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martedì 27 gennaio 2009

In che modo il Papa apre la porta ai lefebvriani

Messa nella chiesa di Saint-Nicolas-du-Chardonnet, (Photo Pinoges/Ciric)


Leggiamo sul prestigioso "La Croix" di oggi organo, anche se non ufficiale, della Conferenza episcopale francese, un articolo interessante da Roma di Isabelle DE GAULMYN.
Ve ne proponiamo una nostra traduzione quasi integrale (mancano poche frasi riguardanti la comunione per i divorziati che ci sono sembrate lontane dal problema che trattiamo qui. Scusandoci per gli eventuali errori ed omissioni lo proponiamo ai nostri lettori ricordando che abbiamo mantenuto la definizione usata in Francia per i fedeli lefebvriani (intégristes - integristi).
Eccone il testo:

In che modo il Papa apre la porta agli integristi
Il decreto voluto da Benedetto XVI con il quale viene tolta la scomunica ai quattro vescovi integristi ordinati nel 1988 da Monsignor Lefébvre pone sei questioni essenziali

Questo decreto significa ritorno alla piena comunione ?No, riguarda solamente i quattro vescovi. Come viene precisato nel testo, non è altro che un passo verso il ritorno alla piena comunione di tutta la Fraternità. La scomunica, atto individuale, fu causata nel 1988 dal fatto che quei vescovi vennero consacrati senza mandato pontificio. Per essi, Benedetto XVI ha pertanto considerato che le condizioni per togliere la scomunica valevano per tutti e quattro: con la lettera inviata al papa nel dicembre scorso, Mons. Bernard Fellay dava un segno manifesto della sua volontà di riparare allo scandalo creato a causa di quelle ordinazioni. [….]

Quali le conseguenze per la Fraternità San Pio X ?Al momento nessuna. I quattro vescovi sono ormai in comunione con la Chiesa cattolica. Ciò vuol dire che accettano il ministero papale e dei vescovi. Il decreto cita infatti l’assicurazione, data da Mons. Fellay al papa: « Noi crediamo fermamente nel Primato di Pietro e nelle Sue prerogative. » Possono pertanto del tutto lecitamente amministrare i Sacramenti avendo in un certo qualmodo la posizione giuridica dei vescovi emeriti (in pensione) nell’attesa che venga loro attribuita una sede titolare. E la Fraternità ? La questione resta quella di sempre. L’ordinazione dei suoi 500 preti della Fraternità è considerata valida dalla Chiesa cattolica (non ci sarà bisogno di rifare l’ordinazione), ma illecita. Dal punto di vista giuridico sono sempre « suspens » sospesi. La loro presenza nella Fraternità San Pio X, li pone in una posizione potenzialmente scismatica che rende illeciti i sacramenti da essi amministrati (battesimo, comunione…). Dipenderà dalle loro scelte: quella di accettare in modo esplicito la decisione dei loro vescovi oppure quella di rifiutarla e restare nell’attuale posizione scismatica. Ma in questo caso non avranno più una gerarchia episcopale verso cui rivolgersi. E’ per questa ragione che, agli occhi di Roma è importante che i quattro vescovi della Fraternità vengano reintegrati insieme. Se ne fosse rimasto anche uno solo, i più « duri » si sarebbero potuti rivolgere a costui, che ordinando nuovi preti, creerebbe di fatto un nuovo scisma…

Cosa succederà adesso ?Dipende tutto dai sacerdoti. Per essere di nuovo in piena comunione dovranno dichiarare di seguire i quattro vescovi. Ma si dovrà, in seguito, trovare per loro una struttura idonea. A Roma si pensa ad una prelatura personale del tipo Opus Dei. Senza dubbio, nel caso della Fraternità San Pio X, questa prelatura non territoriale conserverebbe una base rituale con la celebrazione unicamente nella forma detta “straordinaria” del rito romano. Questa settimana il Cardinale Darion Castrillon Hoyos, presidente della Commissione Ecclesia Dei, che si occupa di questo reintegro, dovrà spiegare i termini pubblicamente nei confronti dei media.

