Sebbene vi sia la piena consapevolezza che la denatalità sia la principale piaga sociale ed economica con cui l’Italia si deve confrontare oggi (e, soprattutto, nel medio-lungo termine), le indiscrezioni circa le misure prospettate dal Governo con la prossima legge di bilancio, alla prova dei fatti e nonostante pubblici proclami e qualche iniziativa, lasciano presagire che, anche questa volta, si intende rinviare l’introduzione di una seria politica (anche) economica per il sostegno alla famiglia e alla natalità (per vero, del tutto assente sin dagli albori della repubblica).
Il costo sociale dell’invecchiamento demografico è impietoso: la spesa pensionistica relativa 2022 (stando ai dati INPS diffusi ad ottobre 2023) è stata pari ad oltre 322 miliardi di euro (circa il 15,6% del PIL), mentre quella sanitaria nel 2022 è stata pari ad euro 132 miliardi (circa il 7% del PIL) e si stima che nel 2023 sarà pari ad euro 134 miliardi e nel 2026 ad euro 138 miliardi (qui i dati, tratti dalla Nota di Aggiornamento del Documento di Economia e Finanza 2023).
La denatalità è il sintomo di una malattia che ha cause di matrice fortemente culturali (si pensi alle teorie neomalthusiane che hanno guidato politiche di controllo delle nascite mediante la liberalizzazione dell’aborto), tuttavia, il sostegno economico alla natalità costituisce il riconoscimento minimo del valore sociale della stessa che non può essere relegata ad una mera “vicenda privata” in quanto ne va dell’esistenza stessa della società (ricorda il Salmo 90 «gli anni della nostra vita sono settanta, ottanta per i più robusti…») e del relativo benessere economico (un immobile non ha valore di per sé ma se c’è qualcuno che lo vuole comprare; in caso contrario, è un ammasso di cemento e mattoni su cui occorre peraltro pagare l’IMU. Quanti immobili vuoti ci saranno in Italia fra vent’anni? Quanto varranno le garanzie offerte alle banche a garanzia dei muti immobiliari?).
Mano a mano che il tempo passa si ha sempre più la sensazione che la (de)natalità sia un argomento à la page utile per le compagne elettorali (che, con diverse accezioni, si rinviene sia a destra che a sinistra) ma rispetto al quale nessuno si vuole effettivamente impegnare per indagarne le cause e per provare a risolverlo in quanto, al fondo, richiede di sconfessare le rendite di posizione culturali (ma anche economiche) di una domestica gerontocrazia che ha condotto all’attuale stato di denatalità, disinteressandosi totalmente delle conseguenze di ciò per le future generazioni, condannandole di fatto alla miseria (salvo si intenda emigrare: “Italia in crisi demografica: i giovani e le donne emigrano”).
Sul tema, qui il link ad una interessante intervista di Andrea Zambrano all’economista Prof. Federico Perali pubblicata su La Nuova Bussola Quotidiana che di seguito si trascrive.
Filippo
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Presentazione della rubrica
«Ancora troppo poco. E quel poco che è stato fatto è piuttosto confuso». Non usa troppi giri di parole l’economista Federico Perali per commentare in questa intervista alla Bussola le misure relative a famiglia e natalità uscite dalla bozza della Manovra finanziaria del governo.
Professore, dal suo osservatorio che giudizio dà della manovra per quanto riguarda la sfida della denatalità?
Qualche cosa è stato fatto per incentivare il secondo figlio.
Si riferisce alla riduzione della retta del nido per il secondo figlio?
Era un atto dovuto ed è positivo, si tratta di un trasferimento di 3600 euro che è sicuramente positivo, anche se sconta un handicap.
Quale?
I conti sono stati fatti sul costo medio di un asilo medio di Roma, che è la metà di uno di Milano. Purtroppo, la differenza del costo della vita su base geografica continua ancora ad essere trascurata. Ma il provvedimento va nella giusta direzione di riconoscere una maggiore conciliazione casa/lavoro per le donne. Ma non basta.
Perché?
Perché non viene affrontato il problema principale.
Quale?
Dare flessibilità al mercato del lavoro femminile e alla riduzione della disoccupazione giovanile. Il problema della denatalità è che il salario di ingresso nel mondo del lavoro è molto basso.
Recentemente lei ha partecipato con il ministro Roccella al convegno organizzato dal Forum della Associazioni famigliari sul costo dei figli. Anche questo è un tema trascurato…
Abbiamo dato delle cifre.
Da 1100 a 1600 euro al mese.
Esatto, 500 al mese sono i costi di base: alimenti, casa, vestiti, scuola per arrivare fino a 1100 euro. Ma si arriva a 1600 euro se si tiene conto del valore del tempo che i genitori investono nella cura dei figli e nella cura della casa, che grava di più sulla donna che non sull’uomo, sono soldi sottratti ad altri investimenti che in dieci anni potrebbero portare a 240000 euro, praticamente l’acquisto di una casa. Di questo non si tiene conto.
Siamo però ben lontani ai 250 euro a figlio al mese prospettati all’inizio della riforma dell’Assegno unico…
I 500 euro dovrebbero essere confrontati con l’Assegno unico, mentre i 1100 andrebbero confrontati con un salario medio, che varia dai 1500 ai 1800 euro per un operaio o un impiegato. Ma l’unico modo per riconoscere il vero costo del figlio è il quoziente famigliare, anche stavolta è assente.
Dove vuole arrivare?
Vengo al punto che per me è molto importante: la questione del salario di ingresso. Come facciamo ad alzarlo?
Non bastano i sussidi di Stato?
No, non funziona così. La nostra economia non sta bene, è avvelenata dal debito. Un modo per alzare i salari è curare l’economia e fare in modo che l’economia, come richiesto dal Pnrr, riconosca il valore della produttività del lavoro.
