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mercoledì 2 luglio 2025

Santo Padre Leone, non possiamo perdere il Canone Romano! #papaleonexiv

Qualcosa non va nell'organizzazione delle Messe papali. Dalla Croce non al centro, ai canbdelabri, ai canoni eucaristici.
"Usare il Canone Romano non è archeologismo né nostalgia: è un atto di fedeltà, un gesto di appartenenza, una professione di fede nella continuità della Chiesa. Non aggiunge che pochi minuti alla Messa. Eppure, ogni volta che il sacerdote lo recita, attraversiamo i secoli come chi attraversa un ponte, e arrivati dall'altra parte incontriamo Pietro, Paolo, Ines, Cipriano, Leone Magno, Benedetto, Tommaso d'Aquino, Ignazio di Loyola, Teresa d'Avila, tanti e tanti altri che lo hanno ripetuto alle soglie dell'eternità.
Forse è giunto il momento di chiederci perché abbiamo permesso che andasse perduta, anche nei giorni più solenni. E se non sia giunto anche il momento di recuperarla. Perché in tempi di incertezza, non c'è ancora migliore che la preghiera che ha resistito nel tempo".
Possiamo chiedere, sommessamente, un avvicendamento di Mons. Diego Giovanni Ravelli?
Luigi C.


Miguel Escrivá, Infovaticana, 30 giugno 2025

Ieri, solennità di San Pietro e San Paolo, nel momento in cui la Chiesa universale rivolge lo sguardo a Roma, alla cattedra di Pietro e alla testimonianza martiriale di Paolo, apostolo delle genti, nella basilica vaticana non si è udita la più antica preghiera eucaristica della tradizione occidentale: il Canone Romano. Al suo posto, il celebrante, Papa Leone XIV, ha scelto una formula più recente per accompagnare il momento della consacrazione.
Potrebbe sembrare un dettaglio minore, una sfumatura nel grande quadro della liturgia. Ma non lo è. E non perché le altre preghiere siano prive di validità o bellezza. Il Canone Romano non è semplicemente un'altra preghiera eucaristica: è un canale, un filo d'oro che collega la Chiesa apostolica con la Chiesa attuale. È, senza esagerare, una delle poche strutture di preghiera che è rimasta ininterrottamente viva per più di millecinquecento anni, forse anche di più.
Nella sua sobrietà classica, nel suo linguaggio preciso quasi giuridico – romano nel senso migliore del termine –, il Canone porta con sé non solo la fede, ma anche il tono, il respiro e la cadenza della preghiera dei cristiani dei primi secoli. Il suo riferimento ad Abele, ad Abramo, a Melchisedek, tesse un legame tra l'Antico e il Nuovo Testamento, rendendo comprensibile il sacrificio di Cristo come compimento e pienezza. Il suo ricordo dei martiri — Felicitas, Perpetua, Agata, Agnese, Cecilia, Anastasia... — non è una semplice enumerazione liturgica: è memoria viva della Chiesa perseguitata, della Chiesa che è sopravvissuta a Nerone, a Decio, a Domiziano, al Colosseo.

La preghiera fu codificata da San Gregorio Magno nel VI secolo, ma le sue radici risalgono almeno al III secolo. Non è azzardato affermare che i suoi elementi essenziali fossero già presenti nella Roma precostantiniana, nelle catacombe, nelle case dei fedeli, insieme alla testimonianza sanguinosa di Pietro e Paolo. Questa è la preghiera della Chiesa petrina, non per mitologia pia, ma per la fedeltà storica del suo uso continuato nella sede di Pietro.

Anche durante il pontificato di Papa Francesco, l'uso del Canone Romano nella solennità di San Pietro e San Paolo era la norma, in espressione del legame spirituale, storico e sacramentale che unisce Pietro crocifisso a testa in giù con l'altare di marmo dove oggi si celebra la Messa. La Chiesa non può permettersi di trascurare ciò che incarna più potentemente la sua tradizione viva: le parole della preghiera con cui si rinnova il sacrificio del Calvario.

