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giovedì 11 dicembre 2025

Crematistica, feticismo della merce e dottrina cattolica nella vita economica #300denari

Dalla critica aristotelica della crematistica all’analisi marxiana del feticismo della merce, il pensiero occidentale si confronta da lungo tempo con l’inquietante autonomia che il denaro e le merci possono acquisire nella vita sociale. Un prisma sorprendente ma illuminante attraverso cui leggere queste tradizioni è la dottrina della Chiesa cattolica sull’attività economica, che ritorna più volte sulla stessa tensione fondamentale: l’inversione tra mezzi e fini. Mettendo in dialogo queste tre tradizioni, si possono scorgere affinità intellettuali coerenti che mettono in guardia dal permettere ai meccanismi economici—che si tratti di denaro, mercati o merci—di dominare la vita umana anziché servirla.

Aristotele offre uno dei primi trattamenti sistematici del comportamento economico. Nella Politica, libro I, distingue l’oikonomia, la corretta gestione della casa orientata all’uso e al fiorire umano, dalla crematistica, l’“arte di procurarsi ricchezza” il cui fine è l’accumulazione illimitata di denaro. Per Aristotele, quest’ultima attività è moralmente sospetta perché separa l’azione economica dai bisogni concreti che essa era destinata a soddisfare. Il denaro, mero strumento di scambio, diventa desiderato per se stesso. Il movimento circolare D–D (denaro che genera altro denaro) gli appare come una perversione “innaturale” della ragione economica, poiché subordina il benessere umano a una ricerca puramente quantitativa e senza limiti. L’intero ammonimento aristotelico si fonda su una semplice norma etica: i mezzi economici non devono mai diventare fini a se stessi.

Secoli dopo, Marx riprende questa distinzione nel Capitale, riconoscendo esplicitamente l’intuizione aristotelica ma trasformandola in una critica strutturale del capitalismo. Marx sostiene che in una società in cui le merci sono prodotte universalmente per lo scambio e la forza-lavoro stessa diventa una merce, l’“innaturalità” aristotelica diventa la logica stessa del sistema. La forma caratteristica del capitalismo, D–M–D′, non è altro che la versione perfezionata della crematistica: denaro messo in movimento per ritornare accresciuto, “valore che si valorizza”. Ciò che Aristotele vedeva come una deviazione morale diventa, nell’analisi marxiana, un modo di produzione storicamente specifico. Il mistero che tanto turbava Aristotele—il modo in cui il denaro sembra crescere da sé—spiega per Marx perché i rapporti sociali assumano la forma di rapporti tra cose. Questo è il fenomeno che egli chiama feticismo della merce.

Il feticismo della merce non è semplicemente un errore psicologico; è una struttura sociale e percettiva. Nel commercio capitalistico, gli individui si trovano di fronte alle merci come se queste possedessero valore intrinseco, un’autonoma capacità di agire e il potere di determinare le interazioni sociali. Il lavoro scompare dietro la superficie opaca dei prezzi. Il coordinamento sociale appare governato non dagli esseri umani ma dalle “sostanze automoventi” delle merci e del capitale. Così l’inversione aristotelica tra mezzi e fini—la trasformazione del denaro da strumento a scopo—diventa in Marx l’intero sistema in cui i prodotti del lavoro umano dominano i loro creatori.

È qui che la dottrina sociale cattolica offre una terza prospettiva sorprendente, che porta le precedenti a compimento. Da Rerum Novarum (1891) di Leone XIII a Evangelii Gaudium (2013) e Laudato si’ (2015) di papa Francesco, la Chiesa condanna ripetutamente la stessa inversione che preoccupava Aristotele e Marx. Per la Chiesa, la vita economica è inserita entro un ordine morale il cui scopo ultimo è la dignità della persona umana, il bene comune e la tutela del creato. L’economia è legittima solo nella misura in cui serve questi fini. Quando il profitto diventa l’unico criterio—“l’assoluta autonomia dei mercati”, come dice Francesco—la sfera economica si separa dalla propria orientazione morale e diventa distruttiva.

La critica cattolica dell’usura, reiterata nei secoli, è strettamente parallela alla condanna aristotelica della “innaturale” riproduzione del denaro dal denaro. Entrambe vedono l’interesse e la speculazione finanziaria come la forma paradigmatica della crematistica, poiché creano valore astratto da ogni attività produttiva reale. Allo stesso modo, la critica cattolica moderna del consumismo e della pubblicità—il monito di Giovanni Paolo II contro una “cultura dell’avere anziché dell’essere”—riecheggia l’analisi marxiana del feticismo: gli individui finiscono per credere che la realizzazione si trovi negli oggetti che occultano le relazioni sociali e spirituali sottostanti.

Ma la Chiesa aggiunge qualcosa che né Aristotele né Marx potevano aggiungere: un’antropologia teologica. Per la dottrina cattolica, l’errore della crematistica e l’illusione del feticismo derivano da un disordine spirituale più profondo: l’oblio della persona umana e la riduzione del creato a semplice materiale manipolabile. Quando la logica economica si stacca dalla finalità morale, gli individui iniziano a vedere sé stessi e gli altri non come fini, ma come strumenti—input lavorativi, capitale umano, segmenti di mercato. Si tratta di un analogo spirituale della reificazione marxiana e del timore aristotelico che il denaro diventi un falso telos. La Chiesa inquadra così lo stesso problema come un’inversione etica radicata nel culto fuorviante degli idoli economici.

Questa lettura triadica offre una potente lente concettuale. Aristotele fornisce la distinzione normativa tra azione economica corretta e scorretta; Marx spiega i meccanismi strutturali che universalizzano la scorrettezza e la rendono oggettiva; la dottrina cattolica interpreta entrambe come sintomi di un più profondo disallineamento antropologico e spirituale. In questo specifico ambito, si può dire che insieme esse formino un filone concettuale in continuità che mette in guardia dal permettere all’economia di staccarsi dal significato umano e diventare una sfera autonoma.

Un simile quadro è particolarmente prezioso oggi, in un mondo plasmato dalla finanziarizzazione, dal consumo algoritmico e da una pervasiva cultura della mercificazione. Le forme contemporanee di feticismo della merce (branding, identità guidata dal consumo, valore speculativo sganciato dalla produzione reale) intensificano le preoccupazioni aristoteliche e marxiane. L’insistenza della dottrina cattolica sulla dignità umana e sui limiti morali offre un contrappeso, ricordandoci che l’economia non può giustificare sé stessa; essa deve sempre essere giudicata in base ai fini umani che serve. In questo senso, il pensiero cattolico non si limita a riecheggiare Aristotele e Marx—completa l’arco riportando la vita economica nel regno dello scopo, del significato e della responsabilità, collocandola entro un più elevato quadro di virtù e santità.



François-Marie Tardo-Dino
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