituale discorso alla Curia per gli auguri natalizi (leggilo per intero cliccando qui). E’ una sorta di consuntivo dell’attività dell’anno e rappresenta un po’ il "discorso della Corona", nel quale si tratteggiano i grandi orientamenti del pontificato. Ricordiamo come fu nel primo dei suoi discorsi ‘natalizi’ che Papa Benedetto censurò, capovolgendo un’opinione fino allora di fatto dominante, l’interpretazione del Concilio come rottura e discontinuità rispetto alla Chiesa preconciliare.
Quest’anno, nella sua ponderosa allocuzione, ha toccato due punti significativi: il senso delle Giornate Mondiali della Gioventù e l’ecologismo (che il Papa a sua volta riconnette, ed è davvero un coup de théâtre magistrale, alla difesa della famiglia come espressione di un habitat umano di natura) . Si tratta di due temi che, talvolta, incontrano scetticismo negli ambienti tradizionalisti. Lo diciamo come constatazione, senza in realtà comprendere bene perché l’ecologia debba essere una preoccupazione estranea a taluni tradizionalisti. Anzi. Da "conservatori", dovremmo essere ancor più interessati al mantenimento delle ricchezze della natura e ad un ritorno a rapporti più armonici con il creato. Ma non divaghiamo...
Sulle Giornate della Gioventù (mondiali, nazionali, diocesane o perfino parrocchiali) le ragioni di riserva sono molto, molto più fondate. Si tratta di manifestazioni che, secondo parecchi osservatori, hanno un impatto solo superficiale sui partecipanti. Non abbiamo il riferimento, ma ci sembra di ricordare che fosse stato l’allora cardinale Ratzinger (un vero "grillo parlante" rispetto a certi entusiasmi un po’ ingenui del pur grande Giovanni Paolo II: chi non ricorda le aspre critiche degli incontri di Assisi?) a dire che certi eventi riempiono le piazze, ma svuotano le chiese. E infatti fin da quando è diventato Papa ha prima snobbato, poi definitivamente abolito quei concertoni nazional-popolari che si organizzavano regolarmente in Vaticano con sfilata di cantanti e celebrità. La nostra ammirazione, per quanto vale, nei confronti di Papa Ratzinger è schizzata alle stelle...
Quest’anno, nella sua ponderosa allocuzione, ha toccato due punti significativi: il senso delle Giornate Mondiali della Gioventù e l’ecologismo (che il Papa a sua volta riconnette, ed è davvero un coup de théâtre magistrale, alla difesa della famiglia come espressione di un habitat umano di natura) . Si tratta di due temi che, talvolta, incontrano scetticismo negli ambienti tradizionalisti. Lo diciamo come constatazione, senza in realtà comprendere bene perché l’ecologia debba essere una preoccupazione estranea a taluni tradizionalisti. Anzi. Da "conservatori", dovremmo essere ancor più interessati al mantenimento delle ricchezze della natura e ad un ritorno a rapporti più armonici con il creato. Ma non divaghiamo...
Sulle Giornate della Gioventù (mondiali, nazionali, diocesane o perfino parrocchiali) le ragioni di riserva sono molto, molto più fondate. Si tratta di manifestazioni che, secondo parecchi osservatori, hanno un impatto solo superficiale sui partecipanti. Non abbiamo il riferimento, ma ci sembra di ricordare che fosse stato l’allora cardinale Ratzinger (un vero "grillo parlante" rispetto a certi entusiasmi un po’ ingenui del pur grande Giovanni Paolo II: chi non ricorda le aspre critiche degli incontri di Assisi?) a dire che certi eventi riempiono le piazze, ma svuotano le chiese. E infatti fin da quando è diventato Papa ha prima snobbato, poi definitivamente abolito quei concertoni nazional-popolari che si organizzavano regolarmente in Vaticano con sfilata di cantanti e celebrità. La nostra ammirazione, per quanto vale, nei confronti di Papa Ratzinger è schizzata alle stelle...
Le Giornate della Gioventù, poi, possono essere, e purtroppo sono, occasione di sperimentazioni liturgiche sfrenate, che trovano pretesto nella necessità di tener conto di adunate oceaniche, di legioni di concelebranti, di tendoni e altaroni posticci, non di rado di balli e danze "etniche". E di un ethos da concerto soft-pop (non rock, come pur scrive il Papa: sarebbe un complimento). Tutto ciarpame sul quale dettava legge, felice e appagato, il non rimpianto ex maestro di cerimonie mons. Piero Marini.
