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mercoledì 1 maggio 2024

“Solo la religione può creare il vincolo sociale”. Il metodo di Leone XIII oggi trascurato

Un'interessante analisi su alcuni aspetti della dottrina sociale della Chiesa.
Luigi C.


Marco Nardone, APR 23, 2024, Osservatorio Card. Van Thuan

[Venerdì 19 aprile scorso il prof. Marco Nardone ha tenuto una Lezione alla Scuola nazionale di Dottrina sociale della Chiesa organizzata dal nostro Osservatorio e da La Nuova Bussola Quotidiana. La Scuola è dedicata al progetto sociale di Leone XIII e la lezione del Prof. Nardone riguardava l’enciclica Diuturnum illud del 1881. Dopo aver presentato i contenuti dell’enciclica, il Relatore ha condotto alcune sue riflessioni finali che per la loro importanza pubblichiamo qui di seguito. Leone XIII si trovava dentro una realtà sociale e politica avversa al cristianesimo, come i primi cristiani e, fatte le debite differenze, come la Chiesa di oggi. Egli ha indicato un metodo di lavoro e di presenza che, ispirato a quello dei primi cristiani, è valido ancora oggi. Basterebbe riappropriarsene convenientemente – Stefano Fontana]

Citata nella Gaudium et spes (n. 36) e ripresa dal Catechismo della Chiesa cattolica (nn. 1898-1903), la Diuturnum illud rimane, ancor oggi, un caposaldo della dottrina della Chiesa sull’origine divina dell’autorità. Dopo il Concilio Vaticano II, tuttavia, il Magistero ne ha lasciato sullo sfondo il motivo dei doveri dello Stato verso la vera religione, preferendo invece insistere sulla libertà religiosa e sulla collaborazione tra i due poteri. Ha ribadito, è vero, soprattutto con Benedetto XVI, la necessità di legare l’autorità umana all’autorità divina: infatti, l’ordine morale, dal quale l’autorità civile trae la propria legittimità e la stessa virtù di obbligare, non si regge che in Dio. Per Leone XIII, però, ordine morale, Dio e religione sono strettamente connessi, tanto che egli volle chiarire proprio questo punto nell’enciclica Au milieu des sollicitudes (1892). L’enciclica, nella parte dottrinale, è dedicata alla legittimità dell’autorità civile, e può essere considerata un completamento della Diuturnum Illud.

“Solo la religione – dice il Papa – può creare il vincolo sociale”. Scopo della società civile, infatti, è il “perfezionamento morale” dei suoi componenti. Ma “la morale, (…) poiché partecipa ad ogni atto umano, postula necessariamente Dio e, con Dio, la religione, questo sacro vincolo che ha il privilegio di unire a Dio, prima di dar vita a qualsivoglia altro legame (…). Poiché dunque la religione è l’espressione interiore ed esteriore di questa dipendenza che dobbiamo a Dio a titolo di giustizia, ne deriva un impegno tassativo”. L’estromissione di Dio dalla società, prosegue il Papa, finisce con l’”annientare (…) lo stesso senso della morale nel più profondo della coscienza”. Per questo la religione è stata sempre e in ogni luogo considerata il fondamento della moralità, sia personale che sociale. Ciò vale a maggior ragione per “la Religione Cattolica (…), per il fatto stesso che è la vera Chiesa di Gesù Cristo (…). Se dunque viene meno questo fondamento”, il popolo non potrà essere salvato “dalla decadenza morale e, forse, dalla dissoluzione”.

Va preso atto, dopo centotrenta anni, del valore profetico di queste parole. Non possiamo però evitare di chiederci perché il Magistero, dopo il Concilio, abbia sfumato l’insegnamento classico della Chiesa sul legame tra bene comune, moralità sociale e ruolo pubblico della religio vera. E questo, proprio mentre si aggravava, con la secolarizzazione, la decadenza morale della società. Certamente, quel legame, per essere universalmente riconosciuto, suppone la presenza di una società cristiana, che oggi è solo un ricordo. Tuttavia, anche a fine ‘800, era ormai finito da secoli il “tempo in cui la filosofia del Vangelo governava la società” (Immortale Dei); eppure Leone XIII non rinunciava a indicare quel modello come ideale perfettivo della società e della stessa autorità civile.

La questione è oggetto da anni di un ampio dibattito che, qui, non possiamo neppure accennare. Possiamo però proporre una riflessione su quanto dice Leone XIII intorno alla “scelta pastorale” operata dalla Chiesa durante l’impero pagano.

