Grazie ad Aurelio Porfiri per la pubblicazione di questa analisi sul rapporto tra liturgia e arte sacra.
Luigi C.
Don Samuele Cecotti, 2-6-25
Tali e tanti sono i guai che affliggono oggi la Chiesa che pare quasi fuori luogo porre a tema la questione dell’arte, della musica sacra e del mecenatismo ecclesiastico. Eppure proprio il rapporto della Chiesa con l’arte può essere cartina di tornasole adeguata a segnalare lo stato di salute o meno del Cattolicesimo.
La crisi che attanaglia da decenni Santa Romana Chiesa è prima di tutto crisi dottrinale, crisi di fede e di pensiero che poi si fa crisi di pratica e di costumi. Ciò è indubitabile e allora quale il ruolo dell’arte?
L’arte, di cui la musica sacra rappresenta il vertice, in tempi di salute spirituale, troverebbe il suo valorizzato spazio nella vita della Chiesa come espressione umana tra le più nobili per rendere onore al Signore, celebrarne la gloria, accompagnarne il culto, per edificare i fedeli, innalzare le anime a Dio, dare espressione sensibile alle verità della fede.
La Chiesa da sempre, in ragione del mistero dell’Incarnazione, ha riconosciuto nel sensibile non un ostacolo ma la via per portare gli uomini a Dio, è la logica stessa dei sacramenti, segni sensibili che sono mezzi efficaci della grazia, è la logica orientale dell’icona, è la logica tradizionale della liturgia che dice la trascendenza attraverso una prossemica rituale, attraverso gesti, posture del corpo, suoni e colori inseparabilmente intrecciati alla parola sacra.
L’arte dell’icona è arte sacra come sacra è l’arte di chi compone o esegue musica per il culto, arte sacra per sublime eccellenza è la stessa liturgia e chi la celebra deve possederne l’ars celebrandi, ovvero deve essere fedele esecutore di quel sacro capolavoro, di quella Gesamtkunstwerk divina che è, appunto, la sacra liturgia. Il liturgo è (deve essere) artista nel dare corpo alla lex orandi, non però nel senso contemporaneo della creatività soggettiva, bensì nel senso classico della tensione perfettiva al capolavoro, al rispecchiamento dell’archetipo divino.
La crisi della liturgia porta inevitabilmente con sé la crisi dell’arte sacra, in primis della musica sacra. Una volta smarrita la ratio tradizionale della sacra liturgia anche l’arte sacra subisce un graduale processo di svalutazione e di riassegnazione di fine.
Se la liturgia non è più azione sacra che si celebra in terra e nel tempo chiamata a compiere nel mistero e attraverso il rito ciò che è eterno, se la Chiesa non si comprende più come ponte tra Dio e gli uomini in quanto Corpo mistico e Sposa di Cristo Signore, l’Uomo-Dio, l’Eterno Pontefice, allora anche l’arte sacra (e la musica sacra in primis) perde la propria ragion d’essere, viene marginalizzata e/o ripensata con logiche profane di mera decorazione estetica, di riempitivo, di intrattenimento del “pubblico” dei fedeli, di aggregazione comunitaria dopolavoristica o di banale veicolazione di messaggi (l’arte ridotta a propaganda in stile pubblicitario) tanto teologicamente progrediti quanto orizzontali. È la morte dell’arte sacra, è la morte della musica sacra! Perché evaporato è il sacro! Questa è la penosa situazione in cui si trova la Chiesa in Occidente e non da oggi.
Non sarà allora banale dedicare una riflessione al tema del mecenatismo ecclesiastico e dell’impegno (anche economico) delle realtà ecclesiali per l’arte sacra (musica sacra in primis).
I luoghi di culto, in una logica cattolica tradizionale, sono luoghi sacri ovvero sottratti al mondo e riservati a Dio, a Dio consacrati. Tali luoghi devono esprimere appartenenza esclusiva a Dio, non solo escludendo da sé tutto ciò che è profano, ma anche attraverso una qualche visibilità del divino in immagini e segni dati dall’architettura sacra stessa e poi dalle arti sacre che possono essere impiegate nell’economia visiva dell’edificio sacro. Arte pittorica, scultorea, musiva, argentiera e orafa, ebanistica e vetraria a servizio della gloria di Dio.
È sempre possibile che un artista doni la propria arte gratis et amore Dei, magari in adempimento d’un voto o per una grazia ricevuta, ma non è e non può essere la regola, è e resta una eccezione. Chi deve provvedere all’arte sacra, ovvero alla realizzazione, alla perfezione e alla conservazione artistica degli edifici sacri è la Chiesa stessa. La Chiesa, come Sposa innamorata dello Sposo Divino, deve riservare il massimo del proprio impegno (anche economico, sull’esempio di Maria che unse i piedi di Gesù con il preziosissimo nardo … e si ricordi chi invece fece l’obbiezione circa i poveri) per l’arte sacra ovvero per la bellezza offerta a Dio per Sua maggior Gloria. Nulla è troppo bello o prezioso quando si tratta di rendere culto a Dio.
Se ciò è vero in genere per tutta l’arte sacra, lo è in grado eccelso per la musica sacra essendo la musica non semplicemente a servizio dell’edificio in cui si svolge il culto ma direttamente a servizio del culto stesso. La musica sacra, infatti, è parte dello stesso culto divino, è sacra liturgia.
