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giovedì 11 aprile 2024

Crisi culturale e della natalità: verso una decrescita infelice #300denari

Per oltre due secoli, larga parte della cultura mainstream ha fatto proprie e indottrinato i più giovani (già nelle aule scolastiche) alle tesi di Thomas Robert Malthus (1766-1834) a favore di politiche anti-natalità come unica soluzione a una pretesa scarsità di risorse naturali, che, anche più recentemente, hanno trovato accoglimento nella teorica sulla “decrescita felice” proposta dall’economista-filosofo francese contemporaneo Serge Latouche (1940). Prospettive (spesso sostenute da chi ha la “pancia piena”) che negano che l’Uomo sia creatura e immagine di Dio (punti 108 ss. del Compendio della Dottrina sociale della Chiesa), identificandolo non come custode (Gen 2, 15) bensì come nemico del Creato.
Tali teorie, come la zizzania, hanno ben attecchito nel mondo occidentale e nella “vecchia” (letteralmente) Italia che, come recentemente certificato dal rapporto ISTAT 2023, conosce una crisi della natalità costante, oramai, irreversibile.
Nel 2023, i nati residenti in Italia sono stati 379.000, con un tasso di natalità pari al 6,4 per mille abitanti (nel 2022 era stato il 6,7 per mille). La diminuzione delle nascite rispetto al 2022 è stata di 14mila unità (-3,6%) e, rispetto al 2008, ultimo anno in cui si è assistito in Italia a un aumento delle nascite, il calo è stato di 197.000 bambini (-34,2%). Il numero di figli per donna è passato dall’1,24 nel 2022 al 1,20 nel 2023, dovendosi rammentare che per la stabilità del numero della popolazione residente è necessario un tasso di fecondità di 2,1 figli a donna.

Tant’è che, ricorda l’ISTAT, al 1° gennaio 2024 la popolazione residente in Italia era pari a 58 milioni 990mila unità, in calo di 7.000 unità rispetto alla stessa data dell’anno precedente (-0,1 per mille abitanti). La riduzione della popolazione residente è stata arginata dalla dinamica migratoria che ha permesso di mantenere sostanzialmente invariato il saldo totale, mentre prosegue la riduzione della popolazione di cittadinanza italiana (53 milioni 682mila unità; ovverosia, 174.000 persone in meno rispetto al 1° gennaio 2023, con una diminuzione pari al -3,2 per mille).

Dati questi numeri, quale futuro ci attende?
Un recentissimo studio svolto dalla Fondazione Nord Est (forum economico promosso dalle Confindustrie e da altre associazioni di categoria del Nord Est dell’Italia; lo studio è disponibile qui), certifica che nel solo “ricco” Nord Italia si avrà un calo superiore ai 2,3 milioni di persone entro il 2040 (ovverosia, fra poco più di 15 anni), la cui popolazione passerà dai 27,4 milioni del 2023 a 25,1milioni.

