Anche Papa
Leone XIV ha davanti a se la sfida una sfida mediatica: la comunicazione
vaticana e il rapporto con i vaticanisti. Stralci. (L.B. – “Domani”)
Leone XIV con il suo discorso ai giornalisti conferma di volere entrare ovunque in punta di piedi. Nessuna lezione e nessuna enfatizzazione, grande rispetto per tutti coloro che a titolo diverso lavorano nel mondo della comunicazione e che lui chiama «amici». Per rispetto, in particolare nei confronti di chi facendo questo mestiere ha perso la vita o la libertà, il papa chiede un impegno significativo: «Portare avanti una comunicazione diversa, che non ricerca il consenso a tutti i costi, non si riveste di parole aggressive, non sposa il modello della
competizione, non separa mai la ricerca della verità dall’amore con cui umilmente dobbiamo cercarla».Poche parole, schiette, e
un vero programma. Non per usarsi l’uno con l’altro bensì – precisa – per
«conoscerci meglio» col passare del tempo. E qui Leone XIV torna alla sua
lettura della attualità più drammatica, la guerra, che «comincia da ognuno di
noi: dal modo in cui guardiamo gli altri, ascoltiamo gli altri, parliamo degli
altri; e, in questo senso, il modo in cui comunichiamo è di fondamentale
importanza: dobbiamo dire “no” alla guerra delle parole e delle immagini,
dobbiamo respingere il paradigma della guerra».
In queste riflessioni, pacate, senza enfatizzazioni o annunci spettacolari, il vescovo di Roma – che da sempre ha avuto un rapporto con i media gentile e sincero – non poteva mancare il fondatore del carisma agostiniano. «Viviamo tempi difficili da percorrere e da raccontare, che rappresentano una sfida per tutti noi e che non dobbiamo fuggire» osserva il papa. Che poi aggiunge: questi tempi «chiedono a ciascuno, nei nostri diversi ruoli e servizi, di non cedere mai alla mediocrità. La Chiesa deve accettare la sfida del tempo e, allo stesso modo, non possono esistere una comunicazione e un giornalismo fuori dal tempo e dalla storia. Come ci ricorda sant’Agostino, che diceva: “Viviamo bene e i tempi saranno buoni. Noi siamo i tempi”».
Alla fine il papa chiamerà
questa fatica – da affrontare con coraggio e con perseveranza – «comunicazione
di pace». Questo è il nocciolo delle sue riflessioni, che colpiscono sia per i
contenuti sia per lo stile.
Se c’è qualcosa di papa
Leone XIV che brilla di luce propria è il rifiuto delle enfatizzazioni e del
voler agire sempre e comunque in modo sorprendente. Lo ha detto subito ai
cardinali: «Dio ama comunicarsi, più che nel fragore del tuono e del terremoto,
nel “sussurro di una brezza leggera”». Parole che si adattano bene, come è
stato scritto su questo giornale, a un papa che «non si è visto arrivare»,
probabilmente perché convinto che occorre «sparire perché rimanga Cristo, farsi
piccolo perché lui sia conosciuto e glorificato».
A questo punto sono chiare
la visione e l’ottica di Leone sulla questione dei media, centrale anche per la
chiesa e il papato. Francesco ha accresciuto questa rilevanza fino a limiti
impensabili quando alla Chiesa non piaceva più di tanto la libertà di stampa.
Ora sono attesi
cambiamenti nell’apparato comunicativo della Santa sede, in particolare
nell’ambito della riforma dei media in corso dal 2015. I bilanci, anche durante
la sede vacante e il conclave, non sono lusinghieri, anche perché i costi
sembrano lievitare in misura del tutto sproporzionata rispetto ai risultati.
Adesso papa Leone deve fare i conti con la “sua” comunicazione. Ma già c’è
stata una prima misura: la scomparsa della cosiddetta sala stampa di Santa
Marta.
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