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domenica 29 settembre 2024

Magister. "Ogni religione vale l’altra, l’ha detto il Papa"

Magistrale intervento di Sandro Magister sulle terribili parole di Papa Francesco a Singapore (QUI e QUI MiL).
Mala tempora currunt.
Luigi C.

23-9-24

“Understood?”, “Capito?”, ha chiesto a un certo punto in inglese papa Francesco ai giovani di varie religioni che l’attorniavano, il 13 settembre a Singapore, nell’ultima tappa del suo recente viaggio in Asia e Oceania (vedi foto).
La risposta (al minuto 44’42” della videoregistrazione vaticana) è stato un insieme di risate e di applausi, come se avessero gradito quanto aveva detto, ma senza prenderlo troppo sul serio.
E che cosa aveva detto subito prima il papa, in italiano tradotto in inglese frase per frase? Ecco la trascrizione delle sue parole, entrate negli atti ufficiali del suo pontificato:
“Una delle cose che più mi ha colpito di voi giovani, di voi qui, è la capacità del dialogo interreligioso. E questo è molto importante, perché se voi incominciate a litigare: ‘La mia religione è più importante della tua…’, ‘La mia è quella vera, la tua non è vera…’. Dove porta tutto questo? Dove? Qualcuno risponda, dove? [Qualcuno risponde: ‘Alla distruzione’]. È così. Tutte le religioni sono un cammino per arrivare a Dio. Sono – faccio un paragone – come diverse lingue, diversi idiomi, per arrivare lì. Ma Dio è Dio per tutti. E poiché Dio è Dio per tutti, noi siamo tutti figli di Dio. ‘Ma il mio Dio è più importante del tuo!’. È vero questo? C’è un solo Dio, e noi, le nostre religioni sono lingue, cammini per arrivare a Dio. Qualcuno sikh, qualcuno musulmano, qualcuno indù, qualcuno cristiano, ma sono diversi cammini. Understood?”.

Sono passati una decina di giorni da quando Francesco ha detto tali cose, eppure non è successo nulla, come se anche dentro la Chiesa nessuno prenda più sul serio le sue parole, forse nella speranza che “ciò che ha detto non sia esattamente ciò che intendeva”, come ha scritto su “First Things” l’arcivescovo emerito di Philadelphia Charles Chaput.

Quando invece, soltanto pochi decenni fa, le tesi formulate a Singapore da Francesco accendevano nella Chiesa uno degli scontri più radicali sull’identità stessa della fede cristiana, scontro troncato – ma evidentemente non risolto – dalla dichiarazione “Dominus Iesus” emessa nell’agosto del 2000 dalla congregazione per la dottrina della fede presieduta da Joseph Ratzinger, in pieno e pubblico accordo con l’allora papa Giovanni Paolo II.

Per capire la gravità della posta in gioco, è utile rileggere che cosa disse un cardinale e teologo di valore come Giacomo Biffi ai colleghi cardinali alla vigilia del conclave del 2005 che avrebbe eletto papa Ratzinger:

« Vorrei segnalare al nuovo papa la vicenda incredibile della ‘Dominus Iesus’. Che Gesù sia l’unico necessario salvatore di tutti è una verità che in venti secoli – a partire dal discorso di Pietro dopo Pentecoste – non si era mai sentito la necessità di richiamare. Questa verità è, per così dire, il grado minimo della fede; è la certezza primordiale, è tra i credenti il dato semplice e più essenziale. In duemila anni non è stata mai posta in dubbio, neppure durante la crisi ariana e neppure in occasione del deragliamento della Riforma protestante. L’averla dovuta ricordare ai nostri giorni ci dà la misura della gravità della situazione odierna”.

Ma leggiamo ciò che scrive la “Dominus Iesus”. Il pericolo al quale intendeva reagire era il “relativismo”, il considerare tutte le religioni alla pari, con la conseguenza di svuotare di senso anche la missione evangelizzatrice:

“Il perenne annuncio missionario della Chiesa viene oggi messo in pericolo da teorie di tipo relativistico, che intendono giustificare il pluralismo religioso non solo ‘de facto’ ma anche ‘de iure’ o di principio”.

Un relativismo che fa ritenere superate “verità come l’unicità e l’universalità salvifica del mistero di Gesù Cristo”, professate fermissimamente fin dall’età apostolica.

