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mercoledì 2 luglio 2025

“Quella benedizione a metà: omissioni che interrogano. Le Bibbie CEI e il caso di Rm 15,29. La Vulgata sempre più completa”

Grazie ad Investigatore biblico per questa analisi sulle nuove traduzioni bibliche.
Luigi C.

23-6-25

Scrivendo da pastore, non da filologo, e con quello stile meditativo che sempre cerca il senso profondo nella parola di Dio, vorrei soffermarmi su un versetto che nella sua brevità racchiude una ricchezza che non può lasciarci indifferenti. Si tratta della lettera ai Romani, capitolo 15, versetto 29. L’apostolo Paolo scrive ai cristiani di Roma, che ancora non ha incontrato di persona, con il cuore pieno di speranza e di zelo apostolico. Ha terminato ormai la sua missione in Oriente e guarda a Roma come a una tappa intermedia verso la Spagna, frontiera estrema del mondo allora conosciuto. Prima però desidera passare da Gerusalemme, per portare la colletta raccolta tra i fedeli della Macedonia e dell’Acaia in favore dei poveri della comunità madre. In questo contesto scrive: “E so che, giungendo presso di voi, verrò con la pienezza della benedizione di Cristo”.
È un’espressione che contiene una grande fiducia. Paolo si sente portatore di una benedizione, non sua, ma di Cristo stesso. Egli è consapevole che il suo ministero non è opera umana: è Cristo che benedice, attraverso di lui. E tuttavia, una lettura più attenta, aiutata dal confronto con il testo latino della Vulgata, ci pone di fronte a una sottile ma significativa discrepanza. San Girolamo, traducendo dai codici più antichi allora a sua disposizione, scrive: “Scio autem quoniam veniens ad vos, in abundantia benedictionis evangelii Christi veniam”. In italiano: “So che, venendo da voi, verrò con l’abbondanza della benedizione del Vangelo di Cristo”.
Quel benedictionis evangelii Christi ha un sapore diverso, più denso, più pieno. Non si tratta soltanto di una generica “benedizione di Cristo”, ma della benedizione che scaturisce dal Vangelo stesso, quella forza viva che trasforma il cuore, che annuncia la salvezza, che apre la storia a un compimento inatteso. Non è solo la presenza del Signore, ma la presenza del suo Vangelo, del suo annuncio, della sua parola potente. Perché allora questa parola “Vangelo” è stata omessa dalle traduzioni della CEI, sia quella del 1974 sia quella del 2008?

È vero che nei codici più usati per la critica testuale del Nuovo Testamento greco – quelli chiamati Alef (א) e B (Codex Vaticanus) – la parola euangeliou non compare. Ma nei codici antichi S (Codex Sinaiticus rescriptus) e Ψ (Codex Athous Lavrensis), essa è presente. E non si tratta di codici marginali o secondari: sono testimoni venerabili, che ci restituiscono un’eco più ampia della trasmissione del testo. La scelta della Vulgata, seguita da tutta la tradizione ecclesiale latina per secoli, non è dunque arbitraria. San Girolamo non aggiunge alla leggera: egli traduce sulla base di ciò che ha trovato nei suoi esemplari greci e con la profondità spirituale che sempre ha caratterizzato il suo lavoro.

Non possiamo ignorare, allora, una certa perplessità. Perché le edizioni CEI hanno preferito tacere questa espressione “Vangelo di Cristo”, proprio in un tempo in cui la Chiesa ha riscoperto, anche grazie al Concilio, la centralità della Parola? È forse il timore di complicare la comprensione? Ma a ben vedere, quel genitivo “del Vangelo di Cristo” non solo non complica, ma arricchisce: ci aiuta a comprendere che la benedizione di cui Paolo è portatore è legata al messaggio di salvezza, alla buona notizia che ha toccato la sua vita e ora egli desidera trasmettere ai fratelli di Roma.

Meditando questo passo, sento il bisogno di tornare all’essenziale: la benedizione che portiamo gli uni agli altri è vera solo se scaturisce dal Vangelo, e non da progetti umani. È una benedizione abbondante, come dice il testo latino, in abundantia: non misura, non calcola, non si limita a distribuire doni, ma dona Cristo stesso, nella potenza della sua Parola. Questo è ciò che Paolo desidera per la Chiesa di Roma. E forse, anche per noi oggi, tornare a dire: “verrò a voi con la benedizione del Vangelo di Cristo” significherebbe riscoprire che ogni nostra visita, ogni nostro incontro, ogni nostro passo nella Chiesa e nel mondo, ha senso solo se è trasparenza di questa buona notizia.

Rileggere dunque questo versetto con lo sguardo di Girolamo e con l’attenzione dei codici antichi, non è un esercizio da eruditi, ma un atto di fedeltà. Una fedeltà al testo, alla tradizione e soprattutto alla Parola che salva. È una piccola omissione, forse, quella della parola evangelii; ma come ogni parola della Scrittura, anche questa ha il peso dell’eterno. E non possiamo permetterci di lasciarla cadere nel silenzio.

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