È notizia di ieri, la lettera apostolica in forma di motu proprio “Fratello Sole”. In ossequio alle sacre tavole della Convenzione-Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici, Papa Francesco ha incaricato il Presidente del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano (il Cardinale Fernando Vérgez Alzaga) e il Presidente dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica (l’Arcivescovo Giordano Piccinotti) di realizzare “un impianto agrivoltaico ubicato all’interno della zona extraterritoriale di Santa Maria di Galeria che assicuri, non soltanto l’alimentazione elettrica della stazione radio ivi esistente, ma anche il completo sostentamento energetico dello Stato della Città del Vaticano”.
Torna alla mente la scena del bellissimo documentario mi Michael Moore “Planet of the Humans”, quando mostrano una distesa di pannelli solari della dimensione di un campo da football in Michigan. Alla domanda “a quante case potrebbe fornire energia questo campo di pannelli?”, la risposta di Jan Nelson (del “Lansing Board of Water and Light”) è “possiamo rispondere ai picchi richiesti da 50 case. […] generiamo circa 63-64 kilowattora all’anno mentre i nostri consumatori medi ne usano 6 all’anno: 6 in 64, fa circa 10. Possiamo rispondere alle esigenze energetiche di 10 case. All’anno”. “Se volessi produrre con pannelli tutta l’energia richiesta dalla citta di Lansing [in Michigan, 112.000 abitanti]? Dovremmo ricoprire 3 miglia per 5 [39 km2]”.
Tuttavia sappiamo bene che il Vaticano si è aggregato al delirio ecologista con un certo lag di ritardo, e risulta esserne follower tanto quanto la musica nel novus ordo lo è stata nei confronti della musica profana. Infatti, se Papa Francesco fa propaganda sprecando un motu proprio con un titolo altisonante per installare qualche pannello, in Europa c’è chi fa sul serio: il 19 giugno scorso, il senatore e commissario straordinario per la ricostruzione nell'Italia centrale, Guido Castelli ha messo in guardia su Il Giornale sulla “Nature Restoration Law, la legge che punta a imporre agli Stati membri di stabilire e attuare misure per restituire alla natura almeno il 20% delle aree terrestri dell'Ue entro il 2030 - a scapito delle aree agricole”. Avverte infatti che “la sequenza sismica di otto anni fa su un'area montana già fortemente spopolata ha causato un abbandono delle attività tradizionali che ha provocato una accelerazione dell'espansione di boschi non gestiti che hanno raggiunto il 70% della superficie, mentre le attività agricole e i pascoli sono in forte contrazione e i centri abitati coprono solo il 5% del territorio. Imporre un abbandono delle attività agricole ancora più spinto, per lasciare il territorio alla natura «selvaggia», vuol dire esporre gran parte dei nostri territori a un crescente rischio idro-geologico. E vuol dire mettere le condizioni perché lo spopolamento delle aree interne si accentui. […] sarebbe una follia mettere in sicurezza antisismica centri abitati in un contesto di abbandono e degrado che li esporrebbe agli eventi estremi causati dai cambiamenti climatici che, come è accaduto per le alluvioni dello scorso anno, vedono proprio nella biomassa non gestita (cioè il nuovo bosco «selvaggio») un fattore moltiplicatore degli effetti disastrosi”. Se per causare danni e caos, al giorno d’oggi, bastano una cinquantina di ore di maltempo (come successo lo scorso fine settimana), ci chiediamo cosa succederà in seguito a questo processo di spopolamento guidato. Non resterà che pregare di nuovo la Pachamama!
Gabriele
Un ottimo documento.
RispondiEliminaFinalmente.