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giovedì 15 maggio 2025

Guarire il cuore dell’uomo: ecco come la Chiesa salverà i suoi bilanci. E l’Occidente #300denari

Cosa lega la recente elezione di Papa Leone XIV (qui), lo stato delle compromesse finanze vaticane (qui) e il tema dei dazi americani (che abbiamo trattato qui
, anche alla luce dei principi della dottrina sociale)?

Amici di 300 Denari, l’audace idea di tenere insieme tre temi apparentemente distanti, individuandone il sottile fil rouge che li sottende, nasce dalla visione di due recentissimi interventi di Ettore Gotti Tedeschi per Fede & Cultura (qui e qui), tra l’altro già ripresi nel nostro blog (qui e qui), e che per metodo e originalità di approccio, vogliamo approfondire e sviluppare con voi nel consueto appuntamento economico del giovedì.

Ecco allora una nostra analisi ragionata che attraverso tre principali nodi tematici – dazi americani, finanze vaticane ed elezione di Leone XIV – affronta le sfide che il nuovo governo della Chiesa è chiamato ad raccogliere: la riaffermazione di una autorità morale, in primis (qui). E che capovolgendo l’approccio magisteriale del pontificato di Francesco, sarà l’uomo dal cuore nuovo – e non i dettami delle varie Agende – a salvare il mondo (e le finanze vaticane).

I dazi di Trump e il fallimento spirituale dell’Occidente

Nel mondo globalizzato del XXI secolo, i dazi non sono semplici strumenti economici, ma segnali politici. Donald Trump, più abile nel captare il malessere profondo del sistema che nel proporre soluzioni durature, li sta usando per riportare la manifattura negli Stati Uniti, ridurre il deficit commerciale, sostenere il dollaro e tentare una riduzione del debito pubblico. Ma questi obiettivi, per quanto legittimi, si scontrano con un sistema mondiale ormai intrecciato a doppio filo, dove la produzione è asiatica e il consumo è occidentale. Ed è proprio questa asimmetria strutturale che rivela il cuore del problema.

Negli ultimi quarant’anni l’Occidente ha scelto di non fare più figli, seguendo le indicazioni del “nuovo ordine mondiale” di Kissinger e del cosiddetto Club di Roma. Una decisione culturale profonda, promossa da élite ideologiche convinte che la crescita demografica fosse un male da contenere. Così, se in nome del benessere individuale si è sacrificata la continuità generazionale, si è toccato con mano che un’economia senza figli non cresce: per sostenersi, deve drogare i consumi, mantenere alto il potere d’acquisto e importare beni a basso costo. Ecco allora la delocalizzazione: trasferire produzione, capitali e tecnologia – in una parola l’intero know-how – in Asia, accettando implicitamente modelli di sfruttamento, inquinamento e disuguaglianza, pur di conservare l’illusione della ricchezza senza sforzo.

Qui si innesta il tema della responsabilità culturale, e dunque spirituale. L’Occidente ha potuto fare queste scelte perché ha perso la bussola morale. E la bussola morale dell’Occidente, da secoli, è – o dovrebbe essere – la Chiesa cattolica. Ma la Chiesa, nella sua parte dominante, ha smesso di essere voce profetica. Ha scelto di “accompagnare il mondo”, di dialogare a ogni costo, di abbandonare la dottrina per il consenso. Ha rinunciato ad annunciare verità scomode – come la dignità del lavoro, la centralità della famiglia, il valore della vita – per non disturbare il mondo. Soprattutto, ha smesso di parlare della responsabilità personale davanti a Dio, adottando una visione semplificata e protestantizzata della salvezza: “tanto siamo già salvi per Grazia e non per le opere”. Se tutto è già perdonato, se il merito non conta più, perché resistere alla tentazione del profitto facile? Perché lottare per un sistema giusto se il successo individuale – anche costruito sullo sfruttamento – non ha più alcun giudizio morale?

