"Se non si tratterà di un fuoco fatuo, il futuro lascia dunque intravvedere la possibilità di costruire un passo alla volta una nuova generazione di politici dal retto sentire. Cominciando soprattutto dal basso, vale a dire dalla rete delle migliaia di consigli comunali, dove letteralmente un pugno di voti risulta sufficiente per venire eletti. La possibilità sarà tanto più realistica quanto meglio le diverse anime dell'ortodossia cattolica faranno fronte comune invece di disperdersi in mille etichette, e soprattutto di annichilirsi scegliendo il "non voto". Come dice il proverbio, "gli assenti hanno sempre torto". Se n'era accorta anche Santa Madre Chiesa ai tempi di Leone XIII".
Luigi C.
Europarlamento 2024. Alcune riflessioni dopo il voto
Gianfranco Battisti, a nome dell’Osservatorio
Circa le recenti elezioni, c'è da fare una premessa. Il parlamento
europeo è una finzione giuridica, priva di poteri anche solo politici. È parte di un complesso sistema di governance (l'uso di un termine
ormai straniero sul suolo europeo fa già intuire che sotto ci sia il trucco)
studiato apposta per tenere lontani i cittadini della stanza dei bottoni. Nel
migliore dei casi, esso rappresenta una vetrina degli umori nel continente, del
quale chi comanda ha comunque
interesse a tener conto, per evitare di procedere
troppo scopertamente contro corrente. Punto.
Detto questo, le elezioni ci forniscono un quadro aggiornato della
situazione all'interno dei singoli paesi. Sotto questo profilo, appare molto
positivo il risultato italiano, dove il governo è riuscito a tenere nonostante
la Meloni abbia silenziato molte istanze tradizionali del suo partito. In un
momento di crisi economica, è un doppio risultato. Indubbiamente c'è un
sostegno internazionale (USA e BCE) che dietro le quinte tiene in piedi il
tavolo. Allo stesso tempo la ripresa del PD (anch'esso caso unico fra i
socialisti europei) mostra che il paese rimane nelle mani dei padroni del
vapore. Dietro al PD appare schierata oggi anche la Chiesa, sempre più
allineata con i poteri forti globali. Sono segni chiarissimi che un cambio di governo è possibile in
qualsiasi momento. Il PD è la consociata italiana dei Dem americani, e
ciò sottolinea come l'atlantismo della premier poggi su motivazioni di realpolitik
che vanno ben al di là del suo criticato pedigree politico. Da rimarcare
ancora l'azzeramento dei renziani, che dimostra come il tempo sia galantuomo.
Nessuno lo ricorda, ma è ad essi che dobbiamo la compressione degli spazi di
democrazia che oggi stiamo pagando anche in termini di disaffezione al voto.
Quanto al resto della UE, la frana del movimento di Macron è destinata ad
indebolire ulteriormente la Francia, anche se le elezioni frettolosamente
convocate serviranno a impedire il radicamento definitivo della destra
Lepenista nel paese. Il sistema elettorale a due turni consentirà infatti a chi
controlla la politica (si valuta che un terzo dei parlamentari sia espressione
della massoneria) di fare fronte comune contro il pericolo di un cambiamento
negli assetti di potere. In questo contesto, il futuro personale di Macron
appare del tutto irrilevante. Non
trascurabile invece è il crescere della violenza politico-religiosa nel
paese, che prende di mira i cattolici più ancora degli ebrei.
Nel breve periodo l'inevitabile sconquasso dovrebbe rafforzare
ulteriormente l'Italia, oggi ottimamente collocata in una posizione intermedia
tra il PPE e le destre estreme. Un asset da spendere immediatamente nel
prossimo G7 in terra italiana.
Lungi dall'essere isolata in Europa, la Meloni si troverà d'ora in poi a
gestire autorevolmente il gruppo Conservatori e Riformisti, una delle
famiglie politiche del continente, in una fase di crescita di consensi. Se
infatti porterà direttamente a Bruxelles solo 24 dei 76 parlamentari italiani,
l'insieme dei seggi ricoperti dalla coalizione toccherà quota 73. Un pacchetto
di voti di cui si dovrà tener conto per tutto l'arco della legislatura. Il
futuro non è tutto roseo, naturalmente. Oggi non è dato sapere i prezzi che la
Meloni sarà chiamata a pagare in termini di compromesso verso i suoi consociati
europei - che su diverse questioni hanno interessi contrastanti con quelli
dell'Italia - nonché nei riguardi dei potentati economici che sorreggono il
paese in questi tempi difficili (leggi: privatizzazioni, questione ucraina,
ecc.).