Questo ritorno passa attraverso il riconoscimento degli insegnamenti del Concilio Vaticano II ?E qui sta il problema. Il decreto pubblicato sabato scorso non parla di Vaticano II, ma evoca, pur se in maniera indiretta, il « problema posto in origine ». […] ….. la definizione di Mons. Fellay nella sua lettera ai fedeli di « apostasia silenziosa » è molto chiara. Il rifiuto degli insegnamenti del Concilio è la vera causa della rottura degli integristi. Per la costituzione dell’Istituto del Buon Pastore costituito da membri usciti dalla Fraternità, nel 2006, venne chiesto un impegno esplicito « a proposito di certi punti insegnati dal concilio Vaticano II o comunque concernenti riforme posteriori della liturgia e del diritto canonico e che ci sembrano difficilmente conciliabili con la Tradizione (…) ad avere una attitudine positiva sia di studio che di comunicazione con la Sede Apostolica evitando ogni polemica ».Niente di tutto questo, secondo le nostre fonti, questa volta : « Il Vaticano II non è un dogma di fede », vien detto. A partire dal momento in cui i vescovi e i sacerdoti della Fraternità riconoscono l’insegnamento della Chiesa e il Magistero del Papa tutto quello che viene di conseguenza è implicito.Vien da notare comunque che, rendendo pubblico questo decreto 50 anni dopo l’annuncio del Concilio fatto da Giovanni XXIII, il papa ribadisce la sua volontà di situare il tutto in una certa attitudine conciliare. E’ un pò la lettura che ne ha fatto questo week-end l’Osservatore Romano, mettendo insieme chiaramente i due avvenimenti. Allo stesso tempo, domenica sera, durante i Vespri, Benedetto XVI sottolineava l’aspetto positivo, per la Chiesa, della convocazione del Concilio.


Questo vuol significare che la Chiesa accetta di nuovo l’antisemitismo ?Le dichiarazioni negazioniste di Mons. Richard Williamson, uno dei vescovi, sono arrivate a gettare qualche turbamento. Agli occhi della comunità ebraica, il papa, con questo gesto, tornerebbe indietro nei passi acquisiti dal dialogo, accettando in seno alla Chiesa persone chiaramente antisemite. P. Federico Lombardi, porta-parola del Vaticano, ha spiegato come, evidentemente, la Chiesa riprovi quel tipo di dichiarazioni ma come tutto questo non entrasse con le scomuniche e con il superamento di esse. Queste ultime non sono state fatte certamente con motivazioni antisemite.
C’è da dire però che questo mette in luce il problema delle sensibilità politica dei rei responsabili della Fraternità. Questa dimensione è del tutto sconosciuta a Roma dove si tiene in considerazione solamente il problema ecclesiale. Ma è ben conosciuta dall’episcopato francese e tedesco che conosce bene i legami profondi di una certa parte della Fraternità con l’universo della destra estrema francese e tedesca.Se non si può chiudere o meno le porte della Chiesa in base alle opinioni politiche, nondimeno certe ideologie professate da membri della gerarchia ecclesiale sono causa di incomprensioni e problematiche.

Si tratta di una decisione di Benedetto XVI ?Senza dubbio alcuno, si tratta di una decisione del tutto personale, ha dichiarato Padre Lombardi, porta-parola della Sede Apostolica, davanti ai giornalisti riuniti. Nel 1988, l’allora cardinale Ratzinger, che condusse le trattative fu profondamente ferito e deluso per la loro rottura. Nato in un paese diviso tra due confessioni e preoccupato per l’unità della Chiesa sa bene quanto sia difficile riassorbire uno scismae quanto questo sia raro nella storia della Chiesa. Ed inoltre è sensibile, come altresì una parte della Curia, al fatto che la Fraternità conta un buon numero di vocazioni quando invece i sacerdoti mancano. Fin dall’inizio del suo pontificato, non si è risparmiato in questo senso. Qualche mese dopo la sua elezione (agosto 2005), ricevette Mons. Bernard Fellay, Superiore Generale. Il suo discorso davanti alla Curia (dicembre 2006) inserisce il Vaticano II nella tradizione della Chiesa in risposta alle critiche integriste che ne sostenevano l’allontanamento. Infine col Motu proprio (luglio 2007) liberalizza la messa secondo il rito detto di San Pio V, come chiedeva la Fraternità. Ultimo Papa del Concilio, Benedetto XVI ritiene senza dubbio sia suo dovere riassorbire le divisioni che ne sono venute in seguito allo stesso e darne la giusta interpretazione.

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