Finanze vaticane in crisi: quando la povertà è figlia del disorientamento morale

La crisi della Chiesa cattolica, sotto gli occhi di tutti, raramente viene affrontata per quello che è: un sintomo terminale di una crisi molto più profonda, che non è economica ma morale, culturale e teologica. Gli indicatori sono chiari e gravi: il crollo dell’Obolo di San Pietro, la riduzione drastica dell’8xMille in Italia, i seminari deserti, le chiese vuote, la progressiva disaffezione dei fedeli. Ma il segnale più inquietante è lo spostamento del conflitto dal terreno dei non credenti, al popolo dei fedeli. Una frammentazione interna al mondo cattolico: prima la tensione tra Chiesa e modernità, poi tra progressisti e tradizionalisti, oggi addirittura tra correnti dello stesso schieramento. Un corpo che si divide su tutto perde coesione. E senza coesione, viene meno anche la fiducia. Senza fiducia, crollano le donazioni. E senza risorse, si blocca il funzionamento stesso dell’apparato ecclesiale.

Molteplici sono le cause a monte di tale crisi e sono strettamente collegate alla perdita dell’autorità morale della Chiesa. Chiesa che per secoli ha rappresentato un punto di riferimento, una bussola etica. Ma che in soli dodici anni, è riuscita a logorare questo suo ruolo. Un processo iniziato sotto la pressione della modernità, quando l’annuncio cristiano ha perso precisione, diventando sempre più fluido, adattivo e spesso contraddittorio. Ecco allora che la “Chiesa in cammino” ha smesso di guidare la società e ha iniziato a inseguirla, nel tentativo di farsi accettare. Ma una religione che chiede il permesso al mondo per esistere, smette di essere religione: diventa una ONG ideologica, una voce tra le tante. L’economia, in tutto questo, ne è solo la cartina di tornasole. Prima del 2012, pontefici come Giovanni Paolo II e Benedetto XVI parlavano di economia solo in quanto riflesso di una crisi più profonda: quella dell’uomo, della cultura, della Verità. Leone XIII, nella Rerum Novarum, o Benedetto XVI nella Caritas in Veritate, indicavano la radice morale delle ingiustizie economiche. Non si trattava di distribuire meglio la ricchezza tout-court, ma di recuperare il senso del limite, il significato del lavoro, il valore della persona. Dal 2013 in poi, il paradigma si è invertito: il magistero di Papa Francesco si è fondato tutto sull’economia facendo derivare il problema morale da quello economico: ovverosia, la miseria morale discendente dalla miseria materiale (si vedano Laudato Sì e Fratelli Tutti). Un magistero, quello di Francesco, che ha posto l’economia non come effetto, ma come causa primaria del disagio umano. Povertà, diseguaglianza, crisi climatica e migrazioni sono divenute le questioni centrali, ma non più lette in chiave morale e antropologica. Ma orizzontalmente, in chiave materiale. In economia, la fiducia è il vero capitale. In religione, la fede lo è ancor di più. La crisi finanziaria del Vaticano è dunque il riflesso della perdita di fiducia in una Chiesa che ha smesso di proporre verità per concentrarsi sulle opinioni. Ma una comunità non si regge su opinioni mutevoli. Si regge sulla verità e principii fermi, sulla coerenza e sul coraggio di testimoniarle, anche controcorrente.

Leone XIV: un nuovo pontificato dove la Chiesa torna a salvare?

Anche se ancora non si è espresso con documenti ufficiali, i primi segni di questo pontificato leonino sono già eloquenti. Il nome scelto non è casuale: richiama Leone XIII, il Papa che secondo la tradizione, ebbe una visione dei demoni danzanti su San Pietro e compose la preghiera a San Michele Arcangelo dopo aver udito un dialogo tra Dio e Satana, in cui quest’ultimo chiedeva cento anni per distruggere la Chiesa. Evocare Leone XIII oggi è una scelta di campo: significa riconoscere che il tempo della prova non è finito e che serve una risposta spirituale e dottrinale di pari forza.

Anche il motto “In Illo uno unum” è tutt’altro che decorativo, e allude alla radicalità del messaggio cristiano, in contrasto con quell’indifferentismo religioso che, in nome del dialogo, ha spesso annacquato l’unicità salvifica di Cristo. È un’affermazione che smentisce l’idea che tutte le religioni siano uguali e che la verità possa essere distribuita equamente tra le fedi. In un’epoca in cui anche dentro la Chiesa si è talvolta lasciato intendere che non esistano dogmi, ma solo percorsi, questa affermazione rappresenta una svolta dottrinale di grande portata.

Lo stemma di Leone XIV, con il giglio mariano, completa un messaggio teologico che va ben oltre l’estetica. La centralità della Madre di Dio, figura oggi spesso ridotta a semplice discepola, viene restaurata. Dopo anni di commissariamenti a movimenti ecclesiali accusati di eccessiva mariologia (qui e qui), questa scelta sembra ristabilire un equilibrio tra spiritualità e ortodossia. Maria, nella tradizione cattolica, è madre della Chiesa e ausilio dei cristiani: ridarle spazio non è nostalgia, ma ricostruzione di un’identità.