Ma con tutto ciò, sarebbe espressione di una mentalità codina e bigotta, e in fin dei conti irragionevole, rifiutare questo tipo di incontri. Essi hanno un’indubbia capacità di mobilitare e attirare tanti ragazzi e possono essere un formidabile strumento di evangelizzazione, se non si limitano ad una kermesse fine a se stessa, una Woodstock (cattolica, almeno nelle intenzioni) che non trasmette i fondamentali della fede e il rispetto della liturgia. Tutto sta, come per ogni cosa, nell’approccio giusto. E Papa Benedetto sa che cosa fare: alla Giornata mondiale di Colonia del 2005 (quando tutti gli osservatori si chiedevano con scetticismo come questo timido e anziano professore universitario tedesco avrebbe mai potuto confrontarsi col rapporto di Giovanni Paolo coi suoi papaboys) si piazzò per un tempo "televisivamente" interminabile in silenziosa adorazione del Santissimo Sacramento. Sembrava assurdo. Ma poiché i "ggiovani" non sono poi così scemi come in fondo se li figurano i propugnatori (sessantenni!) di tanti atteggiamenti superficialmente giovanilistici, i presenti apprezzarono e fecero come il Papa: in silenzio pregarono e adorarono!
E come scrive argutamente Rodari "La Gmg diocesana di quell’anno [2007 a Roma] non fu più una festa con canti e balli da consumarsi sul sagrato di piazza San Pietro, quanto un momento penitenziale da svolgersi all’interno della basilica vaticana. Al centro dell’appuntamento, insomma, non c’erano più i balli e i girotondi dei boy scout, le canzoni tutte pop and faith di Gen Rosso e compagnia. Bensì le parole del Pontefice pronunciate dall’altare della basilica e, nelle navate laterali, i confessionali tutti appositamente "aperti" per ospitare i ragazzi desiderosi di penitenza, riconciliazione, privata confessione. Anche perché, canti, balli e momenti di evasione, i cosiddetti giovani hanno sempre saputo dove e come andarseli a cercare, senza bisogno della Chiesa". Osservazione, quest'ultima, talmente ovvia che molti se ne erano dimenticati!
Ora, nel far gli auguri alla sua Curia, il Papa ha teorizzato questa indispensabile teocentricità delle Giornate della Gioventù: vuole non dico infondere un’anima che prima queste manifestazioni non avevano (ché una frase del genere sarebbe ingenerosa per il fondatore di tali eventi, Papa Woitila), ma sicuramente rafforzarne l’aspetto mistico, trascendente e sacramentale. Solo così troveranno la loro piena funzione ecclesiale. E, come già avvenne in quella strabiliante adorazione silenziosa così ‘antiquata’ e ‘fuori luogo’, qualcosa (forse la nostra vicinanza anagrafica ai ‘giovani’) ci dice che l’appello del Papa raggiungerà quei ragazzi: è uscito ad esempio un comunicato dei Papaboys, che saluta quelle parole come ‘ben accette e stimolanti’. E non dimentichiamo che hanno partecipato all'ultima Giornata mondiale della Gioventù anche i ragazzi di Juventutem, che hanno saputo impiantare in quell'ambito la spiritualità tradizionale.
Ecco dunque quanto ha detto il Papa (enfasi nostre; commenti interpolati in verde):
Qual è quindi la natura di ciò che succede in una Giornata Mondiale della Gioventù? Quali sono le forze che vi agiscono? Analisi in voga tendono a considerare queste giornate come una variante della moderna cultura giovanile, come una specie di festival rock modificato in senso ecclesiale con il Papa quale star. Con o senza la fede, questi festival sarebbero in fondo sempre la stessa cosa, e così si pensa di poter rimuovere la questione su Dio. Ci sono anche voci cattoliche che vanno in questa direzione valutando tutto ciò come un grande spettacolo, anche bello, ma di poco significato per la questione sulla fede e sulla presenza del Vangelo nel nostro tempo. Sarebbero momenti di una festosa estasi, che però in fin dei conti lascerebbero poi tutto come prima, senza influire in modo più profondo sulla vita.
Qual è quindi la natura di ciò che succede in una Giornata Mondiale della Gioventù? Quali sono le forze che vi agiscono? Analisi in voga tendono a considerare queste giornate come una variante della moderna cultura giovanile, come una specie di festival rock modificato in senso ecclesiale con il Papa quale star. Con o senza la fede, questi festival sarebbero in fondo sempre la stessa cosa, e così si pensa di poter rimuovere la questione su Dio. Ci sono anche voci cattoliche che vanno in questa direzione valutando tutto ciò come un grande spettacolo, anche bello, ma di poco significato per la questione sulla fede e sulla presenza del Vangelo nel nostro tempo. Sarebbero momenti di una festosa estasi, che però in fin dei conti lascerebbero poi tutto come prima, senza influire in modo più profondo sulla vita.
