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giovedì 21 agosto 2025

L’inverno demografico: una crisi silenziosa che ha radici (culturali) difficili da eradicare #300denari

In questa rubrica (qui e qui) abbiamo più volte affrontato il tema dell’emergenza demografica in Italia, mettendone in luce le prossime conseguenze per la nostra società (anche sul piano economico).
Dall’entusiasmo per le teorie neomalthusiane e della “decrescita felice” (cfr. Serge Latouche 1940-) – alimentate dal timore per la c.d. “bomba demografica” e, più recentemente, dalle “eco-ansie” – alla presa di coscienza che il vero pericolo per l’umanità (anche sul piano economico) è invece la denatalità, è trascorso circa un secolo.
Oggi torniamo sull’argomento, richiamando alcune notizie recenti che aiutano a leggere il fenomeno da diverse prospettive.

Partiamo dal contesto domestico. Lo scorso mese di giugno, il Ministro Giorgetti, in sede di “Commissione Parlamentare di Inchiesta sugli effetti economici e sociali derivanti dalla transizione (?) demografica in atto”, enunciava che «la denatalità, l’invecchiamento della popolazione, il drammatico spopolamento territoriale sono problematiche strutturali che l’Italia – come tanti altri Paesi – deve affrontare, con conseguenze di lungo periodo sulla stabilità finanziaria, il debito pubblico e lo sviluppo economico». Parole corrette ma un po' troppo generiche se confrontate con la gravità dei dati concreti. Secondo ilSole24Ore, a causa della denatalità si prevede che entro il 2040 il numero di persone in età lavorativa si ridurrà di circa 5 milioni. I primi impatti si osserveranno nel comparto scolastico, posto che già da settembre 2025 si registreranno 134.000 studenti in meno tra i banchi (passando da 6,9 milioni di alunni di quest’anno, dall’infanzia alle superiori, a poco meno di 6,8 milioni).
Come ha ricordato Banca d’Italia nella relazione annuale 2025, per effetto della crisi demografica in corso si stima che entro il 2040 si assisterà ad una contrazione del PIL nazionale dell’11%, pari all’8% in termini pro capite. Peraltro, un minor numero di giovani vuol dire minore capacità di innovazione per le imprese, oltre che un minor numero di clienti-consumatori nel mercato interno.

Il problema non riguarda solo l’Italia o l’Europa. Anche la Cina è alle prese con un repentino calo delle nascite.
Come riferisce la CNN (testata liberal), lo Stato che un tempo imponeva il figlio unico e puniva le nascite oltre tale soglia (con aborti imposti e sanzioni pecuniarie), ora consente tre figli a coppia e implora i giovani di metterne al mondo, offrendo modesti incentivi economici (di 3.600 yuan annui, circa 500 dollari per ogni bambino sotto i tre anni). Un cambio radicale ma destinato – secondo molti – all’insuccesso: la politica del figlio unico ha lasciato molti traumi (sui social circolano ricevute delle multe pagate negli anni ’80 e ’90 e i più giovani raccontano di come dovessero vivere nel nascondimento e separati dai loro genitori per non incorrere in tali sanzioni), a cui si aggiunge che le generazioni più giovani, cresciute con la promessa che il duro lavoro avrebbe garantito un futuro migliore, oggi non ci credono più.
Le proiezioni parlano chiaro. Ci si attende che la popolazione attualmente pari a 1,4 miliardi di persone, potrebbe ridursi a 1,3 miliardi entro il 2050 e poi precipitare a 633 milioni entro il 2100. Non mancheranno – anche a tali latitudini – le conseguenze economiche: con tassi di natalità che stanno scendendo al di sotto dei “livelli di sostituzione”, il PIL potrebbe rallentare di oltre la metà nei prossimi 30 anni.

