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giovedì 29 maggio 2025

Le restrizioni al pellegrinaggio di Chartres: dalle meschinità amministrative alla pace liturgica

Vi proponiamo – in nostra traduzione – la lettera 1214 bis pubblicata da Paix Liturgique il 28 maggio, in cui si riporta un articolo del giornalista ed editore Guillaume Jourdain de Thieulloy, pubblicato il 23 maggio sul sito Le Salon beige (QUI).
L’articolo commenta le tensioni che da alcuni mesi si sono create attorno alle Sante Messe tradizionali celebrate durante il Pèlerinage de Pentecôte (da Parigi a Chartres), culminate con la lettera ai Vescovi scritta da Mons. Vincent Jordy, Arcivescovo metropolita di Tours e Vicepresidente della Conférence des évêques de France, seguita dalle richieste di compromesso di mons. Philippe Christory, Vescovo di Chartres (che celebrerà la Santa Messa tradizionale di chiusura del pellegrinaggio), di cui abbiamo ampiamente scritto questa mattina QUI su MiL.

L.V.


Si parla molto, ultimamente, della lettera firmata da mons. Vincent Alexandre Édouard Élie Jordy, Arcivescovo metropolita di Tours, e cofirmata da mons. Dominique Julien Claude Marie Lebrun, Arcivescovo metropolita di Rouen, vera e propria dichiarazione di guerra amministrativa contro il Pèlerinage de Pentecôte (da Parigi a Chartres), indirizzata a tutti i Vescovi di Francia. Come molti, ne ero venuto a conoscenza circa due settimane fa e mi aveva sconcertato il divario tra la meschinità burocratica della lettera e l’entusiasmo contagioso dei giovani pellegrini. Naturalmente, l’avevo inoltrata ai dirigenti dell’associazione Notre-Dame de Chrétienté (che non avevano bisogno di me per esserne a conoscenza!). Ma, molto saggiamente, non avevano voluto reagire, tanto più che la lettera era, in quel momento, ancora riservata. Da allora, la lettera è stata pubblicata da diversi media; è persino diventata un evento internazionale (vedi ad esempio QUI o QUI). E suscita una serie di osservazioni.

Preciso che sono solo un laico in fondo alla panchina. Non pretendo alcuna autorità né magisteriale né liturgica (è ovvio, ma è meglio dirlo). Preciso anche che parlo con maggiore libertà in quanto non ho alcun ruolo nell’organizzazione del Pèlerinage de Pentecôte e non sono un «tradizionalista» di stretta osservanza (ho scoperto alcuni anni fa sulla stampa di essere un «tradismatico» , una specie di cui ignoravo l’esistenza prima di scoprire di esserne un archetipo): in poche parole, preferisco la Santa Messa tradizionale che mi sembra esprimere più chiaramente della nuova la fede eucaristica della Chiesa cattolica, ma frequento più o meno altrettanto spesso la Messa di San Paolo VI. In generale, se sono «Cattolico prima di tutto», sono, come la maggior parte dei fedeli laici, impegnato principalmente in lotte temporali e mi batto affinché tutti i Cattolici di convinzione possano discutere e agire insieme per il bene comune (non oso dire, come diceva spesso il caro Hervé Pinoteau, che sono «ecumenico e dialogante», ma il cuore c’è…).

È perché la lettera apostolica in forma di «motu proprio» Traditionis custodes sull’uso della liturgia romana anteriore alla riforma del 1970 distruggeva la pace liturgica fragilmente restaurata da Papa Benedetto XVI che mi sono opposto. Ed è per lo stesso motivo che trovo questa lettera episcopale estremamente inopportuna.

Naturalmente, tutti saranno d’accordo con i principi generali. Sappiamo bene che il Vescovo ha l’autorità esclusiva sulla liturgia nella sua Diocesi e che un’organizzazione laica non ha, al contrario, alcuna autorità in materia liturgica.

Ma non si capisce molto bene il nesso con il Pèlerinage de Pentecôte.

