Vi proponiamo – in nostra traduzione – l’articolo di mons. Earl Kenneth Mario Fernandes, Vescovo di Columbus (Ohio) pubblicato sul quindicinale National Catholic Register il 14 aprile, in cui si commenta l’articolo del vaticanista Francis X. Rocca pubblicato sul mensile The Atlantic il 9 aprile 2025 (QUI; QUI ieri su MiL).
Il giovane Vescovo statunitense prosegue idealmente il citato articolo e prende spunto dalla sua storia personale e familiare per spiegare come il rinnovamento della Chiesa inizi sull’altare, quando rendiamo culto con timore reverenziale, umiltà e cuore aperto al mistero.
L.V.
Nel numero del 9 aprile della rivista The Atlantic [QUI; QUI su MiL: N.d.T.], Francis X. Rocca ha descritto il percorso che molti giovani Cattolici stanno intraprendendo verso la fede: un viaggio attraverso la tradizione verso una fede trascendente in ciò che sta al di là dell’esistenza ordinaria: angeli, santi, demoni e il sacrificio reale e incruento di Gesù nell’Eucaristia:
Forse in modo controintuitivo, questo ritorno alla tradizione sembra essere guidato dai giovani Cattolici, che costituiscono una percentuale sproporzionata dei devoti della Santa Messa tradizionale. Secondo un recente sondaggio […], il 44 per cento dei Cattolici che partecipavano al rito tradizionale almeno una volta al mese aveva meno di 45 anni, rispetto al solo 20 per cento degli altri membri di quelle Parrocchie.
So che ha ragione. Essendo uno dei Vescovi più giovani degli Stati Uniti, ho percorso la stessa strada. Tre anni fa, il 31 maggio, pochi mesi prima del mio cinquantesimo compleanno, sono stato consacrato Vescovo di Columbus, nell’Ohio, una delle Diocesi in più rapida crescita del Paese, caratterizzata da una diversità etnica in rapido aumento.
Per i miei genitori, immigrati dall’India con origini a Goa (da cui il nostro cognome portoghese), l’esperienza della vita parrocchiale cattolica in Ohio è stata uno shock culturale: chitarre, tamburi, danze liturgiche e altro ancora. La gente era meravigliosa e la vita comunitaria era autentica, ma a volte mio padre desiderava ancora un’esperienza più tradizionale. In quei giorni ci portava alla Chiesa parrocchiale di St. Joseph di Toledo (Ohio), dove si celebrava la Santa Messa tradizionale.
Il sacerdote era anziano, risaliva al periodo post-conciliare, e non aveva apportato molti cambiamenti. La balaustra per la comunione era sempre utilizzata e in quella chiesa non era mai stato installato un altare basso.
La nostra famiglia faceva un pellegrinaggio annuale alla Basilica and National Shrine of Our Lady of Consolation di Carey (Ohio), una magnifica basilica in campagna adornata con murales e sede di un fantastico organo. Dopo la Santa Messa, andavamo alla caffetteria del Santuario per il pranzo, che era memorabile perché era l’unica occasione in cui mangiavamo il dessert, dato che a mia madre piaceva la cheesecake. Poi c’era una processione con il Rosario per le strade, cantando con Nostra Signora della Consolazione.
Dopo, tornavamo alla Basilica per l’esposizione del Santissimo Sacramento. Ascoltavamo l’inno O salutaris Hostia, trascorrevamo del tempo in adorazione e concludevamo con l’inno Tantum Ergo Sacramentum e la benedizione. Al di fuori di quel pellegrinaggio, non avevamo mai sentito questi inni cattolici classici, ma ci erano diventati profondamente familiari. Quelle visite annuali alla Basilica and National Shrine of Our Lady of Consolation di Carey hanno seminato così tanto in quella che potrei definire la mia immaginazione cattolica che non mi hanno mai abbandonato.