Da Pietro:

“Nel suo discorso davanti al sinedrio, Pietro, per giustificare la guarigione dell’uomo storpio fin dalla nascita, avvenuta nel nome di Gesù, proclama: ‘In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale dobbiamo essere salvati’ (Atti 4,12)”.

Da Paolo:

“Paolo, rivolgendosi alla comunità di Corinto, scrive: ‘In realtà anche se ci sono cosiddetti dèi sia nel cielo sia sulla terra, e difatti ci sono molti dèi e signori, per noi c’è un solo Dio, il Padre, dal quale tutto proviene, e noi siamo per lui; e c’è un solo Signore, Gesù Cristo, in virtù del quale esistono tutte le cose e noi esistiamo grazie a lui’ (1 Corinzi 8,5-6)”.

Senza che ciò pregiudichi un dialogo rispettoso tra le religioni:

“Questa verità di fede niente toglie al fatto che la Chiesa consideri le religioni del mondo con sincero rispetto, ma nel contempo esclude radicalmente quella mentalità indifferentista improntata a un relativismo religioso che porta a ritenere che ‘una religione vale l’altra’. […] La parità, che è presupposto del dialogo, si riferisce alla pari dignità personale delle parti, non ai contenuti dottrinali né tanto meno a Gesù Cristo, che è Dio stesso fatto Uomo, in confronto con i fondatori delle altre religioni”.

La “Dominus Iesus” ebbe un’accoglienza molto tribolata. Chi la avversava diede corpo per anni alla fake news che era stata scritta da incompetenti prelati di second’ordine della congregazione per la dottrina della fede, col cardinale Ratzinger e Giovanni Paolo II che li avevano lasciati fare per pavidità ed ignavia, incuranti di recar danno alle aperture del Concilio Vaticano II e al profetico “spirito di Assisi” degli incontri interreligiosi.

Queste dicerie ancora correvano all’inizio del pontificato di Francesco. Al punto da indurre Ratzinger/Benedetto XVI, nel marzo del 2014, un anno dopo le sue dimissioni da papa, a pubblicare una nota di chiarificazione su come erano andate veramente le cose.

Anzitutto con il riconoscimento del “coraggio della verità” di papa Karol Wojtyla:

« Giovanni Paolo II non chiedeva applausi, né si è mai guardato intorno preoccupato di come le sue decisioni sarebbero state accolte. Egli ha agito a partire dalla sua fede e dalle sue convinzioni ed era pronto anche a subire dei colpi. Il coraggio della verità è ai miei occhi un criterio di prim’ordine della santità ».

E poi con questa inedita ricostruzione di quanto la “Dominus Iesus” fosse pienamente condivisa da Giovanni Paolo II:

“A fronte del turbine che si era sviluppato intorno alla ‘Dominus Iesus’, Giovanni Paolo II mi disse che all’Angelus intendeva difendere inequivocabilmente il documento. Mi invitò a scrivere un testo per l’Angelus che fosse, per così dire, a tenuta stagna e non consentisse alcuna interpretazione diversa. Doveva emergere in modo del tutto inequivocabile che egli approvava il documento incondizionatamente.

“Preparai dunque un breve discorso; non intendevo, però, essere troppo brusco e così cercai di esprimermi con chiarezza ma senza durezza. Dopo averlo letto, il papa mi chiese ancora una volta: ‘È veramente chiaro a sufficienza?’. Io risposi di sì. Ma chi conosce i teologi non si stupirà del fatto che, ciononostante, in seguito ci fu chi sostenne che il papa aveva prudentemente preso le distanze da quel testo”.

L’Angelus nel quale Giovanni Paolo II lesse le frasi scritte per lui da Ratzinger fu quello del 1 ottobre 2000, due mesi dopo la pubblicazione della “Dominus Iesus”.