L’associazione Notre-Dame de Chrétienté non ha mai preteso di dettare regole liturgiche. Afferma semplicemente il suo attaccamento alla liturgia tradizionale. È un suo diritto. So bene che da decenni il diritto viene calpestato nella Chiesa in nome di idee fumose, ma questo non può impedire al diritto di esistere. E niente e nessuno (nemmeno i Vescovi, nemmeno il Papa) potrà impedire che una liturgia di quindici secoli sia proibita. A dire il vero, c’è qui qualcosa che forse mi sta ancora più a cuore del diritto dei fedeli: questa Santa Messa tradizionale, che risale essenzialmente a San Gregorio Magno, ha per così dire dei diritti su di noi. Anche coloro che non vi assistono mai dovrebbero nutrire per essa la più grande venerazione (proprio come noi che non assistiamo quasi mai alla Messa di San Giovanni Crisostomo abbiamo il massimo rispetto per essa poiché ci «collega» alle fonti della nostra fede).

Aggiungo che è molto bello ricordare l’autorità del Vescovo diocesano in materia liturgica, ma chi non ha mai assistito a Messe che violano palesemente le regole liturgiche e che tuttavia non suscitano mai la minima riserva episcopale? Sembra che l’unica cosa proibita nella Chiesa contemporanea sia pregare come i nostri antenati. Come volete che questo non minacci l’idea stessa di Tradizione e l’idea stessa di autorità? I nostri Vescovi dovrebbero stare attenti: se la Chiesa ha sbagliato in modo così massiccio per quindici secoli, come potremmo fidarci di lei oggi?

Per il resto, le regole stabilite in questa lettera mi sembrano semplicemente assurde. Ogni sacerdote che partecipa al pellegrinaggio dovrà chiedere a ogni Vescovo di ogni Diocesi attraversata un’autorizzazione speciale per celebrare la Santa Messa? È assurdo. Nessuno lo ha mai fatto per nessun pellegrinaggio.

Per quanto riguarda la questione della confessione, è ancora più incomprensibile. Come migliaia di fedeli, ho ricevuto questo sacramento in entrambi i riti. Non pretendo di essere uno specialista, ma come semplice «utente» non ho notato alcuna differenza. Un amico più esperto di me mi ha detto che la differenza principale è che il sacramento, nel rito di San Paolo VI, dovrebbe normalmente essere celebrato durante una liturgia. È possibile, ma non accade quasi mai e non si capisce come ciò possa essere praticato concretamente durante un pellegrinaggio. In ogni caso, se questa è la regola liturgica, significa che la maggior parte delle chiese dove si celebra esclusivamente la Messa di San Paolo VI sono in infrazione e che, per metterle in regola, bisognerebbe vietare quasi tutte le confessioni. Sembra talmente grottesco che è difficile capire cosa si voglia realmente ottenere. Il vecchio parlamentare che è il vostro servitore non può fare a meno di pensare, a questo proposito, che una legge il cui fine è così confuso non può che essere una distruzione della legge.

Non ho alcun consiglio da dare né ai firmatari di questa lettera, né ai Vescovi destinatari, né agli organizzatori del Pèlerinage de Pentecôte, ma mi sembra che, se si vuole evitare di aggravare ulteriormente, da un lato, quella sorta di guerra civile latente che impedisce ai fedeli cattolici di Francia di agire insieme per la missione e per il bene comune della società (e Dio solo sa quanto l’attualità dimostri che la missione e il servizio del bene comune sono più urgenti che mai!), e dall’altro il disprezzo della legge e dell’autorità, la cosa migliore sarebbe dimenticare questa lettera a dir poco confusa e fonte di confusione.

Ero a questo punto delle mie riflessioni su questa lettera – che avrebbe guadagnato, per la reputazione dei firmatari, a rimanere riservata – quando ho preso conoscenza di una lettera di mons. Philippe Maurice Marie Joseph Christory Comm. l’Emm., Vescovo di Chartres, all’associazione Notre-Dame de Chrétienté. Questa lettera sembra costituire un modo per applicare, come meglio si può, le direttive inapplicabili di mons. Vincent Jordy. Tra l’altro, noto che quest’ultimo assicura che la richiesta di istruzioni minuziose a Roma proviene dal Vescovo di Chartres, cosa che quest’ultimo nega da parte sua (anche in questo caso, si crede davvero che queste affermazioni contraddittorie possano rafforzare la fiducia dei fedeli nei loro pastori?).

