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martedì 15 aprile 2025

Masciullo. "Mentre Francesco rimane un’incognita, i vescovi europei si inchinano a Bruxelles

Grazie a Gaetano Masciullo per questa analisi.
Luigi C.

CHI STA GOVERNANDO LA CHIESA?
12-4-25

Questa è la traduzione italiana dell’articolo comparso su The Remnant Newspaper, 2 aprile 2025.

Lo scorso 14 febbraio, papa Francesco entrava nel policlinico Gemelli di Roma per una polmonite bilaterale. Per un mese circa, le notizie circa la sua salute sono divenute un enigma, un segreto filtrato dai puntuali bollettini della Sala Stampa Vaticana, che dal 15 marzo 2025 si sono poi ridotti a uno solo, riduzione che ha fatto ben sperare sui miglioramenti di salute del Pontefice. Il 23 marzo scorso, Francesco è stato poi dimesso. Tutto bene, apparentemente. Eppure la situazione non è così chiara come il Vaticano vorrebbe lasciar intendere e, al di là delle reali condizioni di salute di Francesco, sono tanti gli analisti (cattolici e non cattolici) preoccupati delle implicazioni di quanto sta avvenendo in queste settimane.
Il cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin e il suo vice, monsignor Edgar Peña Parra, sono stati tra i pochissimi che, più o meno assiduamente, hanno avuto incontri personali e riservatissimi con Francesco sin dall’inizio del ricovero. Come ha scritto un analista italiano, Nico Spuntoni, in questi giorni abbiamo assistito a un vero e proprio rafforzamento del potere della Segreteria di Stato vaticano.

Subito dopo le dimissioni dall’ospedale, il Vaticano ha dichiarato che Francesco ha sviluppato difficoltà di comunicazione molto serie, tanto che dovrà “imparare di nuovo a parlare”. Il cardinale Parolin ha dichiarato, lo scorso 27 marzo, che “forse non come prima, ma il Papa tornerà a governare”. Dichiarazione che rende lecita la domanda: chi ha governato finora? E in che cosa consisterebbero queste “maniere diverse di governo”?

Un altro insigne esperto di affari vaticani ha definito la scomparsa mediatica di Papa Francesco come uno scandalo per i nostri tempi, dominati dal culto dell’immagine. Questo aspetto diventa ancora più rilevante se si considera come il Pontefice, sin dall’inizio del suo pontificato, abbia impostato il proprio ruolo su una costante esposizione pubblica. Il Papa dei selfie, delle dirette streaming, delle dichiarazioni quotidiane, dei continui aggiornamenti dottrinali e dell’ipertrofia legislativa si è improvvisamente ritirato nell’ombra. Per un leader che ha abituato i fedeli a una massiva presenza comunicativa, l’assenza prolungata non poteva che destare interrogativi e persino teorie complottiste di dubbio gusto.

Eppure, alcuni interrogativi paiono leciti. Se la macchina mediatica vaticana ha sempre fatto di tutto per mantenere Francesco al centro dell’attenzione, perché ora sembra quasi eclissarlo? La saturazione comunicativa, che per anni ha caratterizzato il suo pontificato, è forse oggi divenuta un boomerang, rendendo ancora più sospetta la sua attuale invisibilità. Ma il problema non è solo d’immagine. C’è, infatti, al centro la questione del potere effettivo all’interno del Vaticano. Se le condizioni di Francesco sono più gravi di quanto si ammetta ufficialmente – e alcuni segnali medici trapelati durante i giorni di degenza lo lascerebbero supporre, considerando i problemi respiratori che potrebbero implicare anche stati di ipossia e riduzione della lucidità – chi sta realmente prendendo le decisioni strategiche per la Chiesa?

Giova ricordare che, anche secondo il canonista di fiducia di Francesco, il cardinale gesuita Gianfranco Ghirlanda, riprendendo una plurisecolare tradizione giuridica cattolica, l’amentia – ossia l’assenza di lucidità mentale – è equiparabile alla morte del Papa e quindi costituisce una causa di cessazione del suo ufficio. Ma con un dettaglio determinante: l’assenza di lucidità deve essere “certa e continua”. Se fosse così, perché nessuno solleva apertamente la questione? Non regge neppure il confronto con Giovanni Paolo II. Papa Wojtyła, infatti, affrontò la sua infermità con una trasparenza che gli valse il rispetto del mondo intero. Nel caso di Bergoglio, invece, l’opacità non può che alimentare dubbi e sospetti.