La decrescita sarà veramente “felice” come hanno promesso?
La Fondazione Nord Est non pare condividere le tesi di Malthus. Gli effetti sociali ed economici di questa “glaciazione” saranno importanti:
  • «la diminuzione non sarà affatto concentrata in singoli luoghi, (…), ma sarà diffusa in modo per nulla uniforme. Penalizzati, infatti, saranno i centri più remoti e isolati, con minori servizi (sanità, scuole…), dove inferiori sono le prospettive di lavoro e di vita sociale. (…) L’abbandono di questi luoghi ha conseguenze di varia natura, a cominciare dal venir meno della manutenzione dei boschi e dei terreni e dal conseguente aumento del dissesto idrogeologico, con ripercussioni per le pianure sottostanti, come dimostrano le alluvioni in Romagna nel 2023 (ultime di un lungo elenco)»;
  • «meno abitanti vuol dire minore mercato interno, dunque più bassi consumi ma anche investimenti inferiori. Nei consumi, oltre all’abbassamento, ci sarà una forte ricomposizione: infatti la glaciazione demografica sta ridisegnando la piramide per età della popolazione, con incremento degli anziani e diminuzione dei giovani. Potremmo sintetizzare: meno pannolini e più pannoloni. In realtà ci saranno minori acquisti di ogni genere di beni, dall’alimentare alle autovetture, dagli elettrodomestici all’arredamento, dall’abbigliamento al largo consumo (ossia prodotti per la casa e la bellezza). Mentre terranno quelli per i servizi, sicuramente saliranno quelli sanitari (ci sarà un’”epidemia” dei famosi acciacchi…)»;
  • «negli investimenti perderanno colpi sicuramente quelli per la casa: meno abitanti uguale minor fabbisogno abitativo, anche dimensionalmente. D’altra parte, caleranno i nuclei familiari e, con l’avanzare dell’età, scemerà in quelli esistenti la voglia di farsi una casa “più grande e più bella che pria”. Una minore domanda di abitazioni ha effetti depressivi sul mercato immobiliare, che terrà bene solo nei centri urbani più dinamici e importanti, mentre i valori cadranno nei piccoli centri (già oggi si può osservare tale effetto sul mercato italiano)»;
  • «d’altra parte, ci sarà anche minore accumulazione di risparmio, e quindi minore necessità di gestione dello stesso. Con ricadute sul mercato dell’intermediazione mobiliare, bancaria e finanziaria in generale. Effetti tutti da esplorare, giacché si incrociano con la diffusione del fintech. Ovviamente, queste conseguenze sono a parità di altre condizioni. Cioè, la glaciazione demografica abbasserà la temperatura della domanda e dell’offerta, un abbassamento che potrà essere contrastato con l’elevazione dei redditi per abitante e l’incremento della produttività, certamente».

Agli studiosi della Fondazione Nord Est non è mancata una sana e giusta concretizzazione delle risultanze a cui sono pervenuti e hanno proposto il gioco del “cancella la città”, ovverosia una lista del tutto soggettiva di città e centri che potrebbero “sparire” se la perdita di abitanti fosse concentrata in esse. Ecco alcuni esempi:
  • in Veneto sparirebbero, nel senso che diventerebbero deserte come un villaggio fantasma nei film western, i comuni di Padova, Vicenza e Treviso, oppure, alternativamente ma tutte insieme, Bassano del Grappa, Belluno, Conegliano, Montebelluna, Vittorio Veneto, Valdagno, San Bonifacio, Arzignano, Feltre, Abano Terme, Valeggio sul Mincio, Malo, Marostica, Ponzano Veneto, Peschiera del Garda, Recoaro Terme, Cortina d’Ampezzo e Garda.
  • in Trentino si svuoterebbero Riva del Garda e Folgaria o tutte le valli Cembra, Fiemme e Fassa.
  • in Emilia-Romagna si spopolerebbe l’intera Bologna, oppure Parma più Modena, oppure Ravenna, Rimini, Faenza e Salsomaggiore Terme, oppure il gruppo composto da Carpi, Imola, Sassuolo, Cento, Riccione, Vignola, Cesenatico, Mirandola, Maranello, Brisighella, Marzabotto, Busseto, Predappio, Cortemaggiore, Canossa, Iolanda di Savoia.
  • in Piemonte diverrebbero disabitate Alessandria, Asti, Cuneo, Moncalieri, Collegno, Rivoli, Nichelino, Vercelli e Biella.
  • in Lombardia si svuoterebbero Brescia, Monza, Bergamo, Como, Varese e Pavia, cioè il secondo, il terzo, il quarto, il sesto e il nono comune per abitanti della più popolosa regione d’Italia.
Le prospettive sono tanto chiare quanto desolanti, non lasciando spazio a possibili incertezze interpretative o valutative.

Le cause della imminente “glaciazione demografica” sono il naturale portato non di una società economicamente più povera (il reddito pro-capite attuale degli italiani è circa 43 volte quello registrato nel 1960) bensì, come rileva Tommaso Scandroglio in “Era glaciale demografica, questione di cultura”, di una società che sempre più ha rinnegato le propria tradizione cattolica e ha abbracciato la cultura della morte e non quella della vita, che a tutto crede tranne che in Dio: «non nasce un bambino ogni volta che qualcuno non si accorge che lui stesso è figlio, figlio di un Padre che se non fa mancare il cibo ai piccoli passeri, non lo farà mancare ai piccoli uomini; che provvede a noi perché è Lui che ci ha chiamato all’esistenza e non ci può abbandonare; che desidera regalarci la sua paternità e renderla numerosa “come le stelle del cielo”».


Filippo

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