In ogni caso, rilevo nella lettera di mons. Philippe Christory:
  • che il Vescovo di Chartres assisterà alla Santa Messa tradizionale nella Cathédrale Notre-Dame di Chartres e terrà l’omelia (forse i pellegrini non sono poi così indesiderabili, dopotutto!);
  • che i sacerdoti sono autorizzati a confessare nel Vetus Ordo;
  • che, «per il bene dei fedeli», la celebrazione della Santa Messa tradizionale è autorizzata dal Vescovo di Chartres sul territorio della sua Diocesi e il Vescovo affida all’associazione Notre-Dame de Chrétienté il compito di concordare con lui i dettagli pratici.

Un ultimo punto mi ha incuriosito nella lettera di mons. Philippe Christory: egli autorizza i sacerdoti che lo desiderano a concelebrare nel nuovo rito accanto alla Cathédrale Notre-Dame di Chartres prima della Santa Messa solenne che sarà quindi celebrata nel rito tradizionale. Ma confesso che non riesco a capire a chi possa giovare questa autorizzazione. In logica, i sacerdoti che accompagnano un pellegrinaggio detto «tradizionalista» non hanno motivo di voler concelebrare nel nuovo rito. Detto questo, se la pace liturgica si paga con questa contraddizione senza conseguenze pratiche, non sarò certo io a lamentarmene!

P.S.: alcuni corrispondenti richiamano la mia attenzione su due argomenti complementari:
  1. la lettera del card. Arthur Roche, Prefetto del Dicastero per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, è datata 8 aprile, in un momento in cui tutta la Curia Romana sapeva che papa Francesco stava morendo: tutto lascia pensare che il Cardinale abbia approfittato della debolezza del pontefice per portare avanti la sua «agenda». Non è certo un gesto di grande eleganza… Ma c’è di meglio: la lettera di mons. Vincet Jordy e di mons. Dominique Lebrun è datata 6 maggio, alla vigilia dell’entrata in Conclave: avrebbero voluto torcere il braccio al futuro Papa e costringerlo ad approvare questa stupida guerriglia, non avrebbero agito diversamente. La saggezza più elementare in un periodo di interregno è quella di lasciare le cose come stanno e aspettare di conoscere la «politica» del futuro leader; questa saggezza elementare ha purtroppo abbandonato la nostra epoca…;
  2. mons. Vincet Jordy e mons. Dominique Lebrun firmano questa lettera perché sono gli interlocutori designati dalla Conférence des évêques de France per il mondo «tradizionalista». La difficoltà è che entrambi hanno problemi personali con questo mondo. È ovviamente un loro diritto, ma non è certo il modo migliore per capirsi a vicenda. Per dirla in modo più crudo, ciò appare – a torto o a ragione, ma purtroppo nulla è fatto per dimostrarci che è a torto – come una provocazione. Come mi fa notare maliziosamente un caro amico ben informato sulla situazione, «si chiede forse a Éric Zemmour [giornalista conservatore di origine ebraico-berbera: N.d.T.] di negoziare con la Grande Mosquée di Parigi?». Ebbene, ciò che appare come semplice buon senso nella società temporale sembra ignorato nella società ecclesiastica. Non è molto rassicurante. Ancora una volta, le buone relazioni tra gli ultimi Cattolici praticanti in Francia sembrano un obiettivo minimo e facile da raggiungere, ma sembra che questo obiettivo non interessi ai nostri pastori.

1 commento:

  1. "Sembra che l'unica cosa proibita nella Chiesa contemporanea sia pregare come i nostri antenati.... I nostri vescovi dovrebbero stare attenti: se la Chiesa ha sbagliato in modo così massiccio per quindici secoli, come potremmo fidarci di lei oggi?"

    Piensiero che sottolineo.

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