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mercoledì 13 agosto 2025

Il Vaticano riesce dove altri falliscono: fare un ponte tra Russia e Occidente

Interessante analisi sui rapporti tra Vaticano e Russia.
QUI il video.
Luigi C.


Questa è la traduzione in italiano dell’articolo pubblicato su The European Conservative, 5 agosto 2025.

Lo scorso sabato, 26 luglio 2025, Papa Leone XIV ha ricevuto in udienza Antonij Sevryuk di Volokolamsk, vescovo metropolita ortodosso nonché presidente del Dipartimento per le Relazioni Ecclesiastiche esterne del Patriarcato di Mosca. Una sorta di “ministro degli esteri” della Chiesa ortodossa russa. Si è parlato di molte cose, ma al centro del tavolo ci sono stati tre temi fondamentali: la guerra in Ucraina, la ripresa del dialogo ecumenico con il mondo ortodosso russo e, soprattutto, il progetto di Kiev di smantellare la presenza russo-ortodossa, perché considerata un’arma nelle mani di Putin.
Nell’agosto 2024, il Parlamento ucraino ha approvato una legge che vieta le attività della Chiesa ortodossa ucraina legata al Patriarcato di Mosca.
Il conflitto alle porte dell’Europa e l’elezione di un Papa americano non avevano facilitato, apparentemente, i rapporti tra il Cremlino e il Vaticano. In un primo momento, le intenzioni del nuovo Pontefice dalla doppia cittadinanza statunitense e peruviana – elemento non di poco conto – sembravano essere molto più polarizzate rispetto a quelle del suo predecessore. Papa Francesco rappresentava in modo autorevole quel segmento della cultura latinoamericana tradizionalmente incline a nutrire una certa diffidenza nei confronti degli yankees. Nel corso del suo Pontificato, si sono manifestate ripetute espressioni di ostilità nei confronti del mondo statunitense, sia nella sua componente cattolica che in quella laica.

Al contempo, Francesco ha mostrato sin da subito grande apertura e vicinanza al mondo russo. Ha ricevuto Putin in Vaticano in tre diverse occasioni, sempre con grande cordialità. Tuttavia, dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, nel febbraio 2022, la situazione sembrava essere mutata. Il dialogo si era interrotto. Francesco era rimasto profondamente deluso per l’appoggio incondizionato che il Patriarca Kirill dava alle politiche di Putin, tanto che, durante un incontro virtuale avvenuto un mese dopo lo scoppio della guerra, Francesco aveva ammonito il vescovo ortodosso: “Non puoi trasformarti nel chierichetto di Putin”. Una frase che ha suscitato inevitabilmente grande scalpore.

Nonostante le difficoltà, Bergoglio ha preferito adottare una politica che è stata definita di “equidistanza” tra Mosca e Kiev. E questo ai russi, tutto sommato, è piaciuto. Così si spiega la progressiva riduzione della libertà d’azione diplomatica subita dalla Segreteria di Stato di Pietro Parolin, prosecutore ideale della Ostpolitik di Agostino Casaroli tanto gradita a Washington DC.

Francesco, con un determinato seppur lecito scavalcamento della diplomazia vaticana ufficiale, si era rivolto al cardinale Matteo Zuppi, capo dei vescovi italiani nonché membro influente della Comunità di Sant’Egidio, per trattare con russi e ucraini in favore della pace. Da allora, la Comunità ha avuto un ruolo di primo piano nelle vicende vaticane – almeno fino all’8 maggio 2025.

La scelta diplomatica del Papa argentino affondava le sue radici non solo in una visione teologico-ideologica marcatamente critica nei confronti dello stile di vita statunitense, ma anche in una rete di dinamiche complesse con la Cina, segnate da avvicendamenti politici, tensioni e relazioni ambigue. Pechino, infatti, si configura come la principale alleata di Mosca (pur non essendo direttamente coinvolta in conflitti bellici), ma anche come firmataria di un controverso accordo segreto con il Vaticano riguardante le nomine episcopali cinesi.

Con l’elezione di Leone XIV e il ripristino dello status quo diplomatico pre-ratzingeriano, tutto lasciava presagire un cambio di rotta netto e una rottura definitiva con la Russia di Putin e, conseguentemente, con il mondo ortodosso gravitante intorno a lui. Tale impressione era stata corroborata per opera dello stesso Pontefice, che a più riprese ha espresso vicinanza al popolo ucraino. Il 9 luglio scorso, il Papa si era addirittura affacciato dalla finestra di Castel Gandolfo insieme a Volodymyr Zelensky.