Comunque sia, nel resto dell'Europa buona parte dei partiti di governo ha
perso voti, segno chiaro di come le cose vadano in realtà assai male. Di fatto,
il limitato ma diffuso spostamento a destra dell'elettorato evidenzia una
reazione generalizzata alle politiche portate avanti dall'attuale maggioranza,
che si regge sulle convergenza dei popolari (specie tedeschi), dei socialisti e
dei macronisti. Una coalizione che vede oggi in forte crisi entrambe le due
ultime componenti, mentre in Germania, dove l'AFD è diventata il secondo
partito (per giunta egemone nell'ex DDR), risalgono le azioni della destra
democristiana. Siamo di fronte al rifiuto
del cosiddetto green deal, con le sue conseguenze devastanti
sull'economia, dell'apertura indiscriminata alle immigrazioni,
dell'omologazione culturale/morale, della propaganda bellicista ormai
dilagante, nonché del rafforzamento dei poteri dell'Unione. Un vero problema
per la prossima legislatura, che appare altresì ipotecata da una cospicua
affermazione dei Verdi: un movimento che richiama alla mente la
storica analogia sui "fascisti come i fichi: neri di fuori ma rossi di
dentro". Vi sono dunque più elementi di incertezza, con dei trend che
paiono suscettibili di riversarsi a breve sugli assetti parlamentari dei
singoli paesi.
Se, come auspicabile, l'anno prossimo avremo un armistizio in Ucraina - a
elezioni USA concluse, la guerra non sarà più un argomento elettorale ma solo
un costo economico da valutare attentamente - sarà possibile trovare un accordo
sui problemi continentali. In caso contrario, non ci resterà che pregare. Certo
non lascia bene sperare che nell'anno memoriale del caso Matteotti si sia
ritornati all'omicidio politico (v. in Slovacchia, oltre alle non velate
minacce al presidente della Georgia), per non parlare del terrorismo in Russia
e in Israele. Queste tragedie la dicono lunga sulla gravità della situazione. A
ben vedere, questa dipende tutta dallo stato reale dell'economia americana, al
di là dei brillanti risultati sbandierati da Washington ogni qualvolta ci si
avvicini alle elezioni presidenziali.
Passando alla vexata quaestio "votare o astenersi", sarà
il caso di guardare da vicino il
risultato di qualche candidato vicino alle posizioni cattoliche. Ben 55 persone
(ovviamente nel centro-destra) si sono esposte sottoscrivendo il manifesto di ProVita
e Famiglia, nell'ambito della campagna “Se
l’Europa cambia valori, tu cambia l’Europa”. Va ricordato che in
occasione del recente voto a Bruxelles contro il diritto degli Stati di
regolare al loro interno il diritto di aborto, questa benemerita associazione
si è attivata con grande energia. Fra le altre cose ha inviato un autobus
recante una scritta in difesa della vita attorno all'edificio del parlamento.
Orbene, a quella vista, dal palazzo qualcuno ha telefonato alla polizia belga
chiedendo un sollecito intervento causa
la presenza di "estremisti". L'intervento è stato puntualmente
effettuato, fortunatamente senza esito alcuno.
Prescindendo da un bilancio nazionale, focalizziamoci adesso su un
collegio campione, che meglio ci permette di comprendere quello che potrebbe essere il ruolo del voto
cattolico correttamente inteso. Nella
circoscrizione Nord-Est i candidati in questione erano ben 17: quattro
correvano per la Lega (Alessandra Basso, Paolo Borchia, Roberto
Vannacci, Stefano Bargi), sette per Fratelli d'Italia (Maddalena
Morgante, Piergiacomo Sibiano detto Piga, Sergio Antonio Berlato, Stefano
Cavedagna, Daniele Polato, Antonella Argenti, Elena Donazzan), tre per Forza
Italia-Noi moderati (Rosaria Tassinari, Francesco Coppi, Antonio Platis),
tre per Libertà (Ugo Rossi, Mirko
De Carli, Vito Comencini), una coalizione "antisistema" che includeva
Il popolo della famiglia.