Man mano che avanzavo nella vita, dall’università alla facoltà di medicina, cominciai a dare più senso alla Messa. Per me, il canto gregoriano durante la Messa era molto più in sintonia con ciò che la Messa è veramente: il bellissimo sacrificio incruento di Nostro Signore. Ero giovane, ma ricordo di aver pensato che volevo la religione di un tempo, proprio come mio padre.
Un sacerdote durante la Messa sorrideva molto e ho iniziato a pensare che avrei potuto diventare sacerdote ed essere felice. Così ho scelto di rispondere alla chiamata di Dio al sacerdozio. Ho studiato a Roma [nella Pontificia Accademia Alfonsiana: N.d.T.], ho insegnato in seminario [nel Mount Saint Mary's Seminary of the West di Cincinnati: N.d.T.] e poi sono stato segretario del Nunzio Apostolico negli Stati Uniti d’America a Washington D.C. [prima mons. Carlo Maria Viganò e poi mons. – ora card. – Christophe Louis Yves Georges Pierre: N.d.T.], prima di tornare in Ohio come Parroco [nella Parrocchia di Sant'Ignazio di Loyola a Cincinnati: N.d.T.]. Sono rimasto piuttosto scioccato nello scoprire l’assenza di gran parte di ciò che mi aveva avvicinato a Dio.
Molte persone non si inginocchiavano davanti a Nostro Signore, perché raramente avevano visto qualcuno farlo. Le chitarre e le danze liturgiche erano ancora comuni. Quasi nessuno degli oltre mille bambini della mia Parrocchia aveva mai sentito o sapeva cantare l’inno Immaculate Mary. E il sacerdote che avevo sostituito era stato accusato, e alla fine si era dichiarato colpevole, di aver abusato sessualmente di almeno sette minori. Sapevo che dovevo aiutare a ripristinare la fede e la fiducia della comunità, il che richiedeva molto lavoro, ascolto e quel senso di riverenza liturgica di cui sia io che mio padre avevamo bisogno.
Quando mons. Salvatore Joseph Cordileone, Arcivescovo metropolita di San Francisco, e la prof. Jennifer Donelson-Nowicka mi hanno invitato al Fons et Culmen Liturgy Summit (liturgysummit.org), ho accettato con entusiasmo. Ho riflettuto su come, sia nell’Antico Testamento che nel Nuovo Testamento, il Signore ci abbia dato dei comandamenti su come voleva che lo adorassimo.
Nell’Antico Testamento, ad esempio, a Mosè vengono date leggi liturgiche molto specifiche, persino sull’olio consacrato usato per consacrare Aronne e i suoi figli. E così ci sono cose riservate all’adorazione di Dio.
Allo stesso modo, Gesù dà indicazioni chiare quando istituisce l’Eucaristia durante l’Ultima Cena. Cosa significa che Dio ci comanda questo? Come rispondiamo in obbedienza a Dio? E come può il nostro culto essere centrato su Dio, come può essere cristocentrico?
Spesso parliamo della liturgia come di un lavoro che facciamo per conto degli altri, ma in realtà è l’opera di Cristo per conto degli altri, e noi ci uniamo a questa opera salvifica di Cristo.
Ma come avviene tutto questo? E in che modo adempiamo il comando di Dio nel farlo?
Trovo curioso come l’inno sia diventato predominante in ciò che i fedeli cantano – o non cantano, in molte Parrocchie – durante la Messa. Se la maggior parte delle antifone di comunione e di ingresso sono tratte dai Salmi o da altre parti della Scrittura, perché le sostituiamo con creazioni umane?
La chiave sta nel guardare nuovamente all’idea di sacrificio. Dio ci chiede determinate cose: obbedendo a Dio, possiamo offrire un culto sacrificale rivolto alla parola di Dio ed essere più cristocentrici nella nostra visione.
Papa Francesco ha chiesto una migliore formazione liturgica, che, come ha specificato, non è solo per i sacerdoti, ma per tutti. Ha anche sottolineato la necessità del silenzio per vivere il mistero, per accogliere la parola, meditare o contemplare. Spesso, nei nostri spazi liturgici non abbiamo musica che favorisca la contemplazione. Stiamo leggendo la costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium del Concilio Vaticano II attraverso questa lente cristologica? E le nostre pratiche liturgiche lo riflettono?