Durante l’impero pagano, sostiene il Papa nella Diuturnum Illud, la Chiesa, per così dire, giocò d’anticipo: trattava il potere politico non secondo la rappresentazione che esso dava di sé, ma quale era considerato dalle Scritture e dalla retta ragione, cioè come fondato sull’ordine naturale voluto da Dio. A tal fine, insegnava ai Cristiani a rispettarlo come tale, anche se i governanti non ne avevano ancora piena coscienza. Ma, nello stesso tempo, insegnava a resistergli quando travalicava i suoi limiti, violava il bene comune e voleva arrogarsi i diritti di Dio. Così la Chiesa presiedeva al cantiere della società cristiana, e così anche aiutava la potestà politica ad elevarsi all’altezza della sua missione.

Era un metodo realistico, ma non prassistico. Un metodo che permise alla Chiesa, in una società non cristiana, di esercitare ugualmente il suo compito di presidio al bene comune e di servire così l’autorità civile, quando ancora questa non le riconosceva alcuna autorità. Un metodo lungimirante, attento ai segni dei tempi ma, prima ancora, all’ordine delle cose, che il tempo non può cancellare.

Un metodo che, per Papa Leone, rimaneva esemplare, anche per la sua epoca. Oggi, egli osserva con dolorenella Au milieu des sollicitudes, non pochi nemici della Chiesa congiurano “per annientare in Francia il Cristianesimo” e per il “ritorno al paganesimo”. E proseguiva: la Chiesa ha sempre insegnato a rispettare l’autorità politica, perché “non vi è potere se non da Dio”, e “la natura del potere”, qualunque sia la forma che storicamente assume, rimane “immutabile”, in quanto “trova la sua ragion d’essere e la sua forza nel provvedere al bene comune”. Per questo è doveroso accettare anche gli attuali governi (repubblicani) “finché le esigenze del bene comune lo richiederanno”. Però esiste anche un dovere di resistenza, non al “potere costituito”, ma alla “legislazione” prodotta dagli “uomini investiti dal potere”, quando essi, “imbevuti da cattivi princìpi”, ne abusano, violando il bene comune. Così, non potranno mai essere approvati “interventi legislativi avversi alla religione e a Dio”; e ciò in difesa della stessa dignità dei cittadini, perché, se “lo Stato rifiuta di dare a Dio ciò che è di Dio, è necessariamente costretto a non dare ai cittadini ciò a cui hanno diritto come uomini”.

Come si vede, le “scelte pastorali” di Leone XIII non erano essenzialmente diverse da quelle dei suoi antichi predecessori ai tempi dell’impero pagano. Erano, infatti, informate dallo stesso ideale di fede, metafisicamene fondato.Per questo si può supporre che, pur con le dovute differenze, anche oggi, in tempi molto più vicini ai suoi, per quanto più radicalizzati, papa Leone riproporrebbe la stessa “linea”.

Si potrebbe osservare, tuttavia, che la linea di Leone XIII, buona per l’antichità, non sembra aver “funzionato” con la modernità. Probabilmente, perché il paganesimo antico, precristiano, aveva comunque una sua religiosità, mentre quello moderno è un paganesimo postcristiano, incattivito con il Cristianesimo e con la stessa religiosità. Il principio dell’origine divina dell’autorità è del tutto inconcepibile per una cultura atea, o virtualmente tale; e la pastorale sociale della Chiesa deve tenerne conto. È vero. Ma ciò non impedisce di tener fermo il principio. E, quanto a Leone XIII, va detto che le sue “scelte pastorali” non nascevano innanzitutto da considerazioni storico-culturali, ma da uno sguar­do fisso su un Fattore che le superava tutte. Riportiamo, in proposito, queste sue parole, sempre dell’enciclica Au milieu des sollicitudes: “Abbiamo voluto richiamare sommariamente il passato, affinché i catto­lici non nutrano motivo di sconcerto per il presente. La lotta è sostanzialmente sempre la stessa: Gesù Cristo è perennemente fatto segno delle contraddizioni del mondo. I mezzi impiegati dagli attuali nemici del Cristianesimo sono sempre gli stessi”, anche se “appena modificati nella forma”. Ma sono parimenti identici i mezzi di difesa, già chiaramente indicati” dagli “Apologisti, Dottori e Martiri” della Chiesa. “Ciò che essi hanno fatto, spetta pure a noi di farlo. Mettiamo dunque al primo posto la gloria di Dio e della sua Chiesa: lavoriamo per lei con impegno costante e sincero e lasciamo il compito di determinare l’esito a Gesù Cristo, che annuncia” di aver già “vinto il mondo”.

Marco Nardone

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