Proponiamo un estratto del lungo articolo di Sandro Magister tratto dal sito Diakons.be.
Roberto
Verso il conclave. Anche una cattiva diplomazia può far danno alla Chiesa.
di S. Magister, Diakonos .be, del 23.7.24
Mentre negli Stati Uniti il peso dell’età ha messo fuori gioco Biden nella sua competizione con Trump, a Roma un papa ancor più avanti negli anni, sulla soglia degli 88 e dal passo più che malfermo, programma tranquillamente per settembre un viaggio mozzafiato nei mari del Pacifico tra Indonesia, Papua Nuova Guinea, Timor Est, Singapore e riconvoca per ottobre un sinodo mondiale talmente a lungo termine che si sa quando è cominciato ma non quando finirà, come a voler trasformare la Chiesa in un sinodo permanente.
Un cardinale e gesuita che di Jorge Mario Bergoglio è abile interprete, il lussemburghese Jean-Claude Hollerich, 66 anni, ha detto soddisfatto in una fluviale intervista a Gerald O’Connell su “America” del 12 luglio che “a questo punto è davvero difficile bloccare questo processo”, né si può più “immaginare che la Chiesa ritorni al passato”, nemmeno quando a succedere a Francesco sarà un altro papa, chiunque esso sia.
Proprio Hollerich è ritenuto uno dei candidati alla successione, il più in continuità con l’attuale pontificato. Francesco gli ha affidato il ruolo chiave del sinodo, quello di relatore generale. Che da un conclave possa uscire eletto è altamente improbabile, ma è interessante registrare come egli tratteggia il futuro della Chiesa.
Nell’intervista ad “America” Hollerich accosta i tempi presenti ai primi secoli, quando la Chiesa era in netta minoranza e a tratti perseguitata, ma creativa. A differenza però della Chiesa di allora, che impegnò tutta se stessa a innestare sulla cultura dell’epoca le novità capitali della fede cristiana, l’agenda che egli associa alla Chiesa d’oggi è sostanzialmente quella che le è dettata dal mondo: nuova morale sessuale, preti sposati, donne diacono e sacerdote, un di più di democrazia, l’agenda trita e ritrita su cui già si estenua da anni la Chiesa di Germania e da cui Francesco ha messo provvisoriamente al riparo il sinodo mondiale per la manifesta impossibilità di ricavarne subito soluzioni condivise, salvo far sparare qualche colpo anticipato dal suo teologo di palazzo, il cardinale Victor Manuel Fernández, messo a capo del dicastero per la dottrina della fede dopo la scomparsa di Joseph Ratzinger, ad esempio con quell’autorizzazione a benedire le coppie omosessuali che ha provocato la rivolta corale dei vescovi dell’unico continente in cui i cristiani aumentano invece di diminuire, l’Africa, e ha aggravato la rottura con le Chiese ortodosse d’Oriente.
Molto più di Hollerich e anch’essi ritenuti in continuità con Francesco, sia pure con correzioni diversamente graduate, sono altri due i candidati alla successione su cui più si concentrano i timori e i favori in questa vigilia di conclave dalla durata imprevedibile: i cardinali Matteo Zuppi e Pietro Parolin, entrambi di 69 anni e italiani.
Zuppi ha l’abilità, tipica della Comunità di Sant’Egidio a cui appartiene da sempre, di dire e non dire, di aprire senza mai spalancare, sfuggendo alle questioni divisive. In questo somiglia a Francesco, maestro nel contraddirsi, che infatti più volte gli ha affidato cariche e compiti di grande rilievo. Ma un osservatore attento come il vaticanista americano John Allen ha anche messo in conto alcuni recenti attriti tra i due, specie nei rapporti con l’attuale governo italiano, che potrebbero preludere a una caduta in disgrazia di Zuppi, come già per altri illustri appartenenti alla cerchia dei prediletti dal papa poi improvvisamente da lui respinti e umiliati.
Quanto al cardinale Parolin, il suo ruolo di segretario di Stato comporta un’adesione istituzionale alle linee maestre dell’attuale pontificato, ma questi anni sono stati per lui anche un esercizio di pazienza, visto come Francesco l’ha maltrattato, escludendolo inizialmente dalla ristretta cerchia dei cardinali, oggi nove, chiamati a consigliare il papa nel governo della Chiesa universale, poi privando la segreteria di Stato di molti dei suoi poteri e dell’intera sua cassaforte di denari, e poi ancora umiliandola di fronte al mondo in sede processuale per il malaccorto acquisto di un costoso palazzo di Londra.
Anche per questo nel collegio cardinalizio c’è chi vede in Parolin il candidato che potrebbe succedere a Francesco riportando per lo meno un po’ d’ordine nell’agenda della Chiesa, con quella prudenza e quel metodo che sono tipici della professione diplomatica, sua competenza primaria.
Ma proprio la diplomazia è il punto debole del curriculum di Parolin. Ed è anche il più esposto a critiche, non solo per la catena di mancati successi o di discutibili accordi, come in Cina, che hanno portato alla Chiesa più danni che vantaggi, ma più ancora perché modellata su un metodo d’azione – la cosiddetta Ostpolitik – che fin dagli inizi, in piena guerra fredda, fu pesantemente subita e contestata soprattutto da chi ne pagava i costi ai limiti del martirio, nei paesi comunisti.
Francesco, a modo suo, si muove in campo internazionale con questo metodo, come provano i suoi silenzi tombali sulle persecuzioni dei cristiani in vari paesi, non solo in Cina. E altrettanto fa Zuppi, suo delegato personale su vari fronti, fin troppo arrendevole sia con la Russia che con la Cina, con le quali la Comunità di Sant’Egidio ha tessuto la sua tela da anni. Nè il corpo diplomatico vaticano, con a capo il segretario di Stato, può smarcarsi troppo da questi indirizzi, chiaramente i preferiti dal papa.
La novità è che una critica forte ed esplicita a questo metodo diplomatico è affiorata nei giorni scorsi anche nel collegio cardinalizio che prima o poi eleggerà il successore di Francesco. Ed è chiaro che tale critica colpisce in pieno proprio le candidature di Zuppi e Parolin.