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lunedì 14 dicembre 2009

E' lecita la celebrazione esclusiva della Messa tradizionale? La risposta dell'abbé Hery, Ist. Buon Pastore

Sul blog Disputationes theologicae è uscito un meditato intervento dell'abbé Hery che, anche per non far torto al nome di quel blog, si diffonde con approfonditi argomenti liturgici e teologici in merito alla liceità e compatibilità di una celebrazione assolutamente esclusiva del rito antico, anche alla luce di quelle frasi della lettera di accompagnamento del motu proprio che sanciscono: "Ovviamente per vivere la piena comunione anche i sacerdoti delle Comunità aderenti all’uso antico non possono, in linea di principio, escludere la celebrazione secondo i libri nuovi. Non sarebbe infatti coerente con il riconoscimento del valore e della santità del nuovo rito l’esclusione totale dello stesso".
Riportiamo dal sito:

Bisogna convenire che ultimamente alcune interpretazioni del Motu proprio sono, non solo semplificatrici, ma anche contrarie alla lettera del testo - potrebbero essere dette irrispettose, visto che le scelte della Santa Sede meritano di essere messe in luce rispettando i testi promulgati e risalendo per quanto possibile alla vera “mens” del legislatore con uno sguardo ad ampio raggio. Un clima difficile, tentato dalla nostalgia di un "episcopalismo conciliarista" a volte aprioristicamente ostile al Pontefice, dal 2005 circa ha ingenerato, contrapposizioni piuttosto aspre a proposito della liturgia romana. Questo clima di controversia ha senza dubbio indotto l’autorità ecclesiastica a prendere decisioni con prudenza ed ad utilizzare un linguaggio giuridico "sfumato". E’ così che la dicitura di “extraordinaria expressio della lex orandi della Chiesa" (Summorum Pontificum, art. 1) ha ingenerato nello stesso documento l'appellativo di "forma straordinaria" o "uso straordinario" per la liturgia gregoriana. L’uso dell’aggettivo “straordinario/ordinario” si riferisce soprattutto ad una realtà pastorale, alla proporzione dell'uso dell'una o dell'altra forma nelle parrocchie e all'accessibiità ristretta, di fatto, per tutti i fedeli del messale tradizionale. Il Sommo Pontefice usa il termine in relazione ad una constatazione di fatto e non ad un giudizio di merito. Come lo ha dichiarato il Papa Giovanni Paolo II il 27 settembre 2001, e secondo il testo Summorum Pontificum, il rito antico, che è quello della Chiesa da secoli, deve al contrario essere considerato come "l'essenza della liturgia". Una volta dissipati questi malintesi terminologici, l'obiezione sopra sollevata merita di essere presa su serio. L'abbé Héry ritorna in questa sede sull'uso esclusivo in seno al Buon Pastore del messale del 1962, stavolta sotto un aspetto strettamente giuridico, dimostrando come questa specificità sia pienamente riconosciuta dal diritto positivo della Chiesa, contrariamente a quanto troppo spesso affermato.

All'Istituto del Buon Pastore è stato riconosciuto staturiamente il diritto alla 'critica costruttiva' sia del Concilio, sia delle riforme postconciliari (e quella liturgica in particolare). Un diritto che, una volta riconosciuto ad un ente ecclesiale, non può non diventare patrimonio di tutti ("A proposito di certi punti insegnati dal Concilio Vaticano II o concernenti le riforme posteriori della liturgia e del diritto, e che ci sembrano difficilmente conciliabili con la Tradizione, noi ci impegniamo ad avere un’attitudine positiva di studio e di comunicazione con la Santa Sede" ). Nel caso dell'approfondimento in parola, lo spunto è dato dalla domanda di un sacerdote. Eccola:

“Ritengo estremamente interessante e stimolante la posizione dell'Abbé Héry sull'ermeneutica del Vaticano II, ma anche sull’esclusività del rito tradizionale (che segnala di sfuggita come un diritto dell'IBP). Tuttavia debbo farvi parte dei miei dubbi (…). A norma del diritto mi sembra che si sia obbligati ad accettare il nuovo rito e si è dunque obbligati a celebrarlo o concelebrarlo. Il Motu proprio sembra dire che chi celebra la “forma straordinaria” (anche se questa definizione mi pare inadatta per il “rito gregoriano”) non può escludere la celebrazione secondo il novus ordo. Questa è la risposta regolare che viene data a noi sacerdoti quando solleviamo la questione (…) e, benché non la condivida, mi pare giuridicamente fondata. Vorrei capire meglio il punto di vista del “Buon Pastore” secondo un approccio squisitamente giuridico, in riferimento al diritto generale della Chiesa (…)”

Leggete la risposta dell'abbé Hery, rettore del Seminario francese dell'Istituto del Buon Pastore, a questo LINK.

