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giovedì 11 settembre 2025

IESE. Il segreto del successo della Business School cattolica? Una leadership che tiene insieme tecnica e senso #300denari

C’è qualcosa di più di un anniversario nella celebrazione dei cinquant’anni dello IESE Business School. I numeri – che pure impressionano – raccontano solo la superficie di una storia più profonda: cinque campus in tre continenti, oltre 50.000 alumni distribuiti in più di 100 Paesi, l’MBA al terzo posto nel Financial Times Global Ranking 2025, i programmi di Executive Education in vetta alle classifiche per più di un decennio, e un tasso di occupazione superiore al 90% a tre mesi dal diploma.
Sono dati che parlano di successo, ma non ne spiegano la radice. Per comprenderla, bisogna guardare oltre i ranking e i grafici, e ascoltare le parole del Prelato dell’Opus Dei, mons. Fernando Ocáriz, durante il suo intervento per il cinquantenario: «Non si tratta di fare cose diverse, ma di fare le stesse cose con un motivo più alto».

In un mondo di nominalismi
Viviamo in un’epoca in cui il linguaggio – e con esso la realtà – sembra liquefarsi. Il nominalismo, quello antico di Ockham – ma oggi in versione tecnologica e finanziaria – domina il nostro modo di rappresentare il mondo: la fisicità dei mercati è ridotta a simboli, la concretezza dell’impresa a storytelling, l’affidabilità della finanza a flussi che prescindono dal suo valore reale. Ecco allora che all’insegna del “principio di semplicità”, a parità di condizioni viene preferita la soluzione meno complessa. Ma dal riduzionismo all’utilitarismo il passo è breve, e con esso si perde la ricchezza della complessità: il valore dei contenuti, la sostenibilità dei modelli adottati e le ricadute etiche delle scelte.
In questo scenario di crescente scollamento tra ideale e reale, tra significato e significante, il modello IESE si presenta come una proposta quasi controcorrente. A differenza dell’approccio dominante nelle maggiori Business School, la sua originalità risiede nel rifiuto della separazione tra competenza tecnica e radicamento etico. Da sempre, infatti, la scuola forma manager che sanno leggere i numeri ma anche le persone, che conoscono i mercati ma comprendono che dietro ogni decisione ci sono vite, famiglie, comunità. È, in fondo, un esercizio di riconciliazione: la pacificazione tra la dimensione tecnica – necessaria, ma non autosufficiente – e quella umana, culturale e per molti spirituale.

Il lavoro come servizio
Mons. Fernando Ocáriz lo ha detto con chiarezza: «Il lavoro è il luogo dove l’uomo diventa migliore e fa migliore il mondo». È qui il cuore del successo IESE. La leadership non è esercizio di potere, ma servizio; non è imposizione, ma ascolto e relazione.
È quel gesto semplice – ricordato da mons. Fernando Ocáriz, Prelato dell’Opus Dei – del medico anziano che, dopo un intervento, non si limita a correggere il giovane collega, ma gli chiede se abbia notato l’addetto alle pulizie entrato in sala. Poi aggiunge: «Si chiama Carlos, lavora qui da tre anni, ha una moglie e quattro figli. Fa un lavoro eccellente, grazie a lui noi possiamo curare più pazienti. La prossima volta vorrei che tu mi raccontassi qualcosa di lui che io non so».

La solidità come vantaggio competitivo
Non si tratta di un dettaglio, ma il segno di una cultura che mette la persona al centro e, proprio per questo, diventa competitiva. In un mercato segnato da volatilità e incertezza, questa solidità culturale è un asset che paga. Le imprese che hanno radicato valori forti nel loro DNA sono quelle che reggono meglio agli shock. Non è un caso che i laureati IESE siano ricercati non solo per la preparazione tecnica, ma per la capacità di portare nei team una leadership affidabile, coerente, capace di navigare la complessità senza farsi travolgere da essa.

Le imprese che dimostrano la regola
Una unità – questa che raccorda cultura, etica e successo – che non è gesto confinato ai corridoi accademici, ma che è alla base di tante imprese di successo. Come abbiamo recentemente ricordato nella nostra rubrica a proposito di “imprese di fede”. La Ferrero, che ha fatto della centralità della persona e del lavoro ben fatto un modello industriale capace di reggere la competizione globale senza rinunciare a coerenza e responsabilità sociale. La storia di Tom Monaghan, fondatore di Domino’s Pizza, che ha coniugato espansione e radicamento valoriale, fino a progettare comunità dove impresa e vita quotidiana si intrecciano. La svizzera Läderach, che ha trasformato una manifattura familiare in un brand internazionale mantenendo integrità e identità.

Raccordare tecnica e senso
Il modello IESE, in questo senso, convince: non è nostalgico ma contemporaneo. Non rifiuta la modernità né la globalizzazione, ma offre una via per raccordare le due dimensioni: la tecnica, con le sue esigenze di precisione, velocità ed efficienza; e il senso, con la sua capacità di dare coerenza e direzione alle azioni. In un mondo in cui il nominalismo riduce la realtà a simboli vuoti e obiettivi idealizzati, viene ricordato che il lavoro è reale, che le decisioni hanno peso e conseguenze, e che il capitale più prezioso – per le imprese come per le persone – resta la fiducia. Un modello in cui «non si tratta di fare cose diverse, ma di fare le stesse cose con un motivo più alto».



Roberto Manzi – Author | PhD, Communication Sciences | Lic. Theology
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