Grazie ad Investigatore Biblico per queste analisi sulle nuove traduzioni bibliche.
Luigi C.
3-9-25
Quando ci poniamo davanti al testo della Passione secondo Marco, al capitolo 15, ci sorprende non soltanto la sobrietà della narrazione ma anche alcune assenze che nel corso della trasmissione testuale hanno sollevato interrogativi. Il versetto 28 recitava originariamente: “Et impleta est Scriptura, quae dicit: Et cum iniquis reputatus est.” Tradotto: “E fu compiuta la Scrittura che dice: ed è stato annoverato tra gli empi.” È un chiaro riferimento a Isaia 53,12, il celebre passo del Servo sofferente. Non si tratta di una glossa marginale, ma di un richiamo teologico di altissimo valore, perché radica la morte di Gesù nel mistero delle Scritture e nello specifico nell’orizzonte profetico che ha interpretato la sofferenza come strumento di salvezza.
Oggi nelle Bibbie CEI del 1974 e del 2008 questo versetto non appare, sulla base di alcune scelte critico-testuali. Tuttavia la sua omissione desta non poca perplessità. San Girolamo, nella Vulgata, lo inserisce senza esitazione. E Girolamo non era un copista distratto, ma un grande conoscitore delle lingue originali, che aveva a disposizione diversi codici greci allora in circolazione. I manoscritti che riportano Mc 15,28 sono numerosi: ad esempio i codici Bezae (D), Koridethi (Θ), Ψ, la maggior parte della tradizione bizantina e le versioni antiche siriache e latine. Non si può dunque parlare di una tradizione secondaria o marginale. Girolamo, vivendo nel IV-V secolo, conosceva certamente queste tradizioni testuali e, pur con la sua consueta prudenza, non avrebbe incluso il versetto senza una ragione solida. Anzi, possiamo dire che egli aveva a disposizione codici oggi perduti che confermavano questa lezione.
Ecco perché la scelta redazionale della CEI del 1974 e del 2008 lascia l’amaro in bocca. La preoccupazione di seguire i cosiddetti testi critici maggiori (Nestle-Aland e UBS) non dovrebbe mai giungere al punto di cancellare un versetto così carico di valore teologico. Perché questo rimando a Isaia 53 non è un’aggiunta marginale: è la chiave di lettura che gli evangelisti stessi hanno più volte evocato. Gesù non muore semplicemente come un giusto condannato, ma come il Servo di Dio che prende su di sé le colpe degli uomini, che viene “conteggiato tra i malfattori” per introdurci nella comunione con Dio. È vero che Luca 22,37 riprende la medesima profezia e la pone sulle labbra di Gesù nell’ultima cena, ma proprio questo rende ancora più incomprensibile l’assenza di Marco 15,28 nelle edizioni CEI: l’eco lucana mostra quanto questa citazione fosse antica e radicata nella tradizione cristiana.
Molti Padri della Chiesa hanno visto in questo dettaglio il sigillo della missione di Cristo. Origene sottolinea come la Scrittura trovi compimento anche nelle sfumature della condanna, perché Gesù non solo soffre, ma condivide in tutto la sorte dei peccatori. Cirillo di Alessandria legge in questa “reputazione tra gli iniqui” la solidarietà radicale del Figlio con l’umanità perduta. Agostino ricorda che nulla avviene a caso nella Passione, ma tutto è previsto “ut Scriptura impleretur,” perché il piano di Dio non conosce lacune. Questo versetto, dunque, non è un orpello ma una tessera necessaria del mosaico.
Chi si nutre della Parola di Dio sa che le scelte testuali non sono indifferenti. Un versetto omesso non è semplicemente un numero in meno, ma una possibilità interpretativa che viene sottratta al popolo di Dio. E per chi, come Girolamo, ha amato le Scritture fino a consumare la vita, la fedeltà al testo non era questione di filologia astratta, ma di amore vivo per il Cristo che parla nella Parola. Recuperare Marco 15,28 significa ridare voce a Isaia, ridare spessore alla Passione e ricordarci che Gesù, il Santo di Dio, non ha avuto paura di farsi annoverare tra gli empi per introdurci nel suo Regno.