Tutti questi segnali convergono verso un’idea chiara: la riforma della Chiesa non può essere solo strutturale o organizzativa, ma deve essere anzitutto morale e dottrinale. Come ha osservato con lucidità Ettore Gotti Tedeschi, non sono gli strumenti a dover cambiare, ma gli uomini. La vera crisi della Chiesa non sta nei mezzi, ma nel cuore di chi li utilizza. Per questo Leone XIV dovrà scegliere collaboratori che condividano la sua visione e che, soprattutto, siano uomini “di Dio”, capaci di amare l’uomo in Cristo e non semplicemente amministratori di un potere ecclesiastico svuotato.

Benedetto XVI aveva intuito tutto questo già quindici anni fa. In Caritas in Veritate indicava chiaramente che il compito della Chiesa non è fornire soluzioni tecniche a problemi – come invece farà Francesco con temi su cambiamento climatico e disuguaglianza economica –, ma proporre un cambiamento del cuore umano, da ottenere attraverso il Magistero, i sacramenti e la preghiera. In Lumen Fidei (ricordiamo che il testo e l’impianto della lettera enciclica è di papa Benedetto XVI durante il suo pontificato, poi consegnato al suo successore Francesco dopo le sue dimissioni) si spingeva ancora oltre: solo una fede viva, nutrita da verità e non da compromessi, può risanare una civiltà in agonia.

Leone XIV sembra voler raccogliere quell’eredità e rilanciarla con forza. Il riferimento a Leone XIII, in questo senso, non è solo evocativo, ma programmatico. Si tratta di riannodare i fili di un magistero che aveva affrontato di petto le sfide della modernità senza cedimenti: la Rerum Novarum che riconcilia capitale e lavoro salvando la dignità dell’uomo; l’Aeterni Patris che rilancia il pensiero di San Tommaso come architrave della teologia; l’Immortale Dei che invita la Chiesa a evangelizzare per risanare la civiltà in declino; l’Arcanum Divinae che difende il matrimonio e la famiglia come pilastri antropologici non negoziabili; e la Humanum Genus che denuncia la penetrazione culturale della massoneria.

Il messaggio è chiaro: non c’è futuro per l’Occidente senza un ritorno alle sue radici cristiane, e non c’è futuro per la Chiesa senza un recupero della sua identità profonda. Leone XIV potrà ridare credibilità alla Chiesa nella misura in cui non si piegherà all’opinione pubblica, ma si inchina alla Verità. E se davvero sarà in grado di formare una squadra di pastori fedeli, competenti e coraggiosi – fatta di uomini dal cuore nuovo – allora potrà restituire alla Chiesa quella funzione guida che l’ha resa per secoli la bussola dei valori d’Europa.



Filippo e Roberto

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2 commenti:

  1. Dici che per Francesco il problema morale deriva da quello economico, in Laudato sii al n 66 dice: "L’armonia tra il Creatore, l’umanità e tutto il creato è stata distrutta per avere noi preteso di prendere il posto di Dio, rifiutando di riconoscerci come creature limitate. " Mi sembra abbastanza esplicito ma se la leggerai tutta scoprirai una spiritualità profondissima e una morale molto chiara, come d'altronde tutto il magistero della Santa Chiesa Cattolica

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  2. Intanto, grazie per il pertinente e garbato commento che pubblichiamo volentieri. L’articolo intendeva mettere in luce un tratto peculiare del pontificato di Francesco: la tendenza a porre l’accento sull’origine strutturale e sociale del male, spesso individuata nelle dinamiche economiche ingiuste, piuttosto che nella responsabilità personale e nel peccato, che sono il cuore della tradizione morale cattolica.

    Il passaggio citato (n. 66) conferma la visione biblica dell’uomo che rifiuta il proprio limite e si pone al posto di Dio. Ma nel prosieguo dell’enciclica — e in molte altre occasioni del pontificato — il linguaggio scivola frequentemente su una lettura delle crisi morali come frutto di sistemi da correggere, più che di cuori da convertire. È su questo slittamento che l’articolo propone di riflettere, con rispetto ma anche con franchezza.

    Roberto M.

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