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mercoledì 1 luglio 2009

L'eresia dell'informe. Un brano tratto dal libro.



E' uscita da alcuni giorni l'edizione dell'atteso libro di Martin Mosebach (letterato tedesco, vincitore del premio più prestigioso del mondo germanico, il Büchner Preis, assegnatogli dalla Deutsche Akademie für Sprache nel 2007), intitolata L'Eresia dell'informe. La liturgia romana e il suo nemico (Cantagalli, 2009). L'opera ha fatto scalpore e ne sono state pubblicate parecchie recensioni. E' stata in particolare riportata questa icastica definizione della nuova messa «Il modello della nuova liturgia è il tavolo presidenziale di una riunione di partito o di una associazione con microfono e fogli, a sinistra sta un vaso ikebana con piante esotiche bizzarre di colore arancio con vecchie radici, a destra si trovano due luci da televisione posate su candelieri fatti a mano. Con dignità e raccoglimento, i membri del consiglio di amministrazione guardano il pubblico, come i chierici durante una concelebrazione. Una tale assemblea, regolata da un democratico ordine del giorno, è il fenotipo della nuova liturgia, e questo non è altro che una conseguenza inevitabile del fatto che chi non vuole il mistero sovratemporale, questi inevitabilmente approderà alla realtà politica e sociale».

Ora, grazie all'edizione del 27 giugno scorso de Il Domenicale, possiamo offrirvi un buon estratto del libro di Mosebach. Come si vede, un testo che non annacqua i concetti e non usa perifrasi stantie: con la violenza verbale di un Nathan profeta analizza lo sfascio, l'abisso, la nemesi, in cui la hybris abietta del postconcilio ha fatto precipitare la Chiesa.


Forse il danno più grave della riforma della Santa Messa di Papa Paolo VI e dello sviluppo che ne è derivato, e che ha superato di gran lunga la riforma stessa, la perdita spirituale più grande, è questa: essa ci costringe ora a parlare della liturgia. Anche chi vuole custodire la liturgia, anche chi vuole pregare nel suo spirito, anche chi resta fedele ad essa con grandissimi sacrifici, ha già perduto qualcosa di inestimabile: l’innocenza di assumerla come qualcosa dato da Dio, qualcosa donato dall’alto, dal Cielo agli uomini. Come difensori della grande liturgia santa, della liturgia romana classica, siamo tutti divenuti grandi o piccoli liturgisti. L’abbellimento scientifico, archeologico e storico della riforma ci ha costretti a confutare queste argomentazioni e dunque ad occuparci del rito e della liturgia, qualcosa che ripugna profondamente all’uomo religioso.

Nell’esame della liturgia ci siamo lasciati traviare da un pensiero di tipo scolastico-giuridico: che cosa è assolutamente necessario perché si possa ancora parlare di liturgia? Quale arbitrio è ancora tollerabile, che cosa invece non può più essere accettato? Ci siamo assuefatti ad accettare le esigenze minime come categoria di valutazione della liturgia, laddove in realtà è soltanto di un massimale che si dovrebbe parlare. In definitiva, abbiamo incominciato a giudicare la liturgia un fatto mostruoso! Abbiamo preso posto nei banchi di chiesa e ci siamo domandati: abbiamo assistito ad una Santa Messa, o questa non è stata una Messa? Io entro in chiesa per vedere Dio, e ne esco trasformato in un critico teatrale. E se poi, di quando in quando, ci è consentito celebrare una Santa Messa, che per tutta la sua durata ci fa dimenticare questa grande catastrofe storica e religiosa, questo deterioramento fondamentale della relazione tra uomo e Dio, sappiamo quali adempimenti sono necessari per poter celebrarla, quante lettere vi stanno dietro, quanti sacrifici hanno reso possibile questo Santo Sacrificio; fra le altre cose abbiamo dovuto pregare anche per un vescovo, che in generale non desidera questa preghiera, che anzi è ben disposto a rinunciare alla menzione del suo nome nel canone della Santa Messa.