Ed è utile rileggerlo:

“Con la dichiarazione ‘Dominus Iesus’ – ‘Gesù è il Signore’ – approvata da me in forma speciale, ho voluto invitare tutti i cristiani a rinnovare la loro adesione a Lui nella gioia della fede, testimoniando unanimemente che Egli è, anche oggi e domani, ‘la via, la verità e la vita’ (Gv 14,6). La nostra confessione di Cristo come unico Figlio, mediante il quale noi stessi vediamo il volto del Padre (cfr Gv 14,8), non è arroganza che disprezza le altre religioni, ma gioiosa riconoscenza perché Cristo si è mostrato a noi senza alcun merito da parte nostra. Ed Egli, nello stesso tempo, ci ha impegnati a continuare a donare ciò che abbiamo ricevuto e anche a comunicare agli altri ciò che ci è stato donato, perché la verità donata e l’amore che è Dio appartengono a tutti gli uomini.

“Con l’apostolo Pietro noi confessiamo ‘che in nessun altro nome c’è salvezza’ (Atti 4,12). La dichiarazione ‘Dominus Iesus’, sulle tracce del Vaticano II, mostra che con ciò non viene negata la salvezza ai non cristiani, ma se ne addita la scaturigine ultima in Cristo, nel quale sono uniti Dio e uomo. Dio dona la luce a tutti in modo adeguato alla loro situazione interiore e ambientale, concedendo loro la grazia salvifica attraverso vie a lui note (cfr ‘Dominus Iesus’, VI, 20-21). Il documento chiarisce gli elementi cristiani essenziali, che non ostacolano il dialogo, ma mostrano le sue basi, perché un dialogo senza fondamenti sarebbe destinato a degenerare in vuota verbosità.

“Lo stesso vale anche per la questione ecumenica. Se il documento, con il Vaticano II, dichiara che ‘l’unica Chiesa di Cristo sussiste nella Chiesa cattolica’, non intende con ciò esprimere poca considerazione per le altre Chiese e comunità ecclesiali. Questa convinzione s’accompagna alla consapevolezza che ciò non è merito umano, ma un segno della fedeltà di Dio che è più forte delle debolezze umane e dei peccati, confessati da noi in modo solenne davanti a Dio e agli uomini all’inizio della Quaresima. La Chiesa Cattolica soffre – come dice il documento – per il fatto che vere Chiese particolari e comunità ecclesiali con elementi preziosi di salvezza siano separate da lei.

“Il documento esprime così ancora una volta la stessa passione ecumenica che è alla base della mia enciclica ‘Ut unum sint’. È mia speranza che questa dichiarazione che mi sta a cuore, dopo tante interpretazioni sbagliate, possa svolgere finalmente la sua funzione chiarificatrice e nello stesso tempo di apertura”.

*

Tornando alle parole dette da papa Francesco ai giovani di Singapore, è palese quanto sia abissale la distanza che le divide dall’insegnamento della “Dominus Iesus” e dei due papi che l’hanno preceduto sulla cattedra di Pietro.

Ma la distanza si fa ancor più drammatica se quelle parole sono messe a confronto con le ragioni d’essere della Chiesa di sempre e con “la priorità suprema e fondamentale della Chiesa e del successore di Pietro in questo tempo”, messe in luce da Benedetto XVI in questo memorabile passaggio della sua lettera ai vescovi di tutto il mondo del 10 marzo 2009:

“Nel nostro tempo in cui in vaste zone della terra la fede è nel pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più nutrimento, la priorità che sta al di sopra di tutte è di rendere Dio presente in questo mondo e di aprire agli uomini l’accesso a Dio. Non ad un qualsiasi dio, ma a quel Dio che ha parlato sul Sinai; a quel Dio il cui volto riconosciamo nell’amore spinto sino alla fine (cfr Gv 13, 1), in Gesù Cristo crocifisso e risorto.

“Il vero problema in questo nostro momento della storia è che Dio sparisce dall’orizzonte degli uomini e che con lo spegnersi della luce proveniente da Dio l’umanità viene colta dalla mancanza di orientamento, i cui effetti distruttivi ci si manifestano sempre di più. Condurre gli uomini verso Dio, verso il Dio che parla nella Bibbia: questa è la priorità suprema e fondamentale della Chiesa e del successore di Pietro in questo tempo”.

Si può inoltre notare che papa Francesco è andato a dire quelle sue parole proprio in una delle poche regioni del mondo dove l’espansione missionaria della Chiesa cattolica è più vivace, senza avvedersi che col mettere tutte le religioni alla pari svuotava di senso il mandato di Gesù risorto di fare “discepoli tutti i popoli” (Matteo 28,18-20).