Tuttavia, sembra una tendenza inevitabile - anche nelle grandi solennità, anche a San Pietro in Vaticano - che il Canone Romano sia diventato eccezionale. Spesso, per motivi pastorali o di brevità, si opta per nuove formule redatte negli anni '60. Non sono indegne, ma mancano della densità teologica, simbolica e storica del Canone. Non solo sono più recenti: sono più brevi, più funzionali, più adatte alla sensibilità moderna. Ma a quale prezzo?

Lasciando perdere la grande preghiera apostolica di Roma, perdiamo l'opportunità di pregare come pregavano i nostri padri nella fede, di ascoltare le stesse parole che ascoltavano i martiri, di ripetere ciò che dicevano i sacerdoti sotto l'Impero.

Non stiamo parlando qui di ornamenti, né di gesti esteriori, né tantomeno di lingua liturgica o di orientamento dell'altare, anche se tutto ciò ha il suo valore. Stiamo parlando delle parole stesse della preghiera centrale della Messa. Il modo concreto in cui la Chiesa parla a Dio nel momento centrale della Messa. Cosa può esserci di più sacro, più fondamentale, più essenziale?

Usare il Canone Romano non è archeologismo né nostalgia: è un atto di fedeltà, un gesto di appartenenza, una professione di fede nella continuità della Chiesa. Non aggiunge che pochi minuti alla Messa. Eppure, ogni volta che il sacerdote lo recita, attraversiamo i secoli come chi attraversa un ponte, e arrivati dall'altra parte incontriamo Pietro, Paolo, Ines, Cipriano, Leone Magno, Benedetto, Tommaso d'Aquino, Ignazio di Loyola, Teresa d'Avila, tanti e tanti altri che lo hanno ripetuto alle soglie dell'eternità.

Forse è giunto il momento di chiederci perché abbiamo permesso che andasse perduta, anche nei giorni più solenni. E se non sia giunto anche il momento di recuperarla. Perché in tempi di incertezza, non c'è ancora migliore che la preghiera che ha resistito nel tempo.

19 commenti:

  1. Ma chi sta perdendo che cosa? Il Canone Romano è regolarmente presente in ogni messale e viene usato senza problemi ovunque.

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    1. Ma dove lo vede celebrato regolarmente? Quello che è stato l UNICO canone della consacrazione, per 1700 o 1900 anni. Quello citato già da S. Ambrogio. Forse non vede la vita parrocchiale quotidiana

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    2. Anch’io l’ho sentito regolarmente, certo non tutti i giorni, visto che c’è la possibilità di scegliere diverse preghiere eucaristiche. Per quanto riguarda la vita parrocchiale, penso di saperne abbastanza, visto che la frequento assiduamente, senza contare le volte in cui mi capita di andare a messa da altre parti per motivi vari.
      Poi cosa succedeva 1700 anni fa interessa poco: oggi ci sono diverse possibilità e non vedo perché i preti non debbano usarle.
      Forse che le altre preghiere non consacrano?

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    3. L'unica volta che l'ho sentito in una Messa N.O. è stato grazie a un sacerdote, che poi ho scoperto sia solito dire anche Messa V.O.

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    4. Pensa che lo usa anche il mio prete che non ha nessuna simpatia per l’anteconcilio.

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  2. Il cerimoniere lega l'asino dove dice il padrone. Lo stesso Ravelli, Maestro delle Celebrazioni di Papa Francesco, è certamente in grado di adeguarsi a Leone o alla reincarnazione del Card. Siri.
    Leone non è Francesco né la sua antitesi, è Leone e basta. Ha già fatto cose in continuità e altre in rottura col predecessore ma non possiamo chiedergli di distruggere il tempio e ricostruirlo daccapo in 2 mesi. Ho fiducia che possa mettere ordine in ambito liturgico come in magistero, diritto canonico, comunicazione ecc. Insomma di matasse più ingarbugliate dei candelabri che richiedono la personale attenzione di sua Santità c'è ne sono a iosa.
    A Ravelli basta dare gli input giusti sempre che non abbia già colti da sé

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    1. Ravelli fa parte della congrega....
      Altrimenti sarebbe rimasto monsignore semplice

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    2. Ravelli viene dal S. Anselmo ed è un nemico acerrimo di ogni elemento tradizionale

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  3. Più che Leone è un agnellino. È stato messo lì per applicare le cose scritte da altri lupi. Un giorno parla di Cristo un altro del clima. Così non scontentiamo i bergogliani e i ratzingeriani.

