
Continuiamo le analisi sul nuovo pontificato di Leone XIV.
Luigi C.
Aldo Maria Valli, 16-5-2025, di Armin Schwibach
Caro Aldo Maria,
mi permetto una nota personale. Condivido pienamente quello che dici nel tuo articolo “Su Leone XIV e la linea di Duc in altum”. Lo condivido e lo comprendo perché vengo dalla stessa esperienza. Hai ragione quando scrivi: “Nei confronti dei papi nuovi ho l’innamoramento facile”. Sì, perché siamo cattolici!
Quando l’8 maggio ho sentito il nome, quando ho visto che dalla loggia delle benedizioni si stava affacciando un Papa e non un losco figuro, non ho potuto evitare di pensare a che cosa provai il 13 marzo 2013. Ero in piazza San Pietro, e all’apparire di Bergoglio mi sentii completamente sfinito, nauseato, distrutto fin dal primo secondo. Ricordo che ero stato invitato da una televisione cattolica tedesca per commentare l’elezione, ma non ci andai. Non ci riuscii.
L’8 maggio invece, giorno della Madonna, giorno di san Michele, ho avuto una netta sensazione: come se croste soffocanti cadessero, come se potessi respirare di nuovo.
L’ho sempre detto: il nuovo Pontefice dovrà chiamarsi o Leone o Clemente. Puoi quindi immaginare quando ho sentito il nome scelto! Ecco, mi sono detto, abbiamo il nomen, e questo significa che è il giusto omen!
La storia ci mostrerà il resto, ma per il momento mi godo una profonda gioia. Dopo il soffocamento, dopo la distruzione, dopo il nulla, Dio mi ha donato questo amor intellettualis.
In una settimana Leone XIV non ha commesso nessun errore. La strada mi sembra segnata.
In particolare, il discorso di Papa Leone XIV in occasione del Giubileo delle Chiese orientali rappresenta un segnale di grande rilievo spirituale ed ecclesiastico: il rinnovamento della Chiesa non risiede in un adeguamento strategico ai processi politici, bensì in un ritorno alle origini della fede. Onorando le Chiese orientali non come fenomeni marginali, ma come Chiese delle origini – radicate nella lingua, nella liturgia e nella spiritualità della Chiesa primitiva –, il Papa sposta il centro dell’autocomprensione cattolica nel luogo della prima rivelazione. Nella gioia pasquale, nella luce della celebrazione dei misteri, nel martirio del tempo presente, egli riconosce l’azione del Risorto.
Questo discorso non si pone quindi soltanto sotto il segno del Giubileo, ma in un certo senso si presenta come un programma di pontificato: un pontificato che non solo onora l’Oriente, ma vuole imparare da esso. In tale atteggiamento risuona una fiducia pasquale di fondo, che potrebbe segnare la Chiesa di domani se essa sarà disposta a mettersi in cammino verso l’Oriente, per trovare nell’origine il futuro.
Ora andiamo avanti. Abbiamo di nuovo un Papa. Per di più un agostiniano in tutti i sensi. Che cosa posso volere di più?
Dodici anni di chiacchiere: finiti. Dodici anni di cattiverie: finiti. Dodici anni di dittatura: finiti. Dodici anni di violenza: finiti. Si respira.
Sì, habemus Papam! Abbiamo un Papa cattolico, che crede. Nel segno di Cristo e della sua Santissima Madre.
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