Questa cospicua convergenza "ufficiale" sulle posizioni in
oggetto sembra peraltro essersi è manifestata negli ultimi tempi; inizialmente
i candidati riportati nel sito di PVeF erano soltanto tre (Basso,
Morgante e Piga). Alla chiusura delle urne, la prima ha ottenuto 9.503 voti,
risultando decima in ordine di preferenza. Per i secondi, la Morgante ha totalizzato 8.864 preferenze -
undicesima nell'ordine - mentre Piga
(19.340) è risultato settimo su 5 eletti. Entrerebbe invece Berlato (46.010
voti), eletto in altra circoscrizione. Dalla parte della Lega avremo invece il
gen. Vannacci, noto per le sue posizioni "fuori dalle righe", che ha
stravinto con 142.435 voti, mentre Bagi si ferma a 2.853. Considerando
poi il complesso gioco dei resti e dei subentri legati alle candidature
plurime, al momento risultano in predicato tanto Piga che Polato (31.516 voti)
per FdI che Borchia (23.523) per la Lega.
Per il resto della coalizione di governo, Forza Italia avrà
probabilmente un solo rappresentante – Antonio Tajani – leader del partito
(che, come sappiamo, fa capo al PPE). Da politico di lungo corso, questi ha
ritenuto di tenersi le mani libere in materia di morale e costumi. Degno di
nota è che i suoi compagni di cordata vicini al nostro sentire hanno totalizzato consensi irrilevanti per una
tornata europea (da 5.523 a 2.340 voti), segno evidente della scarsa
sensibilità etica nel partito, sia a livello di vertice che di sostenitori. Per
finire, la lista Libertà ha ottenuto appena l'1,2%, uno spreco di buoni
voti (4.199, 1.208 e 1.852 nell'ordine di cui sopra), che si poteva intuire sin
dall'inizio.
Quali conclusioni si possono adesso trarre da queste cifre? Premesso che
spetta agli esperti determinare, attraverso un'attenta analisi delle cifre il
peso effettivo dei "benpensanti", in ogni caso risulta accertato quanto segue: 1) i risultati ci sono stati, e ciò
introdurrà certamente un po' di aria nuova all'interno delle aule di
Bruxelles-Strasburgo: è difficile ad es. pensare che un Vannacci (pur
difficilmente presentabile come cattolico DOC) si lasci inghiottire nel
silenzio; 2) contrariamente al comune
sentire, i valori non negoziabili non sono affatto assenti nel mondo politico
italiano; 3) le associazioni che li promuovono sono considerate portatrici di
un potenziale di voti niente affatto disprezzabile; 4) i numeri ottenuti
evidenziano per i soggetti scesi in campo ottime possibilità di portare a casa
risultati concreti nell'ambito di tornate elettorali meno impegnative.
Si tratta infatti di cifre in grado di garantire tranquillamente
un'elezione in collegi comunali, regionali e financo nazionali. Basta (si fa
per dire) trovare una lista che sia, com'è oggi di moda proclamare,
"accogliente". Adesso si tratta di continuare (o creare) un rapporto
– vuoi di militanza, vuoi di apparentamento esterno – che porti concretamente
alla candidatura dei cattolici DOC nelle competizioni dove i voti da essi
portati possano consentire la loro elezione e non ne facciano dei meri
"portatori d'acqua". Cosa tanto più facile in presenza di candidature
di peso: Si v. il caso di Vannacci o, per la parte avversa, della Salis.
Se non si tratterà di un fuoco fatuo, il futuro lascia dunque
intravvedere la possibilità di costruire un passo alla volta una nuova
generazione di politici dal retto sentire. Cominciando soprattutto dal basso,
vale a dire dalla rete delle migliaia di consigli comunali, dove letteralmente
un pugno di voti risulta sufficiente per venire eletti. La possibilità sarà
tanto più realistica quanto meglio le diverse anime dell'ortodossia cattolica
faranno fronte comune invece di disperdersi in mille etichette, e soprattutto
di annichilirsi scegliendo il "non voto". Come dice il proverbio,
"gli assenti hanno sempre torto". Se n'era accorta anche Santa Madre
Chiesa ai tempi di Leone XIII.
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