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  4. OK Luigi; l'anonimo delle ore 10:11 fa parte di quei fedeli che vanno a Messa per abitudine o per adempiere al precetto, ma ne sanno quanto un asso di picche

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  5. A Torino utilizzano il Canone Romano solo i sacerdoti del Verbo Incarnato, ed infatti saranno spediti via.

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  6. Ma in quale universo Cipriano avrebbe usato il canone romano? San Paolo, poi? Si legga 1Cor 11 per avere una qualche idea del testo eucaristico conosciuto da Paolo. Il canone romano è un testo stratificato redatto tra IV e VII secolo, il che la dice lunga sulla stucchevole retorica sulla "messa di sempre".

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    1. Scusi, ma le pare poco che il canone romano risalga almeno al 4 secolo d. C.?
      A me pare che basti a dare il titolo di Messa di Sempre, non le pare? Non solo infatti gode di antichità ma anche di uso costante nella liturgia.

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    2. Guardi che tra Gesù Cristo ed il canone romano passano secoli…SECOLI!
      Come si fa a dire “messa di sempre”? Senza contare che la Messa mica è solo il canone.

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    3. La preghiera eucaristica 2 riprende l'anafora c.d. di Ippolito, risalente alla prima metà del III secolo. Le chiese bizantine utilizzano anafore del IV secolo. Nessuno nega l'antichità del canone romano (le cui parti più antiche risalgono al IV secolo), ma, per l'amor del Cielo, la si smetta con la retorica della "messa di sempre", esito di una voluta incomprensione (quando non addirittura di una colpevole ignoranza) della storia dei testi liturgici.

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    4. Mi permetta ma lei deve studiare d più Si legga il nostro post con IL VERO canone di Ippolito e le enormi differenze con il 2 Canone. Veda le enormi differenze e quello che rimane di Ippolito nel 2 canone (il 10%?). https://blog.messainlatino.it/2009/08/13-agosto-festa-di-s-ippolito.html
      Smettiamola di dire stupidaggini

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    5. Infatti “riprende l’anafora”.

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  7. Le stupidaggini le dice chi spaccia per "messa di sempre" un insieme di testi liturgici che, in quanto tali, è per sua natura stratificato e contiene elementi antichi e recenti. E questo non lo dicono i vostri nemici immaginari (Bugnini!!1!!1!), ma è un tema il cui studio viene incoraggiato a livello pontificio già nel Settecento (si vedano gli studi sui sacramentari gregoriano e gelasiano, promossi anche a livello pontificio da Prospero Lambertini; si veda l'impatto che ha avuto a livello culturale la scoperta dei messali gallicani: erano tridentini sul serio ed erano molto più capaci di accogliere il reale di quanto lo siano molti dei vetusordini di oggi). Quanto al canone di Ippolito, nell'articolo non viene nemmeno riconosciuta la complessa storia della trasmissione del testo (riprendetevi almeno Dom Gregory Dix e il suo studio, o andate sulle Clavis a vedere la bibliografia più recente sulla Tradizione apostolica): quindi, il post che dovrebbe "chiudere la bocca ai preti saccenti" (a proposito, complimenti per il sensus ecclesiae e per lo sforzo nel coltivare la comunione: avete proprio capito tutto dell'appartenenza alla Chiesa) parte con una debolezza: non prende in considerazione in maniera sistematica le fonti.
    Ma a parte tutto questo, io spero che vi accorgiate una buona volta quanto siano complesse (e francamente veramente affascinanti) le questioni di storia della liturgia: queste, affrontate sul serio, contribuiscono a riesaminare con animo più sereno anche tutta la tematica sulla forma straordinaria del rito romano.

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