Cercando di porsi almeno formalmente in continuità con Francesco, Leone aveva proposto sin da subito il Vaticano come sede neutrale per le trattative e persino confermato la missione di Zuppi per negoziare il rimpatrio dei bambini ucraini ostaggi. Il 23 maggio 2025, durante un intervento al vertice OSCE a Malta, il Ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov aveva definito “irrealistica e scomoda” l’ipotesi di ospitare negoziati in Vaticano, sostenendo che “non sarebbe elegante” per due Paesi ortodossi discutere in una sede cattolica. Pur avendo tutto sommato apprezzato la geopolitica di Francesco, era inevitabile che i russi mostrassero adesso diffidenza nei confronti di un papa appena eletto di origini statunitensi.

Al contrario, l’incontro tra Leone e Antonij Sevryuk ha dato contezza del fatto che il dialogo russo-vaticano possa ripartire. Si tratta, in realtà, del punto di arrivo di una serie di piccoli ma significativi segnali di distensione apparsi in queste ultime settimane e che hanno dimostrato come l’apparente rottura fosse più una percezione mediatica esterna che non una reale intenzione di Papa Prevost. Già Kirill aveva mostrato compiacimento per la scelta del nome del nuovo Pontefice, in memoria di san Leone Magno, che per il mondo ortodosso assume grande valenza simbolica perché tra i più importanti Padri della Chiesa, venerato dagli orientali così come dai cattolici.

Inoltre, lo scorso 4 giugno 2025, Leone XIV e Putin si sono sentiti telefonicamente, riuscendo proprio là dove Francesco aveva fallito. Il Cremlino aveva negato, dopo lo scoppio del conflitto ucraino, ogni conversazione ufficiale con il Pontefice argentino. Durante la sua telefonata, invece, Leone ha lanciato un appello diretto alla Russia affinché compia “un gesto concreto per favorire la pace” e ha persino discusso del ruolo del cardinale Zuppi nelle missioni di recupero.

Un grande successo diplomatico, insomma. Alla base di queste trattative c’è indubbiamente anche l’esperienza che il nuovo papa ha maturato come membro del Dicastero per le Chiese orientali, incarico che ha ricoperto dal marzo 2023.

Per comprendere a pieno questo sviluppo diplomatico positivo di Papa Leone XIV bisogna considerare tre importanti fattori. Anzitutto, le origini statunitensi di Prevost non implicano necessariamente una subordinazione agli orientamenti strategici di Washington. Sebbene da tempo ambienti dell’establishment americano coltivino l’idea che il microstato nel cuore di Roma possa fungere da ponte d’influenza per gli interessi occidentali nelle dinamiche culturali e politiche europee, l’evoluzione storica dei rapporti tra Santa Sede e Stati Uniti dimostra una realtà ben più articolata e autonoma. La vocazione trasversale della Chiesa implica, per natura, una propensione al multipolarismo. In questo contesto, la doppia cittadinanza americana e peruviana di Leone XIV simboleggia una sensibilità autenticamente universale, capace di abbracciare sia l’Occidente che il Sud globale.

Secondo: Papa Leone XIV orienta la sua agenda attorno ai valori di unità, missione, giustizia e pace, tutti riconducibili a un ideale di coesione. È determinato a mantenere il dialogo con le grandi potenze, e persino Mosca, nonostante retoriche pubbliche critiche, riconosce l’utilità del canale vaticano come ultimo ponte con l’Occidente, in particolare con l’Europa. Entrambi i fronti comprendono che un rinnovato dialogo russo-europeo è cruciale per la stabilità del continente.

Terzo: la Chiesa cattolica conserva un rilevante peso internazionale, soprattutto nelle crisi e nei conflitti, grazie al suo impegno umanitario globale. Nonostante il declino come polo geopolitico dopo il Risorgimento italiano, essa continua a influenzare la diplomazia, come dimostrato nella Crisi di Cuba e nel crollo dell’URSS. È l’unica istituzione religiosa con tale portata e la sua azione umanitaria è cruciale sia durante che dopo le guerre, nella ricostruzione e nell’assistenza ai più vulnerabili.

L’incontro tra Leone XIV e il metropolita Antonij segna il ritorno della Santa Sede come attore credibile nella diplomazia internazionale. In un’epoca di polarizzazione estrema, il Vaticano dimostra di poter ancora offrire uno spazio di mediazione dove altri falliscono. Non è solo questione di fede, ma di una tradizione che ha saputo trasformare il linguaggio del sacro in una grammatica utile anche alla diplomazia. Che anche Mosca torni oggi a considerare Roma un interlocutore possibile dimostra che, nonostante le fratture, resta aperto uno spiraglio per il dialogo. E in tempo di guerra, questo può fare la differenza.

Gaetano Masciullo