30 commenti:

  1. L'unico modo per migliorare la forma "ordinaria" è non celebrarla.

    Solo una riforma che imponga la lingua latina, la comunione alla balaustra e obblighi a celebrare coram deo potrebbe far cambiare qualcosa nella forma "ordinaria".
    Ma in realtà neppure questo sarebbe adeguato.

    Aldilà delle questioni teologiche e meramente liturgiche, ciò che colpisce delle messe odierne è la tremenda sciatteria, gli orrendi canti senza alcuna melodia e in generale la diffusa sensazione di noia che pervade durante la celebrazione.

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  2. il rito nuovo è una tragedia, ma è legittimo e valido.
    Se il messale antico mai è stato abrogato è in vigore pure la bolla Quo Primum che costituisce la prima fonte normativa del messale stesso; tale bolla stabilisce che nessuno può essere obbligato a celebrare in maniera difforme dal rito antico.


    Quando tale bolla verrà abrogata ne riparleremo, per ora dobbiamo attenerci al dato certo.

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  3. Sì beh...che sia valida è indubbio.
    Basta che avvenga la transustanziazione.
    Cosa che, banalmente, può avvenire anche a tavola mentre un qualsiasi valido prete pasteggia con il Tavernello.

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  4. Che castronerie! Per giunta empie. Redazione, intervenite.

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  5. è vero...CC dovresti avere un po' più di rispetto quando si parla di Eucarestia e di Consacrazione del Pane...in piedi o in ginocchio, un mano o sulla lingua sono modi umani di partecipare, la realtà Eucaristica è qualcosina (permettimi l'ironia) di più. Ricordo con ORRORE che qualche tempo fa, su questo blog, qualcuno definì FOCACC... il Pane Benedetto durante una celebrazione solo perchè la foto e la cerimonia non erano esteticamente dicamo delle migliori: besttemmiare non è solo dire porco qui e porca la'...

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  6. E' giunto il momento, serio e grave,
    che tutti gli Italiani si mettano in ginocchio -in ogni S. Messa- ed invochino dal profondo del cuore supplicando la Misericordia Divina su questa povera Italia: non sappiamo se ancora il Cielo vorrà concederle la Sua protezione contro la funesta spirale di odio e violenza che dal mondo delle tenebre è stato ispirata e innescata.
    Incombe su tutti una tigre, scatenata da quelli che non sanno e non vogliono più cavalcarla!
    Miserere nostri, Domine

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  7. Maggio55 è un provocatore: è il rispetto a Gesù sacramentato a far dire focaccione al... focaccione! Lo sai benissiono che un pane di quella natura non avrebbe dovuto essere consacrato, e lo sapevano benissimo anche a Linz, tanto che hanno cercato di far sparire le prove (cioè le foto) da internet.
    Detto questo, e dato al provocatore il suo, il commento di C.C delle 15.13 è ridicolo (e, alternativamete, frutto di blasfemia o di ignoranza).

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  8. Cena, Mensa e Banchetto...
    (oblio dell'Altare e del Santo Sacrificio)

    Può darsi che C.C. abbia alluso, in modo maldestro e poco chiaro, a quelle liturgie, di moda da 40 anni e ormai dilaganti, dove la "Cena del Signore", così' riduttivamente definita la Consacrazione Eucaristica e Comunione, è veramente ridotta ad un pasto tra amici, che stando seduti intorno ad una mensa quadrata addobbata come nei conviti nuziali (sempre più difforme dagli antichi altari) consumano pizze e bevono vino dal calice...(sappiamo bene chi sono): tipi di liturgie che il grande G. Guareschi previde con amarezza dopo il Concilio, dicendo che si sarebbero viste nelle nuove celebrazioni delle specie di "tavole calde"!