Si tratta di notazioni che, portate a un livello di analisi più generale, rendono evidente che l’unico vero pericolo per l’umanità (e per il benessere economico) è la denatalità. Come segnalato da La Nuova Bussola Quotidiana, economisti anche laici e progressisti come Dean Spears e Michael Geruso (nel testo After the Spike: Population, Progress, and the Case for People) non hanno esitato a definire la denatalità l’unico rischio reale e verificabile per l’umanità: calo della fertilità, popolazione globale a picco e declini repentini, trasformano le proiezioni futuribili in scenari concreti.
Spears e Geruso evidenziano che, contrariamente alle previsioni neomalthusiane, che associano l’eccesso di popolazione a carestie e crisi economiche, i dati mostrano il contrario: la fame è diminuita, il benessere si è allargato e l’innovazione tecnologica è esplosa. Ribadiscono che «le vere risorse rinnovabili sono le persone»: senza menti, svanirebbero anche le soluzioni.
Gli autori smontano con tre esempi l’allarme ambientalista circa i rischi di sovrappopolazione:
  1. in Cina, tra il 2013 e il decennio successivo, a fronte di 50 milioni di nuovi abitanti, lo smog da particolato si è dimezzato;
  2. nel Regno Unito, le emissioni pro capite di carbonio si sono ridotte della metà dal dopoguerra;
  3. in India, l’aumento della popolazione ha coinciso con un miglioramento dell’altezza media dei bambini, segno di migliori condizioni alimentari e sanitarie.
Di fronte a tali notizie, si impongono due domande: quali le cause e quali le soluzioni?
Il calo delle nascite – diversamente da una certa vulgata – non ha cause principalmente economiche: è vero il contrario, i paesi in cui si registra un tasso di nascite decrescente sono ordinariamente quelli più ricchi.
Le radici di tale crisi vanno ricercate in un minimo comune denominatore culturale: l’assolutizzazione dell’autodeterminazione dell’uomo, manifestatasi con politiche pubbliche (come in Cina) o con l’indottrinamento filosofico dell’“ognuno deve essere libero di fare ciò che vuole” (tipico dell’Occidente).
Scardinato l’istituto della famiglia e, soprattutto, la sacralità della vita umana (fin dal grembo materno), la natalità non è più il contributo alla realizzazione del progetto di Dio (Gn 9:7 «e voi, siate fecondi e moltiplicatevi, siate numerosi sulla terra e dominatela»), bensì si risolve in un mero desiderio individuale da realizzare fintanto che coincide con il proprio “progetto di vita”: prospettiva che giustifica, a seconda dei casi, l’aborto (quando il figlio “arriva” ma non è “in progetto”) o la maternità surrogata (il figlio è “in progetto” ma non arriva). Parafrasando San Josemaría Escrivà (in Amici di Dio, par. 42), la libertà se non orientata verso il Bene si rivela sterile (è qui proprio il caso di dirlo), o produce frutti irrisori.
Quanto affermato è assai politicamente scorretto (ne siamo consapevoli!) in quanto mette in discussione il mainstream educativo-culturale dagli anni ’60 ad oggi. Tuttavia, solo se si comprende la profondità delle cause della crisi demografica in corso sarà possibile individuarne le soluzioni: gli incentivi economici alla natalità sono certamente utili (e financo doverosi da parte di uno Stato che sottrae ai propri cittadini circa il 60% di quello che guadagnano) ma non sono risolutivi. Nei paesi nordici, ove i sussidi e servizi pubblici certamente non mancano, il tasso di fertilità (ovverosia, il numero dei figli per donna) è pari in media a circa l’1,7, inferiore al tasso di sostituzione (pari a 2,1).

Per una vera inversione di tendenza, occorre riaffermare la chiamata dell’umanità a concorrere alla realizzazione di un Progetto in cui la famiglia – tra uomo e donna e aperta alla vita – è centrale, concorrendo alla realizzazione del benessere (oltre che individuale, anche) sociale. Prospettiva incompatibile con le politiche dell’affannosa assolutizzazione dell’autodeterminazione in ambito affettivo-riproduttivo che nell’ultimo secolo si sono via via affermate, soprattutto, in Europa (si pensi alla “sacralizzazione” delle relazioni omosessuali, fino al “diritto” all’aborto introdotto nella costituzione francese). Finché la sfera affettiva e riproduttiva sarà relegata a mera questione privata, senza riconoscerne le profonde implicazioni sociali, sarà difficile immaginare che qualcuno scelga di ridurre la propria autonomia esistenziale, in cambio solamente di qualche incentivo economico. Tali misure funzionano soltanto laddove esista già un contesto sociale favorevole e aperto alla vita.
Va infine ricordato che la denatalità non è un fenomeno che si arresta da un giorno all’altro. È come una palla lanciata su un piano inclinato: una volta iniziata la discesa, la velocità aumenta e fermarla diventa sempre più difficile. Ogni generazione con meno figli produce, inevitabilmente, una generazione successiva ancora più piccola, con un effetto moltiplicatore che, se non invertito in tempo, porta a un declino quasi irreversibile. Il calo delle nascite di oggi non è solo un problema presente: è il seme di una crisi che sarà ancora più profonda tra venti o trent’anni, quando non ci saranno abbastanza giovani per ricostruire la piramide demografica.


Filippo
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3 commenti:

  1. Bla bla bla…. Iniziamo ad abolire il lavoro domenicale (eccetto i servizi essenziali) e il precariato, sarebbe già qualcosa per favorire la stabilità e di conseguenza la natalità.

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    1. Che ⚽️⚽️ con questa domenica! Ma uno potrà vivere come meglio crede? O deve chiedere il permesso a lei?

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  2. L'analisi dell’attuale crisi demografica italiana è puntuale e profondamente significativa nel sottolineare le radici culturali della denatalità e le implicazioni economiche a lungo termine. Per contrastare questa tendenza serve però una strategia sistemica, che vada oltre il semplice riconoscimento del problema o le misure parziali.

    Proporrei un sostegno economico strutturato e continuativo alle giovani donne tra i 18 e 25 anni, volto a favorire la maternità precoce e numerosa, il che significherebbe investire nel capitale umano e sociale del Paese. Non si tratta di una semplice spesa, ma di un investimento a lungo termine che può invertire la tendenza al declino demografico, sostenendo il PIL e la sostenibilità del welfare.

    La soluzione richiederebbe un insieme integrato di incentivi economici, servizi di supporto (informazione, asili nido, babysitter) e un forte impulso culturale che valorizzi i nuclei familiari giovani. Le questioni finanziarie, spesso poste come barriere, trovano risposte concrete nell'effetto moltiplicatore dell'economia e nei risparmi futuri derivanti da una popolazione più giovane e attiva.

    Solo attraverso un impegno coerente e strutturale si potrà affrontare efficacemente il problema e costruire un futuro sostenibile e prospero.
    Sarei interessato a proseguire questa discussione.

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