Grazie ad Investigatore Biblico per le analisi sui "tagli" nelle letture del Novus Ordo.
Luigi C.
13-5-25
Quando Giuda esce dal cenacolo, si compie un mistero profondo e silenzioso: “Quando fu uscito, Gesù disse: Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui”. L’oscurità dell’azione di Giuda apre lo spazio a una luce nuova, paradossale: proprio nel momento del tradimento si attiva il tempo della glorificazione. Qui non si tratta di un trionfo umano, ma di un’epifania dell’amore che si dona fino alla fine, fino alla croce. È in questo contesto che Gesù nel Vangelo pronuncia parole che dovrebbero rimanere intatte, custodite nella loro interezza, e invece vengono oggi, nella pericope liturgica proposta per la V Domenica di Pasqua (18/05/2025), mutilate in modo discutibile (vedi qui Liturgia del giorno 18 Maggio 2025 sito ufficiale della CEI – Chiesacattolica.it). Il versetto 33 viene proposto solo nella parte iniziale (“Figlioli, ancora per poco sono con voi”), mentre viene tagliata la parte decisiva: “Voi mi cercherete, ma come ho detto ai Giudei, lo dico ora anche a voi: dove vado io, voi non potete venire”.
Questo taglio è grave. Non solo per un rispetto formale al testo evangelico, ma perché viene soppressa una chiave ermeneutica fondamentale per comprendere il senso profondo del comandamento nuovo che Gesù consegna subito dopo: “che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi”. Senza il contesto della separazione, della distanza incolmabile, questo comandamento rischia di diventare solo un’esortazione etica, un ideale alto ma astratto. Invece, quelle parole tagliate dicono il dramma della Pasqua: Gesù sta andando là dove nessuno può seguirlo, sta entrando nella notte del Getsemani, nella solitudine del processo, nell’abisso della croce. Eppure, proprio mentre si separa, consegna un amore che diventa criterio della comunione futura.
Nel Vangelo di Giovanni, “dove io vado” è un’espressione ricca di densità teologica. Ricorre spesso nei discorsi dell’addio (Gv 7,34; 8,21-22; 13,33; 14,2-4) e rimanda sempre al mistero della morte, resurrezione e ascensione. In Giovanni 7,34 Gesù lo dice ai Giudei: “Voi mi cercherete e non mi troverete, e dove sono io, voi non potete venire”. Qui la separazione è legata all’incredulità. Ma in 13,33 Gesù ripete questa frase ai discepoli, con un tono di intimità: “Figlioli…”. Non è più un rimprovero, ma una constatazione colma di dolore e di speranza: ora non potete venire, ma poi mi seguirai (cf. Gv 13,36).
È Pietro infatti che, poco dopo, lo interroga: “Signore, dove vai?” e Gesù risponde: “Dove io vado, tu per ora non puoi seguirmi; mi seguirai più tardi” (Gv 13,36). Qui si apre la pedagogia del discepolato pasquale. L’assenza del Maestro non è definitiva, ma educativa. È il tempo della fede, della sequela nella prova, della carità che si esercita nel buio. Tagliare queste parole vuol dire amputare il cuore stesso del messaggio.
Anche l’Antico Testamento conosce questa dinamica. Mosè non può entrare nella terra promessa (Dt 34,4), Elia viene rapito in cielo e lascia a Eliseo il suo mantello (2Re 2,11-14). È un’esperienza biblica profonda: ci sono percorsi che si compiono in solitudine, non per escludere, ma per generare. Gesù, come Mosè, prepara il suo popolo a camminare senza di lui, e come Elia, lascia un mandato che sarà compiuto nello Spirito.
Quando Gesù dice: “Dove vado io, voi non potete venire”, non sta negando l’accesso, ma sta rivelando che la via della croce non è imitabile meccanicamente. È un mistero da accogliere nella fede. Solo più tardi, quando sarà compiuto il sacrificio, allora si aprirà il cammino: “E quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi” (Gv 14,3).
La liturgia, nel suo intento pastorale, talvolta sceglie di abbreviare, di selezionare. Ma qui la selezione diventa mutilazione. Non solo si toglie un pezzo di testo, si cancella un nodo teologico ed esistenziale. Senza quel versetto completo, l’amore che Gesù ci chiede diventa un imperativo morale svuotato del suo radicamento pasquale. Invece, è proprio perché Gesù ci precede nella gloria attraversando la solitudine della morte, che l’amore reciproco diventa testimonianza del Regno.
In Atti 14,22 leggiamo: “Dobbiamo entrare nel Regno di Dio attraverso molte tribolazioni”. Questo è il percorso dei discepoli: non possono evitare la distanza, la prova, la notte. Ma in questo tempo che sembra vuoto della presenza, resta il segno visibile e concreto della comunione fraterna. Solo così il mondo può credere.
La scelta liturgica di tagliare quel versetto non rende un buon servizio alla comunità. Si priva l’assemblea di una parola che avrebbe potuto illuminare la difficoltà del distacco, della solitudine, della prova. Si priva del dramma, per offrire solo la luce. Ma la luce vera, quella pasquale, nasce solo attraversando la notte. E questo, la pagina intera del Vangelo, lo diceva con forza.