Trovato il “terzo uomo”: un bergogliano non bergogliano
I cardinali conclavisti
cercavano un “terzo uomo” e lo hanno trovato dopo quattro scrutini: lo
statunitense Robert Francis Prevost, 69 anni, agostiniano, americano d’origine
ispanica, a lungo missionario in Perù, poliglotta di vasta cultura, discreto e
grande lavoratore. Il cardinale scelto ovviamente ha avuto almeno 89 voti e
forse ha superato 100. Il suo annuncio ha provocato subito nel mondo grande
sorpresa e non pochi sono rimasti sbalorditi. A tutto si poteva pensare tranne
che a un pontefice statunitense, in un’ora come questa, quasi un “antagonista”
di Donald Trump.
Tutto ciò indica che le
riunioni pre conclave sono state utili se non altro per trovare il minimo
comune denominatore a partire dal quale individuare una figura di garanzia. Era
questa la grande sfida dopo un pontificato che ha lasciato insoddisfazione quasi
in tutti soprattutto per eccessiva relatività delle regole. In altre parole
meno eufemistiche: arbitrarietà, cosa innominabile per rispetto, questione che
però ha egemonizzato le discussioni.
Il compromesso
La contesa non era tra progressisti e conservatori, almeno nei termini ampiamente diffusi prima. Hanno trovato la sintesi nella persona del cardinale agostiniano Robert Prevost, al tempo stesso “bergogliano” ma anche “non bergogliano”.
Il nuovo papa dunque è un frutto del compromesso e non dello scontro, una soluzione politica e non militare si direbbe nel mondo geopolitico che asfissia quasi l’umanità tutta, situazione che era presente nei conclavisti anche con angoscia.Ed è questa la prima e più
grande lezione che si può evincere da tutti gli incontri tra cardinali, prima e
dopo del conclave. Si dirà che il nuovo pontefice è un simbolo del
«rinnovamento nella tradizione». Oggi, con la terminologia dei nostri tempi, si
potrebbe dire un «riformista nel consenso». La chiesa sembra voler ricuperare
così la parola per tornare a essere rilevante nel mondo senza dover
politicizzare questa sua missione.
Insomma, nessuno voleva
frenare il cosiddetto “slancio riformista” di Bergoglio ma nessuno, avranno
detto molti cardinali che hanno negoziato il proprio voto con il favorito,
vorrebbe una spaccatura tra i sostenitori del cambio e coloro che sono stati chiamati
“indietristi”. Ecco il senso del “terzo uomo”, e cioè spazzare via gli indizi
di guerra civile che fiorivano qua e là da almeno cinque anni e testimoniare in
prima persona la pace predicata.
Il nome
Il nome dell’eletto –
Leone XIV – è molto significativo se proiettato indietro, nel passato, e a
maggior ragione in avanti, verso al futuro della chiesa, difficilissimo e
insidioso. È quello di papa Pecci (1878), padre della Dottrina sociale della
chiesa, padre della Rerum Novarum, la madre delle encicliche sociali.
La presentazione
stilistica del papa dalla loggia centrale della basilica dice molto. Occorre
infatti ricordare la grande sorpresa di Francesco nel 2013: un abito talare
bianco, un po’ stretto, e pochissimi altri segni papali, cosa che da subito
fece pensare ai paramenti pontificali solenni con cui si presentò nel 2005 papa
Joseph Ratzinger.
Le prime parole, il
“saluto” del nuovo vescovo di Roma alla sua città-diocesi e al mondo, l’ormai
famoso Urbi et Orbi, è infine ciò che più si aspettavano i popoli ma anche i
governi: la pace. Infatti, da subito, usando le parole di Cristo ha quasi urlato:
«La pace sia con voi, una pace umile, perseverante e disarmata». Ricordando con
affetto le parole di Francesco ha riproposto una riflessione fortemente
cristocentrica.
Non è passata inosservata,
e non lo sarà nei prossimi giorni, l’emozione del nuovo papa, le lacrime, ma al
medesimo tempo la assoluta sicurezza con la quale si è mosso davanti a migliaia
di fedeli, turisti e pellegrini, sapendo di essere anche in mondovisione.
Con Leone XIV è probabile
una grande svolta nell’agire quotidiano della chiesa e soprattutto nel suo
ruolo nel mondo dilaniato, dove papa Prevost scende in punta di piedi.
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