Con ciò, tuttavia, la peculiarità di quelle giornate e il carattere particolare della loro gioia, della loro forza creatrice di comunione, non trovano alcuna spiegazione. Anzitutto è importante tener conto del fatto che le Giornate Mondiali della Gioventù non consistono soltanto in quell’unica settimana in cui si rendono pubblicamente visibili al mondo. C’è un lungo cammino esteriore ed interiore che conduce ad esse. La Croce, accompagnata dall’immagine della Madre del Signore, fa un pellegrinaggio attraverso i Paesi. La fede, a modo suo, ha bisogno del vedere e del toccare. L’incontro con la croce, che viene toccata e portata, diventa un incontro interiore con Colui che sulla croce è morto per noi. L’incontro con la Croce suscita nell’intimo dei giovani la memoria di quel Dio che ha voluto farsi uomo e soffrire con noi. E vediamo la donna che Egli ci ha dato come Madre. Le Giornate solenni sono soltanto il culmine di un lungo cammino, col quale si va incontro gli uni agli altri e insieme si va incontro a Cristo. In Australia non per caso la lunga Via Crucis attraverso la città è diventata l’evento culminante di quelle giornate. Essa riassumeva ancora una volta tutto ciò che era accaduto negli anni precedenti ed indicava Colui che riunisce insieme tutti noi: quel Dio che ci ama sino alla Croce. Così anche il Papa non è la star intorno alla quale gira il tutto. Egli è totalmente e solamente Vicario. Rimanda all’Altro che sta in mezzo a noi. Infine la Liturgia solenne è il centro dell’insieme [SOLENNE, ha detto il Papa], perché in essa avviene ciò che noi non possiamo realizzare e di cui, tuttavia, siamo sempre in attesa. Lui è presente. Lui entra in mezzo a noi. È squarciato il cielo e questo rende luminosa la terra. È questo che rende lieta e aperta la vita e unisce gli uni con gli altri in una gioia che non è paragonabile con l’estasi di un festival rock. Friedrich Nietzsche ha detto una volta: "L’abilità non sta nell’organizzare una festa, ma nel trovare le persone capaci di trarne gioia" [è ammirevole e illuminante la capacità di un Papa così colto di invocare gli argomenti perfino di uno dei filosofi più anticristiani mai esistiti]. Secondo la Scrittura, la gioia è frutto della Spirito Santo (cfr Gal 5, 22): questo frutto era abbondantemente percepibile nei giorni di Sydney. Come un lungo cammino precede le Giornate Mondiali della Gioventù, così ne deriva anche il camminare successivo. Si formano delle amicizie che incoraggiano ad uno stile di vita diverso e lo sostengono dal di dentro. Le grandi Giornate hanno, non da ultimo, lo scopo di suscitare tali amicizie e di far sorgere in questo modo nel mondo luoghi di vita nella fede, che sono insieme luoghi di speranza e di carità vissuta [in effetti, il valore dell'amicizia che nasce tra persone che condividono la stessa fede e si sostengono vicendevolmente in essa, rappresenta forse il frutto più prezioso che possano offrire le G.M.G.]
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Poiché la fede nel Creatore è una parte essenziale del Credo cristiano, la Chiesa non può e non deve limitarsi a trasmettere ai suoi fedeli soltanto il messaggio della salvezza. Essa ha una responsabilità per il creato e deve far valere questa responsabilità anche in pubblico. E facendolo deve difendere non solo la terra, l’acqua e l’aria come doni della creazione appartenenti a tutti. Deve proteggere anche l’uomo contro la distruzione di se stesso. È necessario che ci sia qualcosa come una ecologia dell’uomo, intesa nel senso giusto. Non è una metafisica superata, se la Chiesa parla della natura dell’essere umano come uomo e donna e chiede che quest’ordine della creazione venga rispettato. Qui si tratta di fatto della fede nel Creatore e dell’ascolto del linguaggio della creazione, il cui disprezzo sarebbe un’autodistruzione dell’uomo e quindi una distruzione dell’opera stessa di Dio.
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Le foreste tropicali meritano, sì, la nostra protezione, ma non la merita meno l’uomo come creatura, nella quale è iscritto un messaggio che non significa contraddizione della nostra libertà, ma la sua condizione. Grandi teologi della Scolastica hanno qualificato il matrimonio, cioè il legame per tutta la vita tra uomo e donna, come sacramento della creazione, che lo stesso Creatore ha istituito e che Cristo – senza modificare il messaggio della creazione – ha poi accolto nella storia della salvezza come sacramento della nuova alleanza. Fa parte dell’annuncio che la Chiesa deve recare la testimonianza in favore dello Spirito creatore presente nella natura nel suo insieme e in special modo nella natura dell’uomo, creato ad immagine di Dio. Partendo da questa prospettiva occorrerebbe rileggere l’Enciclica Humanae vitae: l’intenzione di Papa Paolo VI era di difendere l’amore contro la sessualità come consumo, il futuro contro la pretesa esclusiva del presente e la natura dell’uomo contro la sua manipolazione
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