Proprio oggi, l’Osce ha diffuso i dati del reddito reale delle famiglie: il reddito reale delle famiglie nell’area Ocse è aumentato nel secondo trimestre per il quarto trimestre consecutivo, ma in Italia è diminuito dello 0,3%...
Non mi stupisce: evidentemente per l’Ocse la nostra inflazione è più alta di quella che stiamo misurando.
Veniamo alle misure inserite in manovra. Sta facendo discutere il taglio della decontribuzione delle mamme lavoratrici da 3 a un anno soltanto per “salvare” le pensioni dei sanitari…
Si salvano le pensioni e si sacrificano le famiglie. Mi sembra simbolicamente un programma non avvincente che va nella direzione di un paese non per famiglie, ma per pensionati. Se vogliamo aumentare la Natalità dobbiamo aumentare le entrate e questo lo fai aumentando la partecipazione al mondo del lavoro delle donne, perché le donne sono la componente della forza lavoro che ha un’offerta di lavoro molto elastica, mentre l’uomo occupa ormai tutta la settimana e non puoi agire. Ma se prima dici di voler aumentare la partecipazione delle donne e poi gli togli quel poco che hai concesso non vai lontano. Mi sembra uno sterile “ragionierismo”. Nei Paesi dove le politiche famigliari sono efficaci, le donne che lavorano possono avere più figli, solo in Italia non si riesce a mettere insieme le cose.
Oggi la ministra Roccella presenterà però un patto tra imprese e donne in chiave natalità…
Vedremo che cosa proporranno, ma al momento l’unica misura deprime le mamme lavoratrici a vantaggio della categoria dei pensionati, che non è generativa. Tutto ciò crea confusione…
Veniamo a una delle misure più criticate dal mondo pro familiy, che pure dovrebbe essere quello a cui il governo dice di guardare con simpatia: l’esclusione del Btp dal calcolo dell’Isee...
Anche questo è un altro “ragionierismo” che crea confusione e che non mi spiego.
Proviamo…
Io trovo che uno Stato evoluto non dialoghi in questo modo con i cittadini. Da un lato ti dà un Isee generoso - secondo la prospettiva dello Stato – dandoti la possibilità di ridurre il peso della parte patrimoniale, ma dall’altro ti fa una sorta di ricatto: mi devi comprare i Btp. Con una mano prende e con l’altra dà. Non è limpido.
Ci spieghi perché?
L’Isee è uno strumento per misurare la povertà delle famiglie: se togli il peso dei Btp dal calcolo, che sono una rendita immediatamente vendibile in caso di difficoltà e poi lasci invariato il peso insostenibile della casa, che non è immediatamente vendibile, stai facendo un favore a chi è più ricco. Per le provvidenze che si servono dell’Isee sotto i 15mila euro è molto probabile che questa misura non creerà grossi squilibri, ma per l’assegno unico questo altera e non poco gli indicatori della povertà.
Chi discrimina?
In realtà non lo si capisce neanche bene. La soglia Isee dovrebbe essere vicina alla soglia di povertà, così alteri la lettura oltre a costringere i cittadini a rifare la dichiarazione sostitutiva e sarà un caos totale perché di fatto introduci un’altra franchigia.
La questione dei Btp è più seria di quanto si immagini?
Va a rendere ancora più ingiusto l’Isee. Ora, ammesso che l’Isee sia uno strumento adatto per l’assegno unico e secondo me non lo è… o meglio, non lo è questo Isee che andrebbe riformato, non vedo proprio perché introdurre una franchigia sui Btp…
Forse per invogliare le famiglie a investire sui buoni del tesoro?
D’accordo, ma se vuoi incentivare il risparmio delle famiglie attraverso l’acquisto dei Bpt, cosa tra l’altro più che giusta, sono altri gli strumenti che devi utilizzare, non di certo l’Isee.
Quali?
Rendendo più conveniente di altri investimenti questo investimento. Non possono fare questi scambi “barbini” del do ut des. Se sono convenienti la gente li comprerà, ma l’Isee non deve entrare in questa partita perché così lo strumento, che è uno strumento per un welfare di Stato e non di investimento, si altera e non di poco andando a creare disuguaglianze tra famiglie.
Per fare figli la base è la stabilità della famiglia.Tutto il resto è un di più , che se c'è è meglio e se non c'è se ne può fare a meno. Parlo per esperienza personale e non per sentito dire.Nessuno fa figli per gli assegni famigliari.I figli si fanno in due ,dopo averli fatti nascere,cosa per niente scontata, bisogna crescerli e per far questo entrambi i genitori si devono accollare tanti sacrifici e numerosissime rinunce. Vedete in giro tante coppie che hanno questo desiderio ? A me non sembra.Sarei proprio curioso di sapere in quale percentuale gli assegni famigliari vengono percepiti dagli italiani e degli stranieri.Ci sarebbe da farsi delle amare risate.....
RispondiEliminaFinché ci sarà questa mentalità...finché, tra le altre cose, si penserà al riconoscimento giuridico delle unioni gay...finché la preoccupazione sarà quella di istituire ove non ancora presente il cosiddetto ""matrimonio"" gay....finché anche in ambito ecclesiale la priorità e la preoccupazione principale sarà quella di non urtare le lobby gay...finché si penserà a "benedire" le unioni gay....e ancora, finché ci saranno ecclesiastici ( o sedicenti tali) che dichiareranno che "non bisogna fare figli come conigli"....beh, non credo che si andrà molto lontano. Serve un radicale cambio di mentalità. E con esso un radicale e salutare ricambio di leadership...anche in ambito ecclesiale.
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