Una vita religiosa riservata, giornate che iniziano con una Messa in una quiete raccolta in una piccola e non appariscente chiesa nelle vicinanze, una vita nella quale, guidati con discrezione da sacerdoti, apprendiamo nell’arco di decenni ad unire il nostro sacrificio al sacrificio di Cristo, e in cui, nella Santa Messa, ci prendiamo cura dei nostri peccati e delle grazie a noi concesse, e certo di nient’altro tutto questo, per un cattolico, dopo la distruzione della naturalezza della liturgia, non è più possibile. Mi si potrebbe controbattere che esagero; mi si potrebbe rimproverare che nonostante tutte le devastazioni del culto, la dottrina della Chiesa sul mistero del Sacrificio non è stata intaccata. Papa Paolo VI, il riformatore, ha riconfermato il carattere sacrale del sacrificio della Santa Messa; il suo successore, Papa Giovanni Paolo II, ha fatto la stessa cosa e il nuovo Catechismo contiene la dottrina integrale sulla liturgia, così come essa corrisponde alla tradizione della Chiesa. Questo è esatto; ciò che dice il più alto Magistero sulla Santa Messa appartiene all’antico deposito della fede cattolica. Nella nostra epoca si può considerare certamente un miracolo il fatto che il Catechismo sia potuto apparire, che esso, nonostante i numerosi compromessi nella formulazione, nonostante i lirismi velati, che hanno permesso di spingersi oltre i punti nevralgici, sia divenuto una collatio della dottrina cattolica della fede che ci è stata trasmessa. Sembra quasi che ci si debba vergognare di essere cattolici da quando questa collatio è apparsa. Ma quale significato essa riveste per la vita quotidiana e quella festiva della nostra Chiesa? Lo zar Nicola I, che introdusse severe prescrizioni di censura, fece esonerare espressamente dal dovere della censura i libri che superavano le mille pagine: nessuno infatti avrebbe mai letto tali opere. Tuttavia io non vorrei escludere fra i fatti incontestabili, quello per cui il nuovo Catechismo sia un’opera alla quale nei nostri seminari venga data un’occhiata, al massimo, allo scopo di divertirsi. Io non sono un teologo e non sono un canonista; come scrittore devo scrutare il mondo da una diversa prospettiva. Se voglio sapere in che cosa uno crede, allora non mi aiuta, perdonatemi l’espressione, andare a dare un’occhiata al suo statuto. Io devo esaminare l’uomo, i suoi gesti, i suoi sguardi, i suoi momenti intimi.

Permettetemi di richiamare un esempio. A Francoforte, la Santa Messa secondo l’antico rito, a partire dall’indulto del 1984, veniva celebrata in una piccola cappella insolitamente brutta nel secondo piano di una casa della Fondazione Kolping, trasformata in hotel. Una terribile arte religiosa decorava questo spazio: un simbolo delle cicladi in calcestruzzo come Madonna e un Crocifisso in una colata di vetro rossa che riluceva come gelatina al lampone, erano le immagini sacre a cui fu riservato l’onore dell’incensazione. Non si poteva dunque muovere a nessuno il rimprovero di trattenersi in questa cappella, perché mosso da un estetismo snobistico; questa accusa a buon mercato, così spesso sollevata, non può certo essere mossa al circolo di Francoforte.

I laici, che si riunivano là, sapevano poco di tutto ciò che era necessario osservare nelle preparazioni, essi non conoscevano nessuna usanza di sagrestia e solo lentamente si familiarizzarono con le necessarie conoscenze. Un circolo di donne che avevano l’abitudine di pregare insieme, incominciò a interessarsi allora alla biancheria dell’altare; è di queste donne che vi voglio raccontare. Queste chiesero un giorno, agli amministratori della Cappella, che cosa propriamente avvenisse dei purificatoria impiegati, dei fazzoletti con i quali il sacerdote raccoglie dal calice le gocce rimaste del vino trasformato. Essi finiscono insieme ad altro bucato nella lavatrice, rispose l’amministratore. Le donne, alla Messa successive portarono un sacchetto che avevano confezionato. Quindi chiesero il purificatorium impiegato e lo misero nel sacchetto. In questo modo che cosa volevano fare? «Questo è comunque imbevuto del sangue prezioso che non può essere versato nello scarico». Il fatto che in passato la Chiesa abbia prescritto che il sacerdote stesso debba curare il primo lavaggio del purificatorium, il fatto che l’acqua di tale lavaggio sia quindi da versare nel sacrarium o nella terra, tutto questo non era a conoscenza delle donne. In ogni caso esse si opponevano a che questo fazzoletto fosse trattato come l’altro bucato, e istintivamente fecero ciò che una antica prescrizione, ora trascurata, esigeva. «È come lavare il giaciglio del Bambino Gesù», diceva una di queste donne. Quando l’ascoltai, ne rimasi colpito. La devozione popolare diventava qui qualcosa di concreto. La vidi quando lo lavò a casa, dopo aver prima recitato un rosario. Portò l’acqua del lavaggio nel giardino davanti a casa, versandola in un angolo in cui crescevano fiori particolarmente belli. Alla sera coprì poi l’altare nella cappella insieme ad un’altra donna. Questo aggiustamento della lunga e stretta coperta era difficile. Entrambe le donne erano molto concentrate, ma allo stesso tempo mosse da una sollecitudine trattenuta, come se avessero cura, con sobrietà ed efficienza, di un uomo che esse amavano. Io ho assistito a queste preparazioni con curiosità crescente. Di che cosa si trattava? In tutti i racconti della Resurrezione, il discorso cade sulle vesti ripiegate angelicos testes, sudarium et vestes, come si dice nella sequenza pasquale. Non vi è alcun dubbio che queste donne, in quella brutta cappella al secondo piano, erano le donne presso il sepolcro. Esse vivevano nella continua, indubitabile, realmente vissuta presenza di Gesù. In questa presenza esse rimanevano in modo naturale, in modo conforme alla loro nascita e al loro livello culturale. La loro vita era adorazione, che si traduceva in azioni molto precise, molto pratiche: era liturgia. Osservando queste donne, compresi che esse credevano alla reale presenza di Gesù nel Sacramento dell’altare. La fede è questo: ciò che noi facciamo con naturalezza.