    Memoranda

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  9. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  10. e no caro Rutilio, quel commento di focacc... era veramente stupido. Quando quel pane è stato consacrato (qualsiasi forma avesse) è diventato Pane Eucaristico: non si tratta di provocazione, si tratta di rispetto per l'unico Valore presente in quella situazione e in quella foto. Non mi puoi discutere di ricevere la Comunione in piedi, in ginocchio, seduto, sdraiato (cioè della forma se vuoi legata anche al modo in cui la singola persona intende il rispetto) e poi parlare male della sostanza...non torniamo a discutere se la comunione fatta con le bucce di patate nei campi di concentramento fosse valida o no: il buon Dio per evolverci dai nostri antenati animali ci ha dato il dono fondamentale dell'intelligenza. Si puo' essere provocatori e polemici sull'abito talare, sull'architettura delle chiese, sui canti (strani) che usano oggi,su mille altre cose (terrene) ma non sull'Eucarestia, in qualsiasi modo sia presentata. Con affetto...e senza provocazione.

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  11. 'Eucarestia, in qualsiasi modo sia presentata.
    ------------
    questo, in verità, è un segno di inaccettabile indifferentismo nei confronti del SS.mo Sacramento dell'Altare, ed è proprio il punto di partenza di tutte le storture e degli abusi a cui abbiamo assistito per 41 anni nella deriva di permissivismo "creativo" in nome del Concilio, che non sappiamo ancora a quale "approdo" ci porterà...(ma ci sono funesti segni all'orizzonte, mentre speriamo che la Provvidenza aiuti Papa Benedetto e il suo successore a raddrizzare la Barca così deviata...)
    Ricominciamo a chiamare le cose col loro nome, per favore!

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  12. Forse mi sono espresso male.
    Ciò che volevo intendere è che la validità della messa non significa che la messa sia cattolica o degnamente celebrata.

    Per definire "valida" una messa l' unico discrimine è l' avvenuta transustanziazione.

    Ergo,anche un sacerdote che a tavola recita con volontà la formula eucaristica con il tavernello lo trasforma nel sangue di Cristo.


    Spero di essermi spiegato.

    Saluti

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  13. "in qualsiasi modo è presentata..". Quando è presentata il "danno estetico" è già stato fatto ma la sostanza rimane ed è a quella che dobbiamo rispetto (infinito). La forma è importante ma rispetto al Mistero Eucaristico puo' anche essere niente perchè fa parte della nostra gestualità (e/o cafonaggine): certi paragoni (a tavola, tavernello e perchè no?..sacerdote alticcio) sono giochi mentali che io personalmente non mi azzarderei nemmeno a tirare fuori soprattutto su un argomento come questo . Io posso criticare tutto il modo in cui viene celebrata la liturgia ma quando il pane diviene Corpo di nostro Signore posso solo tacere e viverNe la presenza..bello o brutto che sia il contorno.

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  14. Invero estremista tale parere di questo abate, autorevole al punto di passare a matita rossa e blu il libro di un ceerto cardinale Ratzingher
    http://certitudes.free.fr/nrc08/nrc08106.htm

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  15. Non basta la formula, occorre anche la materia valida: pane di frumento azzimo e vino d'uva purissimo.

    Non si può consacrar pane all'olio e tavernello o chianti la cui purezza è assai dubbia.

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  16. Ecco, appunto. Quindi vediamo di non scrivere certe cretinaggini, anche perché gettano discredito su chi sostiene il ritorno della Messa tridentina. I tradizionalisti fanatici sono una minoranza sparuta. La maggioranza è solidale con il Papa, con la Chiesa di Roma e quando parla del Corpo e del Sangue di Cristo evita leggerezze e goliardia.

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  17. Io prima di dare del fanatico a qualcuno, caro anonimo, mi adopero almeno mettendo un nickname e non rimango anonimo.

    Per il resto, le cretinaggini saranno le sue e fanatico sarà lei, perchè non sa neppure leggere le cose che dicono gli altri, offuscato dal suo di fanatismo.

    Ho già scritto cosa volevo intendere.
    Una messa valida non per questo è una buona messa.
    Il NOM, ad oggi, in Italia, a parte casi rarissimi, non è una buona messa. A prescindere da qualsiasi questione teologica o liturgia.