E mentre il Pontefice adesso deve lottare per riprendersi più o meno definitivamente da una condizione clinica non facile, l’influenza di alcuni cardinali sembra accrescersi in modo significativo, tanto che si potrebbe temere l’esistenza di una sorta di “governo ombra”, capace di orientare le scelte della Santa Sede secondo logiche e interessi meno trasparenti di quanto si voglia far credere.

Nonostante le condizioni di Francesco, per esempio, il cardinale Mario Grech ha annunciato che il calendario del Sinodo è stato fissato fino al 2028. Il Sinodo sulla sinodalità, ossia il progetto più controverso del pontificato bergogliano, prosegue indisturbato sotto la guida di Grech, cardinale maltese e in ascesa tra i papabili e uomo di fiducia dei gesuiti, secondo alcuni alter-ego del gesuita progressista Jean-Claude Hollerich, anche lui tra i porporati. Questo processo sinodale, spacciato come una forma di “maggiore partecipazione”, è in realtà un pericoloso strumento di democratizzazione della Chiesa, nel quale la gerarchia cede progressivamente il suo ruolo di guida a favore di un’assemblea permanente di vescovi e laici. La riduzione della Chiesa a democrazia parlamentare, sulla scorta di quanto il cardinale Martini aveva prospettato già nel 1999.

L’obiettivo finale appare sempre più chiaro: trasformare la Chiesa in un’istituzione fluida, sempre più modellata sui principi del progressismo secolare. Un progetto che trova eco anche in alcune conferenze episcopali nazionali, sempre più impegnate a ridimensionare il primato romano a favore di un’autonomia diffusa che mina l’unità della Chiesa universale e la sua capacità di veicolare valori conservatori nella società civile.

Nel frattempo, come se non bastasse, i vescovi di tutta Europa si prostrano di fronte a Bruxelles. In un periodo in cui l’Unione Europea sta vivendo una crisi istituzionale, politica ed economica senza precedenti, con un conflitto devastante ai suoi confini orientali in corso da troppi anni e la perdita repentina degli Stati Uniti come alleato fondamentale, i vescovi non solo non colgono l’opportunità per riconsiderare la natura stessa dell’Unione, ma si affrettano a confermare la loro totale adesione al progetto. Il cardinale Matteo Zuppi, presidente dei vescovi italiani e principale esponente del progressismo cattolico, ha ribadito lo scorso 11 marzo l’impegno della Chiesa a fungere da guardiana della democrazia, con un’accettazione acritica dei dogmi europeisti. “I padri fondatori europei hanno avuto coraggio, rompendo con le consolidate logiche nazionalistiche”, ha detto il porporato. “Oggi il male del nazionalismo veste nuovi panni. L’indebolimento delle strutture internazionali diventerà presto per tutti causa di maggiore incertezza e non certo di maggiore sicurezza. Dobbiamo investire nel Cantiere Europa”.

Non una parola sulle cause della crisi europea, sulla deriva tecnocratica di Bruxelles, non un dubbio sulla loro crescente ingerenza nelle vite dei cittadini. È un’ulteriore conferma di come la gerarchia ecclesiastica abbia ormai abbandonato ogni pretesa di difendere la sovranità delle nazioni e le libertà dei popoli, riducendosi a mero strumento ideologico. Un’alleanza che appare sempre più simbiotica, con la Chiesa che si allinea alle agende globaliste senza alcuna resistenza, sacrificando la sua missione profetica in nome di un ruolo di supporto alle élite transnazionali.

La crisi attuale non è soltanto istituzionale, ma anche spirituale: il senso della verità oggettiva e delle fondamenta cristiane della nostra civiltà occidentale vengono progressivamente erose a favore di un falso pragmatismo mondano che annacqua persino il vangelo.

Gaetano Masciullo