C’è più continuità tra il pensiero di papa Francesco e quello di Papa Benedetto XVI di quanto possa sembrare a prima vista, nonostante le restrizioni contenute nella lettera apostolica in forma di «motu proprio» Traditionis custodes sull’uso della liturgia romana anteriore alla riforma del 1970. È stato Papa Benedetto XVI che, nella lettera enciclica Deus caritas est sull’amore cristiano, ha scritto che essere Cristiani non è il risultato di una scelta etica o di un’idea elevata, ma è il risultato dell’incontro con una persona che apre nuovi orizzonti e dà alla nostra vita una direzione decisiva.
Durante la Messa dovremmo incontrare la persona di Gesù Cristo, e questo dovrebbe cambiare la nostra vita. Nell’esortazione apostolica postsinodale Sacramentum caritatis sull’Eucarestia fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa, Papa Benedetto XVI ha paragonato l’offerta della Messa a un esperimento di fissione nucleare, un’esplosione dell’amore di Dio nella realtà umana.
Allora perché non sono più numerosi i fedeli che vivono la Messa in questo modo?
Una risposta è che molte delle nostre liturgie sono, a livello umano, poco stimolanti, frettolose, banali. Ho visto un’intervista a una donna britannica che aveva partecipato a una liturgia ortodossa. «Non capivo la lingua», ha detto, «ma non sapevo se fossi in cielo o in terra. Era così bello».
E mi chiedo quanti Cattolici potrebbero dire di aver avuto un’esperienza simile durante la Messa.
La riverenza non è limitata a una sola forma di liturgia. Quando ho celebrato la Messa per le Missionarie della Carità (di Santa Teresa di Calcutta), i semplici inni cantati dalle suore mi commuovono e mi avvicinano a Dio perché cantano con tanta chiarezza e dal cuore il loro amore per il Signore. A Columbus abbiamo Cattolici eritrei, nigeriani, ghanesi e camerunesi, sia anglofoni che francofoni. I Nigeriani sono stati in gran parte evangelizzati dagli Irlandesi, ma cantano il Gloria e altre parti della Messa in latino. I loro inni durante la processione dell’Offertorio e la Comunione sono nella loro lingua, ma sono riverenti, e usciamo da queste Messe sapendo di aver adorato il Signore con gioia. Hanno molto da insegnarci.
Come pastore, ho costruito su un fondamento importante: nessuno vuole l’irriverenza. I fedeli potrebbero non riconoscere sempre ciò che è riverente e ciò che non lo è, ma nessuno vuole l’irriverenza. Il senso della «partecipazione attiva» alla Messa è la preghiera. È l’adorazione. E tutto ciò che favorisce una vita interiore di preghiera è ciò che edifica la Chiesa.
Vi confesso, fratelli e sorelle: in parte era egoismo. Volevo poter pregare davvero durante la Messa, senza essere irritato. Molti non si rendono conto che per un sacerdote celebrare la Messa è il momento clou della giornata, anzi, il momento clou della vita. Ma per farlo bene, un sacerdote deve poter pregare, e questo richiede silenzio durante la liturgia.
Ho avuto la gioia di partecipare alla Pasqua, la loro Veglia Pasquale, nella Chiesa cattolica eritrea di Columbus. È stato bellissimo. Non capivo nulla della lingua, ma non importava. Riuscivo comunque a capire cosa stava succedendo e vedevo come adoravano Dio, e che adoravano Dio. La bellezza sacra della liturgia è un linguaggio universale che trascende le nostre differenze.
Quando le cose sono sante e sacre, sono percepite come tali da tutti.
E ancora: se si perde Dio, si perde tutto. Dobbiamo quindi tenere gli occhi e il cuore fissi sul Signore. Prego affinché la Chiesa comprenda l’unità fondamentale che accomuna gli ultimi tre Papi, un’unità radicata nella verità che la partecipazione interiore e orante alla Messa è la cosa più importante che possiamo fare.
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