    Se capite l' italiano bene, altrimenti poco mi interessa.
    Sono già fin troppo educato nel continuare a spiegare quello che intendevo.

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  18. Credo che, prescindendo da valutazioni di ordine teologico ( che non mi sento di fare) o liturgico ( che sarebbero ovvie per chi legge questo blog), dico che secondo me C.C. non aveva intenzioni offensive quando portò il suo triste paragone, ritengo anzi che fosse volutamente esagerato proprio per satireggiare quei chierici che una tale triste cosa fanno quasi davvero.

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  19. Se posso, vorrei intervenire nel merito dell'argomentazione portata dall'abbè Hery, interessante ma purtroppo fallace.
    Attenzione qui non sto discutendo principalmente del problema forma straordinaria versus forma ordinaria, ma della questione del "rito proprio" messa in campo dall'Abbé.
    Egli utilizza la locuzione "rito proprio" del suo Istituto designando con ciò la forma straordinaria del Rito Romano e mostrando che ha il diritto di celebrarlo in esclusiva.
    L'abbé fa un'analogia con il "rito proprio" di sacerdoti orientali che hanno il dovere di celebrare solo in quel rito.
    Ma qui l'abbé usa un'analogia impropria. Infatti doveva riferirsi all'antica e perdurante tradizione del "rito proprio" degli ordini religiosi della chiesa latina. Il famoso "rito domenicano", il "rito romano-serafico" dei francesani, quello dei carmelitani e così via.
    Ma essi (sia nella forma antica che nuova) sono tutte varianti all'interno del rito della chiesa latina (come lo è pure il rito ambrosiano). Anche prima del concilio nessun sacerdote domenicano si sarebbe sognato di avere il diritto esclusivo alla forma di celebrazione del suo convento, e per il popolo o chiamato in una parrocchia sapeva se necessario pastoralmente celebrare nel rito romano (come ha fatto padre Nuara a Radio Maria per la prima domenica di Avvento).
    Non parliamo del rito romano-serafico: in realtà il rito della curia romana rielaborato dai francescani è poi diventato il rito universale della Chiesa Romana, e ai francescani è rimasto solo il calendario differente e qualche minuscola variante nella menzione dei santi.
    Anche i preti ambrosiani, fuori della loro diocesi, possono e hanno sempre potuto celebrare con i libri romani.
    Dunque l'attaccarsi al concetto di "rito proprio" di un istituto religioso non ha nulla a che vedere con il diritto al rito proprio di una chiesa sui iuris (e dei suoi sacerdoti e fedeli).
    Se il bene delle anime lo consiglia, il sacerdote di un particolare istituto ha il dovere di celebrare secondo la forma del rito romano in uso in una certa parrocchia o in una certa diocesi (per es. sacerdoti romani che prestano il loro servizio pastorale nella diocesi di Milano).

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  20. la Messa del concilio vat.II che piaccia o no è La Messa, e nessuno potrà mai abolirla, almeno per ora. Quando non si hanno risposte plausibili si passa all’attacco o si depista l’argomento, tirando fuori cavilli insustitenti.
    d.giuseppe

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  21. No Olatus Rooc...
    Non volevo satireggiare nessuno.

    La validità della messa dipende dall' avvenuta transustanziazione.
    E basta...
    Questo prescinde dunque da bellezza del rito e bontà dello stesso.
    Ed è la 4 volta che lo ripeto...
    Ora aspettiamo il prossimo...

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  22. @d.giuseppe

    1)Il NOM non è la messa del concilio. Almeno in senso storico. Infatti viene dopo.

    2)Nessuno si aspetta che venga abrogata dall' oggi al domani.
    Io infatti ho parlato sopra di alcune "riforme" possibili.
    Riforme che tuttavia non so se potrebbero risolvere il problema, che è strutturale del modo di celebrare odierno. Ossia la sciatteria.

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  23. Come la messa cosiddetta di san Pio V non è la messa del concilio tridentino così - in una posizione moderata - si può affermare che la messa di Paolo VI non è la messa del Concilio Vaticano II. Il Padri conciliari, quando "hanno scritto" la SC avevano in mente la "messa antica" da ritoccare, non un messale ex novo. Questa è semplicemente la realtà innegabile. I gudizi di merito su questa realtà - triste - appartengono ad altro campo...