Ma quando questa naturalezza si presenta in una qualsiasi chiesa di una grande città? Difficilmente uno si inginocchia alla consacrazione, spesso nemmeno il sacerdote fa una genuflessione adeguata davanti alle offerte trasformate. Una signora va a prendere le ostie per la comunità da un piccolo armadietto dorato, sistemato lateralmente, premurosa e sicura, come se dovesse estrarre un medicamento dall’armadietto dei farmaci. Essa mette le ostie nella mano dei comunicandi; nessuno mostra per esse la riverenza di una genuflessione o di un inchino.

L’epoca dell’iconoclastia è durata a Bisanzio oltre un secolo, incluso anche un pezzettino di calcolo ecumenico, connesso all’Islam e alla sua iconoclastia. L’iconoclastia romana dopo il Concilio Vaticano II, presentita nel secolo passato da Dom Prosper Guéranger, ha ricevuto il suo nome: eresia antiliturgica. A Bisanzio, dopo incommensurabili distruzioni, fu l’immagine santa a vincere. Intransigenti monaci avevano preso le icone sotto la loro difesa. Anche noi abbiamo bisogno di molti sacerdoti inflessibili che custodiscano per noi il santo rito dell’Incarnazione. È nella loro ubbidiente disubbidienza che ripongo tutta la mia speranza.

23 commenti:

  1. Da questo assaggio mi sembra un libro alquanto interessante. Devo proprio leggerlo. Magistrale quando sottolinea il fatto che eliminando il divino dalla liturgia (e dalla propria vita) a prenderne il posto arriva la politica eretta a norma suprema: ne abbiamo visti di esempi del genere, anche su questo blog.

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  2. Bellissimo testo, mi riempie di malinconia.

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  3. Timeo Danaos et dona ferentes!
    Mosebach non è soltanto un tedesco.

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  4. La malinconia! Troppi ragazzi e non ragazzi tradizionalisti si lasciano immalinconire da troppi sensali di umor nero. Lo leggiamo spesso anche qui nel blog. NON LASCIATEVI IMMALINCONIRE! La Tradizione non è morta, ma vive e palpita. Chi vi spaccia un quadro catastrofico inducendo in voi sentimenti di prostrazione e avvilimento è un impostore e spesso un poseur.

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  5. No, non mi sembra che aleggi malinconia e nemmeno catastrofismo in queste pagine. Forse una punta di lirismo, che non trovo affatto spiacevole. Il dubbio che vorrei sciogliere (ma i brani riportati non sono sufficienti) è se l'autore proponga rimedi, e soprattutto quali.

    Capisco l'allusione a Mosebach che non è solo tedesco. Ma non mi pare di rilevare ancora nel mondo la mobilitazione di forze occulte a favore della Tradizione.

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  6. Cercando il libro su siti dove si possono acquistare libri ho trovato un libro dello stesso autore intitolato "L'eresia della deformazione. La liturgia romana e il suo nemico". C'è scritto "deformazione" e non "informe". Si tratta dello stesso libro?

    A.

