Dopo aver presentato tre casi di imprenditori cristiani di successo (Ferrero, Domino's Pizza e Läderach) ci soffermiamo ora sul tema della ricchezza, proponendo alcuni stralci dal libro “Abitare la comunione” di Don Ugo Borghello (Edizioni Ares). Il testo offre una riflessione profonda e priva di moralismi sulla liceità del possesso e sulla misura del “quantum”, aiutandoci a rileggere in chiave cristiana la parabola del giovane ricco e a capire quale sia la radicalità evangelica richiesta da Cristo.
Questo contributo spirituale si inserisce idealmente tra le storie aziendali raccontate nel post precedente e le riflessioni conclusive che presenteremo nel prossimo.
IL RAPPORTO CON LA PROPRIETA’: IL GIOVANE RICCO SPIEGATO DA DON UGO BORGHELLO
Di seguito alcuni stralci di “Abitare la comunione”, libro di Don Ugo Borghello recentemente edito da Edizioni Ares, che ci aiutano a inquadrare la questione del possesso per i laici:
La scena del giovane ricco indica il passaggio dalle opere della legge alla sequela incondizionata di Cristo, un passaggio dal moralismo all'incontro di amore, ma purtroppo è prevalsa l'interpretazione di due cristianesimi, quello dei precetti e quello dei consigli evangelici, lasciati ai voti religiosi.[…] In realtà, la frase: «Una cosa ti manca ancora: vendi tutto quello che hai, e distribuiscilo ai poveri, e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi» (Lc 18, 22), non indica un prezzo da pagare per seguirlo, ma una radicalità di scelta nell'amore che non ammette compromessi. […] Dicendo: «Chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo» (Lc 14, 33) non si intendono i voti religiosi di povertà e celibato, ma la scelta di tutto cuore necessaria per entrare nel Regno, come succede col matrimonio: una scelta a metà è disastrosa. Le parole di Gesù sono chiarissime: "chiunque", e dunque si rivolge a tutti. Se uno non rinuncia a tutto ciò che ha, non è cristiano! […] rinunciare non vuol dire privarsi di tutto, ma essere disposto a fare a meno di tutto ciò che impedisca la sequela di Gesù. […] Zaccheo dà la metà dei suoi beni, ma in realtà dà tutto ciò che gli suggerisce lo Spirito, e Gesù gli può dire: «Oggi la salvezza è entrata in questa casa» (Lc 19, 9).[…] Solo se la Chiesa riesce ad attrarre il nostro cuore fino a convertirlo pienamente a Cristo, l'uso della nostra libertà collabora pienamente alla grazia. […] Molti cristiani nei secoli hanno inteso le parole di Gesù come necessità di rinunciare alle cose della terra per dimostrare che si è di Cristo. Magari interpretando male quei santi che, mossi da un empito di amore, si dimostravano distaccati da tutto il resto. I santi sono coloro che hanno visto la perla preziosa e sono disposti a tutto pur di averla; chi li imita, senza averla vista, pensa che rinunciando a tante cose si possa essere come loro, e cade perciò in una lettura moralistica della vita di fede. Tutto cambia con il dono d'amore che ci rende discepoli di Cristo, che ci prende il cuore e lo rende libero di seguirlo in ogni circostanza di vita […].[…] si può vivere da borghesi per lunghi anni senza accorgersi dell'abissalità dell'amor proprio. La gente fa molti sacrifici per avere consenso e non li chiama sacrifici. Se il consenso lo si cercasse in Cristo, sarebbe facile "perdere la vita" per Lui. […] La grazia, infinita, opera una nuova appartenenza, e in quest'azione salva il cuore dal giudizio del demonio che ci misura sulla base del nostro operato.[Tuttavia] Dal Vangelo appare evidente che la Carità "opera". Gesù […] ci dice […] che alla fine saremo giudicati dalle nostre opere: vestire l'ignudo, dar da bere all'assetato ecc. Non si può andare in Cielo a mani vuote. Non basta non fare male a nessuno, visto che siamo sulla terra per collaborare con Dio nell'operare il bene di tutti. Non esiste Carità senza opere!
Nel terzo e ultimo post, cercheremo di trarre alcune conclusioni sintetiche sul valore del lavoro cristiano e sulla possibilità di santificarsi attraverso la creazione di valore nella societò.
Gabriele

Domino’s pizza? Per carità!
RispondiEliminaScusi, perché?
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