    Una curiosità: giovanni Paolo II....27 settembre 2001...a cosa si riferisce? Qualche discorso...?

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  24. Caro non-provocatore maggio55,
    mi spiace risponderti con ritardo: il rispetto per il SS. Sacramento è qui massimo, almeno da parte mia, anche nel caso non sia stata usata materia valida (Linz), come ieri avevo cercato di spiegare e come il prof. Pastorelli ha meglio specificato.
    Il mancato rispetto è di chi usa volutamente pani lievitati e di grandi dimensioni, con tutte le conseguenze che ovviamente ci sono. Una volta, diversi anni fa, a casa mia è stata celebrata una S. Messa per il gruppo di cui faccio parte ed il sacerdote (ottima persona e santo sacerdote, credetemi, ma... uomo del suo tempo) aveva dimenticato le ostie e così è stato consacrato del pane comune a piccoli pezzi: so io quanto ho sofferto e cercato - per il possibile - di evitare sacrilegi, tra la generale indifferenza.
    Ti ho portato un esempio concreto per farti capire non tanto la mia posizione personale, per quel poco che conta, ma che il rispetto vero è a monte, nella buona celebrazione.

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  25. Materia e forma sono indispensabili per la validità del Sacramento.
    La materia: 1) il pane di frumento non mescolato ad altre sostanze, azzimo nella Chiesa latina, fatto di recente, cioè non corrotto, senza segni evidenti di muffa ecc.; 2)il vino d'uva, ben fermentato e senz'alcuna adulterazione, sano e non sporco (ad es. con fondate o moscini), a cui s'aggiunge un po' d'acqua.
    La forma son le parole della consacrazione. Essenziali: Hoc est Corpus Meum - Hic est calix Sanguinis Mei. Tutte le altre parole prescritte non si possono omettere senza peccato mortale; l'omissione dell' "enim" può costituire solo peccato veniale.
    Non si può consacrare neppure in stato di necessità una specie senza l'altra.

    Si leggano, i cann. 924 e segg. per la liceità della celebrazione.

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  26. Io sono daccordo con C.C.
    Vorrei chiedervi se pensate che la consacrazione del vino, con la formula "per tutti", sia valida, visto che rappresenta un'alterazione della formula consacratoria. Secondo me...no!

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  27. Filippo la tua è una affermazione semplicemente eretica, che va contro la spiegazione chiara già data dalla congregazione per il culto Divino su questo punto, e soprattutto dall'uso che di tale formula hanno fatto fino ad oggi i sommi pontefici. Non sarà letteralmente precisa rispetto all'originale latino, ma sicuramente non rischia di rendere invalida la consacrazione!

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  28. Concordo con Don Tiddi qui, a parte tacciare di eresia Filippo che ha fatto una semplice domanda.

    Dato che "per tutti" viene detto sostanzialmente da tutti i sacerdoti che celebrano il NOM, credo che sia indicato nelle rubriche come traduzione possibile.

    Il NOM, date le condizioni solite, è valido.
    Tuttavia, a lungo andare, esiste un serio problema.

    Ossia non tanto il "per tutti" quanto piuttosto la volontà del sacerdote di fare quello che la Chiesa ha sempre fatto.

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  29. Ossia quella che viene comunemente detta "Intenzione sacramentale"

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  30. Non è solo una questione di intenzione ma di forma principalmente. Se un prete cattolico volesse celebrare una messa con il rito anglicano, pur secondo le intenzioni della Chiesa Cattolica, la messa non sarebbe valida. Tra "per molti" e "per tutti" c'è una gran differenza! Non si tratta di una sfumatura interpretativa; significa dare al testo della narrazione evangelica, su cui si basa la formula consacratoria, un significato COMPLETAMENTE DIVERSO. E' inutile dire che la versione originale in latino recita "pro multis", sappiamo bene che i preti non l'hanno mai utilizzata e probabilmente, nei seminari, nemmeno glielo insegnano.
    "Ma anche se noi o un angelo dal cielo vi predicasse un evangelo diverso da quello che vi abbiamo annunziato, sia maledetto" (Galati 1:8).

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