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  7. L'Anonimo delle 10.10 non è solo anonimo, è ignobile!
    Non è mio costume esprimermi in questo modo e non lo avrei fatto se non mi fossi trovato di fronte ad una allusione, perfida (ma non della "perfidia" nel senso in cui si pregava per la conversione degli ebrei prima delle provvide riforme di Benedetto XVI, perfida nel senso comune della parola).
    Quel che peggio è che, oltre ad essere perfida, è soprattutto stupida, perchè di fronte a parole così eloquenti - dell'eloquenza del cuore e della mente - in cui chiunque ha amore per la liturgia (bellissima e delicata la considerazione di come ci sia stata tolta la naturalezza e la semplicità nell'accostarci al Mistero, trasformandoci tutti in "critici d'arte", mentre vorremmo solo pregare) si è sicuramente specchiato, come io mi ci sono specchiato, che senso ha diffidare... di un cognome!
    Ero commosso da quei brani, che parlavano anche di me, e devo commentare in questo modo!

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  8. Bello, bellissimo brano...mi ci sono ritrovato...come ho trovato molto bello e interessante il brano tratto dall'Eresia Antiliturgica del Servo di Dio Dom Gueranger...
    Che Dio ci aiuti e assista nel recupero e nel ritorno alla Bellezza e alla Sacralità

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  9. L'anonimo delle 10.10 è inqualificabile. Davvero.
    Del pre-concilio amo la liturgia, il senso del sacro, l'amore per la fede cattolica non certe frasi che vogliono fare alludere a chissà quale cavallo di Troia.
    Ripeto. Inqualificabile. L'anonimato copre il nome, non i pensieri perfidi.

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  10. Bisogna rieducare tutti i fedeli a comprendere che il primo e grande Miracolo Gesù lo compie ogni giorno e per ognuno di noi donandoci il suo vero corpo e il suo vero sangue durante ogni SS Messa.

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  11. " L’iconoclastia romana dopo il Concilio Vaticano II, presentita nel secolo passato da Dom Prosper Guéranger, ha ricevuto il suo nome: eresia antiliturgica".

    Proprio così:
    http://www.stefanoborselli.elios.net/news/archivio/00000424.html

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  12. link corretto:
    http://www.stefanoborselli.elios.net/news/archivio/00000424.html

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  13. La parte finale del nome del file è:
    00000424.html

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  14. L'episodio delle pie donne tedesche che riscoprono inconsciamente quell'antica prescrizione e` commovente. Mostra lo Spirito Santo in azione negli umili ed una vera participatio actuosa che finalmente non confonde i ruoli del clero e dei laici.

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  15. Anni fa, il defunto arcivescovo di Lucca, Giuliano Agresti, ridusse il numero delle messe in città giustificando la sua decisione ol sostenere che non si poteva tener impegnato un prete per quattro vecchiette.
    Io gli scrissi che forse le preghiere di quelle quattro disprezzate vecchiette gli avrebbero favorito la salvezza.
    Una suora, delle mantellate di Barga ebbe a dirmi: ha fatto bene, perché non si posson dire venti messe: a che servono?
    Frutti del concilio? dello spirito del concilio? Di chi la colpa se è questa l'interpretazione dello spirito del concilio? chi doveva parlare e raddrizzar le gambe ai cani ed invece se n'è stato in silenzio?

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  16. Frutti della mancanza di preti, temo proprio.

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  17. Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.

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  18. Non siamo noi a dover spiegare cosa abbiamo capito. Sei tu a dover giustificare le tue parole.

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  19. Caro prof. Dante Pastorelli, sono luca, anche io credo che si tratti della mancanza di preti. Quanto alla questione delle ricchezze di cui ha parlato in un altro post condivido in parte la sua opinione: infatti, nel Vangelo di Marco è scritto che il Sign-re, guardando il ricco "lo amò"...

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  20. quello che ho letto e' di una bellezza e precisione struggenti.grazie alla redazione per avercelo messo a disposizione.non si poteva "centrare" meglio la questione.quanto alla malinconia,e' naturale che ci sia,ma non bisogna abbandonacisi.se tutti questi cambiamenti-pur repellenti-sono opera di Dio-ne dubito assai-pace,se sono opera di altri-come reputo- cadranno da soli(gia' se ne odono evidenti scricchiolii).per l'intanto solleviamo il nostro umore terreno a piu' rosee considerazioni di ordine "matematico":la progressiva messa in pensione(80°anno) di tanti(peraltro gia' ora minoranza)porporati modernisti,nonche' la stima comparata della "leva"sacerdotale tra seminari tradizionalisti e seminari diocesani (hic digitus Dei Omnipotentis)oppure,che e' la stessa cosa,tra ordini religiosi conciliarizzati e congregazioni tradizionaliste(hic cuncta manus Dei).

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  21. Brano di sconvolgente bellezza.Dice tutto,con pacatezza e serenita'.E' la verita' che urla!Eugenio

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  22. Trovo sommamente puerile ritoccare così maldestramente le foto altrui.

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