Il culto cristiano non è separabile dalla musica sacra in quanto la sacra liturgia è canto sacro che la Chiesa innalza al Signore Dio. La natura della liturgia è di essere canto anche quando per accidens e per eccezione non è materialmente cantata. In questo le tradizioni liturgiche orientali e latina (vetus ordo) sono concordi e non ammettono dubbio alcuno, la preghiera pubblica della Chiesa è canto a Dio.
La sacra liturgia porta dunque in se stessa il canto sacro così che l’ars celebrandi è anche arte musicale. Ecco perché la Chiesa, sin dalle origini, ha riservato grande importanza al canto, elemento non marginale del culto divino.
Ancor più che le arti figurative e plastiche, la musica ha diretto rapporto con l’azione sacra così che l’impegno della Chiesa verso la musica sacra è non solo meritorio e tradizionale ma necessario.
La Chiesa deve coltivare la musica sacra per rendere degno onore a Dio nell’azione liturgica. Quando non vi siano ragionevoli impedimenti ogni celebrazione liturgica dovrebbe esprimersi in canto e la musica sacra dovrebbe accompagnare la vita orante della Chiesa, dalla Santa Messa all’Ufficio Divino e così ogni altra liturgia.
Ciò comporta la necessità di affiancare ai Sacerdoti persone istruite nell’arte della musica e ben formate alla liturgia così da saper eseguire i brani sacri per il culto. Sarebbe dunque auspicabile che in ogni chiesa vi fosse un organista titolare e una schola cantorum con il duplice ufficio di sostenere musicalmente le celebrazioni liturgiche e di insegnare in loco musica sacra/canto sacro.
Certo non sarà possibile ovunque ma si dovrebbe compiere il massimo sforzo perché lo sia nella maggior parte delle chiese. Sforzo anche economico perché se è giusto retribuire l’architetto, il pittore, lo scultore o il mosaicista che lavora ad una chiesa, altrettanto doveroso è retribuire chi offre al culto divino la propria arte musicale. Arte che deve essere capolavoro, che deve essere preparata e non improvvisata, che deve essere attentamente studiata in ragione della liturgia che si celebra, che richiede maestria ed esercizio.
La musica sacra per tornare ad essere veramente arte sacra che concorre intimamente alla Gesamtkunstwerk divina della liturgia secondo l’ars celebrandi del culto cattolico deve essere opera di artisti, di organisti e cantori che si sono formati nello studio approfondito tanto della tecnica musicale quanto della liturgia, se non anche della teologia.
Ciò però richiede che vi siano persone che possano “vivere di musica” anzi che possano “vivere di musica sacra”, la cui preoccupazione professionale sia coltivare/perfezionare la musica liturgica. Un tempo era così, per secoli e secoli la Chiesa ha stipendiato musici e cantori per il loro servizio al culto.
La trascuratezza in cui è confinata la musica liturgica nella maggior parte delle chiese è triste segno di decadenza e di quella crisi del sacro che è ormai dilagata ovunque. Ma si può/potrebbe ancora invertire il processo e restaurare il culto cattolico in tutto il suo splendore se solo ve ne fosse la volontà.
Ragioni economiche portano a ritenere impossibile in tutte le chiese un impegno così gravoso e ciò è certamente vero, almeno in parte. Si deve, infatti, ragionare sempre con la concretezza e il buon senso dei nostri avi sapendo mettere al primo posto le esigenze del culto sopra ogni altra spesa parrocchiale ma, allo stesso tempo, valutando la fattibilità degli impegni sulla realtà delle economie concrete. Una piccola parrocchia non sarà in grado di stipendiare l’organista mentre invece una importante chiesa collegiata, un santuario, un duomo o una cattedrale, una basilica potrà stipendiare non solo l’organista ma pure i cantori così da avere il loro servizio ogni giorno e per tutte le azioni liturgiche. Ma anche la piccola parrocchia farà bene a retribuire l’organista quando presta il suo servizio e a promuovere una schola cantorum locale.
Destinando una parte importante dei propri bilanci all’arte sacra (alla musica sacra in primis) le chiese tornerebbero, non solo, ad irraggiare bellezza ma ridiventerebbero centri di mecenatismo, di promozione dell’arte, di coltivazione di talenti, di cultura. Darebbero di che vivere onestamente a chi sceglie di dedicare la propria vita professionale alla musica sacra, ad esempio, incentivando i talenti musicali a dedicarsi al culto cattolico e promuovendo anche l’incremento del patrimonio musicale sacro. Infatti se le chiese più ricche stipendiassero stabilmente organista e maestro della schola ciò si potrebbe tradurre nell’impegno professionale non solo dell’esecuzione ma anche della composizione. E tutto questo a maggior gloria di Dio e a vantaggio della cultura cattolica.
La Chiesa un tempo già lo fece e lo fece plasmando l’arte e la cultura europea. Oggi è quasi tutto da ricostruire a partire dal primato del culto, della necessità della musica sacra per la liturgia, del valore incomparabile della bellezza offerta a Dio come nardo preziosissimo.
La Chiesa deve offrire a Dio la bellezza del culto e per farlo deve avvalersi di chi per talento e studio è maestro nell’arte. L’offerta a Dio della bellezza deve essere di tutte le membra dunque tutti vi devono concorrere con le proprie elemosine, colui che possiede l’arte e la mette a disposizione per il culto deve invece essere equamente retribuito perché ha diritto di vivere del proprio lavoro, della propria arte!