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lunedì 9 giugno 2025

”Quando la CEI dice ‘voltati’, mentre i Testi Originali dicono ‘convertiti’. E la Vulgata di San Girolamo sempre il meglio. Il caso del Cantico 7,1”

Grazie ad Investigatore Biblico sulle nuove traduzioni CEI.
Luigi C.

12-5-25

Nel cuore poetico e misterioso del Cantico dei Cantici, al capitolo 7, versetto 1 secondo la numerazione ebraica, risuona un invito dolce e insistente: “Shuvi, shuvi haShulamit, shuvi, shuvi…” – שׁוּבִי שׁוּבִי הַשּׁוּלַמִּית – parole che, come un’eco, chiamano con insistenza il ritorno della Sulammita, la figura femminile amata e misteriosa. Le versioni italiane più note della Bibbia, come la CEI 1974 e la CEI 2008, rendono questo versetto rispettivamente con “volgiti” e “voltati”, spostando l’accento su un movimento corporeo, un girarsi, come se si trattasse di un semplice cambio di direzione dello sguardo o del corpo. Eppure il verbo ebraico utilizzato, שׁוּבִי (shūvī), è ben più profondo e carico di risonanze spirituali.

Shuv è uno dei verbi più densi e centrali dell’Antico Testamento. Compare frequentemente nella predicazione profetica e nella spiritualità biblica per indicare il ritorno a Dio, la conversione del cuore, il rientrare nell’alleanza. Non si tratta solo di un movimento fisico, ma di un cambiamento di direzione esistenziale. È il verbo, ad esempio, che risuona nel profeta Osea: “Torna, Israele, al Signore tuo Dio” (Os 14,2), dove il verbo è proprio shuv.

La traduzione latina della Vulgata di san Girolamo comprende bene la profondità di questo termine, rendendo il versetto con: “Revertere, revertere Sulamitis, revertere, revertere…” Il latino revertere conserva e rispetta la dinamica spirituale del termine ebraico: significa “tornare indietro”, “fare ritorno”, ma anche “ravvedersi”. Non è un caso che nel Nuovo Testamento, quando si parla della conversione come ritorno al Signore, si usi lo stesso registro semantico, come in Luca 15, nella parabola del figliol prodigo: “Mi leverò e tornerò da mio padre” – dove il verbo greco è ἐπιστρέφω (epistréphō), lo stesso utilizzato dalla Settanta (LXX) in questo passo del Cantico, che così traduce: ἐπίστρεψον ἐπίστρεψον Σουλαμῖτις – un’esortazione forte e piena di amore: ritorna, non semplicemente “girati” o “voltati”.

E allora ci si chiede perché le Bibbie CEI, nella loro scelta di tradurre con “volgiti” o “voltati”, sembrano tradire quella profondità. Si potrebbe ipotizzare che abbiano voluto attenuare il tono mistico e spirituale del testo per restare più aderenti alla dimensione poetica del Cantico. Oppure, forse, è stata una scelta dettata da un’interpretazione estetico-letteraria, che però perde il cuore teologico di questo versetto.

Nel contesto del Cantico, la Sulammita si è allontanata, è uscita dalla scena amorosa e il coro – i “figli di Gerusalemme” – la invoca affinché ritorni, affinché la sua presenza possa ancora essere contemplata, amata, celebrata. Ma nell’eco del verbo shūvī c’è più che un invito estetico: c’è un desiderio di riconciliazione, di ricomposizione dell’amore. Ed è qui che l’Antico Testamento incontra la tensione del Nuovo: nel volto della Sulammita si può intravedere il volto della Chiesa, o dell’anima, che viene chiamata incessantemente a ritornare al suo Amato, a Dio.

Cristo stesso, nel Vangelo, riprende e compie questo movimento del cuore: “Convertitevi e credete nel Vangelo” (Mc 1,15), dove il termine greco è ancora ἐπιστρέφω, collegato strettamente al pentimento, al ritorno interiore.

Tradurre shūvī con “voltati” non solo riduce la ricchezza semantica del testo, ma priva il lettore di un filo rosso che attraversa tutta la Rivelazione: il tema del ritorno, della conversione, del ricominciare. In un tempo in cui tutto sembra spezzato e frammentato, forse proprio la riscoperta di parole antiche, di verbi pieni di storia e di salvezza, può aiutare a ricostruire, a ritornare, appunto, nel senso più profondo. E la Bibbia dovrebbe custodire, non smorzare, questi richiami. Non si tratta semplicemente di “voltarsi” per essere guardati, ma di “ritornare” per essere trasformati.